"Destinatario di assenze" di Luciano Nota

“Destinatario di assenze” di Luciano Nota

Spunti di riflessione su “Destinatario di assenze” di Luciano Nota (Arcipelago Itaca Edizioni, 2020).

Tomas Tranströmer scrive:«[…]ogni immagine astratta del mondo è impossibile/ allo stesso modo dell’immagine di una tempesta», indicando nitidamente la facilità di dissolvenza di ogni immagine da cui parte la meditazione del poeta. Questa sorta di poetica fondata sul principio della metafora dinamica o della metafora cinetica la chiamerei la «poetica del viaggiatore» e su tale poetica si basa gran parte della poesia di Luciano Nota di questa recente raccolta….. nella quale il poeta lucano esprime le sue «formule del viaggio», viaggio che viene inteso e vissuto come correlativo oggettivo della stessa esistenza e come metafora centrale del canone letterario occidentale (dalla migrazione di Enea al ritorno verso Itaca di Odisseo, dalla navigazione di Achab alla ricerca febbrile di Moby Dick e all’On the road di Jack Kerouac).

Ma questo viaggio, tema fondamentale della creazione letteraria di Occidente, da Omero ai nostri giorni, passando da quello dantesco volto verso l’alto “a riveder le stelle”, che compie Luciano Nota è assai simile a quello di Proust: «Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi» perché con nuovi occhi il poeta nei suoi versi guarda a una sorta di mitologia personale, intima che sembra che il poeta per la prima volta disveli, quasi come un bisogno di scagliare nel fiume o nel pozzo di Block dei versi in epigrafe del libro la zavorra che lo costringe a rimanere pesantemente sul terreno delle memorie che l’opprimono impedendogli ogni tentativo di volo, come in questo testo che dà il titolo alla raccolta

“Destinatario di assenze”

Sogni demenziali.
Ore d’inerzia alla finestra.
Minuscoli specchi
riflettono archi
al frastuono dei denti.
Destinatario di assenze:
gerani alla spina;
sfondi di stomi
pronti a rinverdire
le cellule annerite.

Versi essenziali, come le “mosche in bottiglia” di Sinisgalli, in cui il poeta lucano nato dalle parti di Orazio fotografa immagini-metafore nel bisogno intimo di sottrarle alla usura o all’oltraggio del tempo “sogni-inerzia-finestra-specchi-archi-denti-gerani-stomi-cellule” e da sottrarre alle “assenze” che poi è il tema centrale di questo componimento breve come di tutta la raccolta. Lo fa con sintagmi prevalentemente nominali, lasciando in disparte, o ripudiandoli, i sintagmi aggettivali, i sintagmi avverbiali, i sintagmi preposizionali e perfino in molti casi anche i sintagmi verbali. Una scelta linguistica ardita, da un lato, inconsueta, dall’altro, ma efficacissima per sottrarsi alla egemonia dell’io narcisistico e autoreferenziale di tantissima poesia italiana soprattutto del secondo ‘900. L’io poetante si avverte di tanto in tanto in alcuni componimenti della raccolta, ma Luciano Nota ha sempre vigilato sulla sua scrittura riducendo la presenza dell’io a semplice rumore di fondo, come ad esempio in questi altri versi

“Alito nuovo”

Avverrà che ci incontreremo
sul corso d’acqua appena scorso
e riusciremo a lavare parte di noi
malevola e ferina
ma anche la più debole
e sterile sostanza.
Sarà danza di veli
e di uccelli acquatici.
Bocche socchiuse, vortici aprichi.
Una specie di alito nuovo
vuoto senza tentacoli.

Mentre un testo come

“L‘acqua dopo un pugno”
*
Dell’amore potremo fare
corde sui fianchi
e così della fine.
O potremo rimanere pozzanghere,
trionfare in un angolo scuro.
Si sta bene a non curarsi delle scale
con fregi ed eccessi.
La bellezza è nello stagno
che ricama l’acqua dopo un pugno
*
se proviamo a suddividerlo per esempio in terzine

“L‘acqua dopo un pugno”

Dell’amore potremo fare
corde sui fianchi
e così della fine.

*

O potremo rimanere
pozzanghere,
trionfare in un angolo scuro.

*

Si sta bene a non curarsi
delle scale
con fregi ed eccessi.

*

La bellezza è nello stagno
che ricama
l’acqua dopo un pugno.

ritroviamo tutta l’atmosfera della estetica degli haiku, di provenienza prevalentemente giapponese, estetica da cui viene espulsa la soggettività tipica della poesia italiana per lasciare le parole soltanto all’evento. Questo fatto estetico in Luciano Nota diventa un gesto etico secondo il postulato di Brodskij per il quale:«L’estetica viene prima dell’etica». Nel rapporto debitorio-creditorio tra immagini e parole Luciano Nota giunge in prossimità di quella che Giorgio Linguaglossa nel suo lavoro di interpretazione di «Teatrale» di Iosif Brodskij (traduzione in italiano di Donata De Bartolomeo) ha indicato come la «nuda voce» come cifra ineludibile verso cui deve guardare la «poesia nuova».

In queste due terzine di

“Lanterna di sabbia”

I

In fretta i busti s’accostano.
Girano come giostre i girasoli
e le mosche.

II

Siamo sciolti. Infatti
ciò che ci unisce non ha nodi.
Eppure mormora il pettine.

per la ricerca poetica di Luciano Nota si dischiudono altre possibilità estetico-formali di una parola poetica che non vuole rimanere sulla carta come parola scritta ma invoca una «voce» che la pronunci in un comune paradigma culturale tra poeta-voce-pubblico, come fu nel Pasolini del «Teatro della Parola» in cui gesto e urlo vennero messi all’angolo per dare spazio e tempo espressivi soltanto alla Parola del poeta affidata alla voce dell’attore.

Di notevole interesse trovo questo passaggio nel lavoro critico di Giogio Linguaglossa su

Destinatario di assenze dove Linguaglossa scrive «:[…] C’è come una preveggenza di questa problematica nell’ultima poesia del volume:

Nuova terra

Mi piacciono i graffiti sui muri
non i cani che scrivono libri.
Leggo Hegel e Marx, Rilke e Plath.
Purtroppo morti. Pasolini, Fortini…
La nuova terra è gelo sui ginocchi.
Sui cipressi scrivono picchi.»

proprio perché nella laconicità direi sinisgalliana di Nuova terra, che chiude il suo libro di poesie di recentissima pubblicazione, il poeta di Lucania nato come Leonardo Sinisgalli, dalle parti di Orazio se da un lato dichiara nettamente i suoi fari-maestri di scrittura poetica e di formazione umanistico-morale (Marx ed Hegel, Plath, Rilke, Fortini, Pasolini), dall’altro stigmatizza la presenza diffusa di “cani che scrivono libri” e di “picchi” che si illudono di potere scrivere versi sui cipressi, a dirci della necessità dello steccato che bisogna erigere tra grafomania e poesia, tra grafomani e poeti, e Luciano Nota non vi è dubbio che è «poeta», poeta consapevole dei propri mezzi espressivo-linguistici e proprio per questo in grado di operare una presa di coscienza verso un fatto: con questa raccolta Destinatario di assenze il poeta sa che ha toccato l’acme estetico di un alveo poetico oltre il quale non intende né osa più spingersi, dunque, necessità estetico-formale di apertura verso altri sentieri nella poesia del gelo della parola e della stagnazione morale oltre che estetica del nostro tempo.

copertina luciano nota_destinatario_di_assenze

Lo può fare perché Luciano Nota dispone di un substrato solido di civiltà umanistico-letteraria che accanto alla sua ricchezza lessicale lo dirige senza sforzi verso nuovi paradigmi estetici e formali, ben oltre quella sorta di «poetica degli oggetti» con cui tanta poesia del secondo ‘900 si è dovuta misurare in quel clima post-bellico di macerie morali e materiali da cui risorgere ma anche come testimonianza inevitabilmente antropologica per la fine senza ritorno di tutta la civiltà contadina (maestro in questo impareggiabile proprio il Sinisgalli delle Mosche in bottiglia (“gli utensili bruciati le croste /di fumo delle padelle /dei treppiedi la foglia fritta / i peperoni le budella / il tegamino per un uovo / le cuccume le molle / per i tizzoni”).

Chiudendosi un ciclo poetico e un lungo itinerario circolare coincidente con un punto di inizio e un punto finale («Su di un cerchio ogni punto d’inizio può anche essere un punto di fine», per dirla con  Eraclito) ma lungo un vastissimo arco di parole, a partire  da “Intestatario di assenze” (2008), a Luciano Nota non resta che la ripresa di un nuovo viaggio, anche sia ben chiaro nello stesso paesaggio fin qui esplorato: il paesaggio dell’anima. Viaggio e paesaggio: il viaggio nel paesaggio, il paesaggio nel viaggio, l’ osmosi inarrestabile nel senso di Pessoa:«E’ in noi che i paesaggi  hanno paesaggio. Perciò se li immagino li creo; se li creo esistono; se esistono li vedo… La vita è ciò che facciamo di essa. I viaggi sono i viaggiatori. Ciò che vediamo non è ciò che vediamo ma ciò che siamo…».

Un nuovo viaggio che sia  un voyage «altro»  nella esplorazione  dei legami fra Essere e linguaggio, tra forma-poesia e lavoro sul logos, fra interferenze linguistiche, contaminazioni tra opere diverse, ibridizzazioni di linguaggi differenti da compiere in inconsueti spazi espressivi integrali nel definitivo ripudio dell’ IO”, alla volta di una  patria linguistica “altra”  di parole «abitate». In un recente saggio Giorgio Linguaglossa scrive:«E’  il “reale”  che ha frantumato la «forma» panottica e logologica della tradizione della poesia novecentesca[…]». Al poeta dell’«oltre-la-elegia»  della poesia post-logologica e post-panottica non resta che prenderne atto.
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Gino Ragogino rago al Caffè-San-Marco-di-Trieste 1