Oggi presentazione di "Cieli violati" di Anna Vasta

Oggi presentazione di “Cieli violati” di Anna Vasta

Oggi, martedì 18 marzo 2014, alle ore 18, presso la Libreria Nero su Bianco (via degli Spagnoli, 25 a Roma, in zona Pantheon), c’è la presentazione di “Cieli violati” di Anna Vasta. Modera Matteo Chiavarone. Letture di Viviana Raciti.

Cieli violati. Cieli ribollenti, incalzanti, con l’ardore di nuvole in fermento avanzanti verso il suolo, grigio correre di nembi in celesti sprazzi di cielo, poi affogati nella neve dell’oblio che tutto copre, e censura, e tutto quieta delle umane tragedie, inutili, invisibili, di fronte a tanto sfacelo. Sfarzo di natura che avvolge la vita, e ne governa, quietamente, irrevocabilmente, le sorti.

 

“La sensazione è di piccolezza estrema, in quanto umani, di fronte alla vita. Le parole, complicate, attingono ad un vocabolario di richiami semantici da tempi verbosi. Cieli violenti. La Natura sembra correre sui fili delle parole, caderci addosso come grandine e fumo, non c’è spazio per le pene degli uomini, né per il resto, solo le forze del mondo che si scontrano, e coprono tutto di esigente potenza. Non c’è altro da dire se non descrizioni contorte, la poesia già dice tutto, Anna Vasta descrive, racconta, dice la Natura che si muove violenta, pacifica e costante, che si muove e basta, sopra le nostre teste, intorno a noi, mentre tutto è quieto e dorme, o mentre il mondo è avvolto dal freddo, il gelo dell’inverno, il candore del porto. Non c’è spazio per la vita leggera, azzurrina, per il giallo del sole al tramonto e il chiarore d’estate, o di primavera. Anzi, l’insistenza della vita, la sua inevitabilità, il suo permanere a lungo, nel caldo, sono piuttosto sfaccettature di marciume, di eccesso esposto al sole in putrefazione, vita che si decompone. Non c’è, in questo libro di Anna Vasta, la leggerezza dei fiorellini nella luce. C’è piuttosto un’osservazione non protetta della realtà, una sua percezione in furore, un suo esistere al di sopra del nostro volere e un nostro espandercisi dentro a dare corpo alle nostre foghe, visioni e dolori. In alcuni punti la Natura, il Mare, la Luna soprattutto, diventano accompagnatore e accompagnatrici degli umani pensieri. Testimoni silenziosi od offesi, a volte, testimoni in reazione al nostro esistere e verso di noi ingannevoli, come se fossimo degli ingenui dediti al niente, mentre il più furbo gabbiano non è così cieco di fronte alla vita. È come se fossimo di troppo e, contemporaneamente, in queste parole e grazie ad esse, potessimo specchiarci nel muoverci del mondo, delle forze, nello scontrarsi delle nuvole e nel crollare delle foglie. Come foglie morte verso terra, quando moriamo voltiamo le spalle alla luce, cedendo all’attrazione dell’ombra. Tentazione, quella dell’ombra, sempre presente tra le righe, anzi, più che tentazione, quest’esistenza dell’ombra come parte integrante della vita, un suo impossibile distaccarsi, un non poter fare a meno di lei. La morte c’è ed esiste già dal sorgere, e soprattutto dalla maturità delle cose. Così Anna Vasta colpisce il lettore, con il marciume nascosto in versi stupendi, un’aura di decadenza, uno spettrale candore, anche. Come se fosse inevitabile nell’immagine una linea, un filo, a volte uno spesso velo di buio o di bianca inevitabilità, di cose che si decompongono. Perché del resto è la vita, è vero, che va spedita verso la morte, e se la porta dentro ovunque. Non per forza è pessimismo, se non piuttosto osservazione della realtà, metterne a nudo le caratteristiche innegabili.

Allo stesso modo l’impudicizia è sempre presente: la Natura e le sue “vergogne”, che copre con la semplice ombra della notte, o con meno. La Natura è sanguigna, è vitale, è del magma. È ben lontana dalle nostre fissazioni di bontà e dolcezza. Ed è come se fosse tutto sotto i nostri occhi, sfrontato, ed in tale contrasto col nostro buonismo da risultare quasi osceno.

Un ottimo lavoro di una poetessa esperta che parla per mezzo di immagini forti, porpora ma anche turchine, dorate ma anche violacee, che traspaiono da ogni pagina. Sia quando, nella prima parte, si dedica più interamente al vento e alla pura natura, scevra quasi di cenni umani, sia quando in Stazioni inserisce alcuni corpi, come il borgo o i gabbiani, a intervenire nella scena, e rende il Mare e la Luna parte, vaga, dell’umana vicenda. Almeno come coesistenti sulla terra, sulla costa di Torre.

Anche nell’aspetto grafico è chiaro, o sembra, lo sciabordare del verso, da sinistra a destra, con pause e “accapi”, con la linea sempre interrotta ma mai incoerente, in un discorso che continua costante e scende fino alla fine, tranquillo nel suo giungere, fortissimo nel suo essere.

Senz’altro un testo estremamente interessante, veicolo di moltissime sensazioni, che trasporta sul verso rendendo tutti partecipi di una visione del nostro esistere e dell’esistere del mondo.”