Il Bene e il Male fra filosofia e letteratura

Il Bene e il Male fra filosofia e letteratura

Ci si imbatte nel Male tanto quanto nel Bene, o forse addirittura più spesso. Altrettanto spesso capita di maneggiarlo a proprio uso e consumo senza neanche riflettere troppo, senza consultare prima la propria coscienza.

Questo modo di fare è indubbiamente dettato da una certa superficialità, ma è necessario tenere conto del fatto che la distinzione tra Bene e Male è filtrata dal soggettivismo che porta a valutare le proprie e le altrui azioni secondo criteri personali i quali, inevitabilmente, inducono a interpretare la natura delle proprie scelte in maniera del tutto individuale.

Quindi, per comprendere a fondo la questione, bisogna prima fare chiarezza sul principio d’identità: quella forza che regola il pensiero stesso, le cui conseguenze mettono di fronte a un bivio, a una vera e propria. Pensando alle diverse implicazioni che gravitano intorno al rapporto tra Bene e Male, il primo aspetto da tenere in considerazione è quello relativo all’Etica: quel ramo della filosofia che si propone di stabilire, attraverso criteri razionali, dei parametri che consentano di valutare le azioni umane.

Il Bene si traduce quindi in ‘giusta condotta’: nell’agire secondo leggi morali dettate dall’esterno o autoimposte; il Male, ovviamente, nel suo esatto contrario.

Ovviamente è possibile analizzare entrambi i poli secondo criteri differenti; la filosofia ne indaga principalmente due aspetti: uno metafisico e uno morale.

La concezione metafisica del Bene e del Male risale al mondo antico e medievale. Secondo Platone (428 a.C. – 348 a.C.) il Bene consiste in ciò che dà verità agli oggetti conoscibili: è la fonte di tutto ciò che è, sia esso parte dell’interiorità umana o di ciò che la circonda. Il filosofo accosta questa spiegazione ad una metafora: quella del sole che, levandosi in cielo, svela poco a poco gli elementi che compongono il reale nutrendoli con i suoi raggi. Il Bene – realtà suprema – è una forza in grado di rivelare le cose, pur essendo ben al di sopra di esse. In qualità di antitesi il Male non può che essere interpretato come il non essere, negazione assoluta del Bene e quindi solo un «accidente della realtà». Sull’argomento si è espresso anche, molto tempo dopo, il filosofo tedesco George Wilhelm F. Hegel (Stoccarda 1770 – Berlino 1831): il Bene sarebbe libertà realizzata, lo scopo ultimo del mondo; il Male, al contrario, la sua totale negazione.Se per un attimo si torna con la mente al concetto di soggettivismo citato all’inizio del saggio, risulterà evidente come questo sia esattamente l’inverso della concezione metafisica di Bene e Male che, soffermandosi sul rapporto teorico che intercorre tra le antitesi, prescinde del tutto dall’esperienza e quindi, se vogliamo, da qualsiasi aspetto pratico. Il Bene non viene desiderato in qualità di perfezione della realtà, anzi: esso è perfezione e realtà proprio perché viene desiderato. Questa definizione risale ad Aristotele (384 a.C. – 322 a.C.) che, discepolo di Platone, è entrato in contatto anche con la dottrina metafisica assorbendone alcuni aspetti.Il filosofo britannico Thomas Hobbes (1588 –  1679) invece si accosta al soggettivismo affermando che l’uomo definisce Bene l’oggetto del suo desiderio e Male l’oggetto della sua avversione.Anche Immanuel Kant (1724 – 1804) si è espresso sull’argomento dichiarando: «I soli oggetti di una ragion pratica sono il bene e il male. Col primo s’intende un oggetto necessario della facoltà di desiderare, col secondo un oggetto necessario della facoltà di aborrire, ma entrambi secondo il solo principio della ragione».Insomma bene e male non sono realtà o irrealtà indipendenti, ma si attengono alla facoltà di desiderare dell’uomo. Kant introduce anche il concetto di male radicale: un’inclinazione naturale al Male che è alla base del comportamento di tutti gli esseri razionali finiti e che porta, quindi, ad allontanarsi dalla legge morale. Il filosofo sostiene che il conoscere le mille sfumature della condizione umana è la sola cosa da cui dipende l’esito della lotta tra Bene e Male. Theodor Wiesengrund Adorno (1903 – 1969), filosofo e musicologo, sostiene invece che chi esorta al Bene faccia parte di una ristretta cerchia di eletti che si impegnano a praticare una via difficile e hanno perciò il diritto di guardare la moltitudine con disprezzo. La via del Male sarebbe invece una via aperta alla maggior parte degli individui perché non solo conosce le debolezze umane, ma le perdona e le ammette facendo leva sul principio: «Non giudicare se non vuoi essere giudicato». La via del Male, inoltre, indurrebbe all’individualismo superficiale del: «Non vedo e non sento». Secondo Adorno gli uomini sarebbero fanciulli incapaci di essere liberi perché, pur di non assumersi la responsabilità delle loro scelte, preferiscono abbandonarsi a qualcuno che decida per loro. Il vero portatore di Bene dunque è colui il quale si impegna a rendere liberi gli uomini, cercando di diffondere tra essi un sentimento di fraternità; l’individuo volto al Male tenta invece di renderli dipendenti dalla sua figura, cercando di lasciarli in quello stato di fanciullezza che non gli consente essere autonomi. Tutto questo avviene perché la condizione comune degli uomini è la fragilità, aspetto che spesso induce gli individui a cedere al Male. Per fare in modo che la moltitudine apra gli occhi è necessario l’intervento di uomini verticali i quali non solo devono denunciare il Male e dare l’esempio di una vita in nome del Bene, ma è necessario che essi trovino anche il modo di smontare concretamente il rapporto saldo che il Male ha stretto con la maggior parte degli uomini.

L’argomento, dal punto di vista letterario, è stato trattato inoltre da moltissimi autori di rilievo: narratori e poeti. Primo fra tutti Luigi Pirandello, grande drammaturgo italiano, il quale definisce il Bene e il Male secondo la filosofia del lontano.Questa filosofia  consiste nel contemplare Bene e Male da un’infinita distanza, in modo da coglierne l’inconsistenza, l’assurdità, la mancanza totale di senso.Così l’eroe pirandelliano, estraniato dalla realtà, si rifiuta di fare delle scelte e rinuncia a quel ruolo riflessivo che , a sua volta, sembra rifarsi a quel: «Non giudicare se non vuoi essere giudicato» accennato da Adorno.Giacomo Leopardi, nel suo “Dialogo della natura e un islandese”, sostiene che il Male nel mondo non è né accidentale né un tipo di disordine straordinario: il Male è, anzi, condizione necessaria all’ordine naturale delle cose.L’ordine dunque è fondato sul Male il quale, pertanto, viene visto dal poeta come un elemento naturale che non sembra lasciare spazio al suo contrario.Non a caso nel 1826 Giacomo Leopardi scriveva: «Tutto è Male», ovvero, tutto ciò che esiste è Male ed è ordinato dal Male. Lo è il fine ultimo dell’universo, lo Stato, le leggi, l’andamento naturale delle cose.Il rifiuto di Leopardi verso la materia deriva da questa convinzione e dall’idea che il Bene consista nel non essere. E Dio? Per il poeta Dio non è altro che infinita possibilità e l’unica cosa assoluta. Un altro autore che si è espresso in materia è Ugo Foscolo che, nelle “Ultime lettere di Jacopo Ortis”, estremizza il concetto portando il suo protagonista a reagire al Male negandosi la possibilità di ogni Bene: attraverso il suicidio che, in questo caso, si permea di una carica positiva poiché viene inteso come atto di estrema libertà, l’unico in grado di offrire una via di fuga.

L’interpretazione del Bene e nel Male dunque è, a conferma di quanto detto all’inizio, inevitabilmente soggettiva. Nello scrivere questo saggio ho analizzato la questione sotto diversi punti di vista e, approfondendo l’argomento, mi sono ritrovata a pormi la seguente domanda: su quali basi ci sentiamo in diritto di giudicare l’uomo che segue la via del Bene o quella del Male?

Credo che nel compiere le scelte di tutti i giorni e nel cercare di interpretare quelle degli altri, agiscano principalmente due fattori: il primo è quello che Seneca definisce virtù interiore la quale, nella nostra solitudine, ci porta ad agire secondo principi ingiudicabili; il secondo invece si accosta alle parole di Adorno e a quel criterio di soggettività che guida l’uomo in ogni sua azione e lo porta ad avere una personale percezione etica dei principi morali. Credo che il modo migliore per concludere questa breve riflessione sia farlo attraverso le parole di Giacomo Leopardi. Nel “Dialogo della natura e un islandese” la Natura dice: “Tu mostri non aver posto mente che la vita di quest’universo è un perpetuo circuito di produzione e distruzione, cioè del Bene e del Male, collegati ambedue in maniera che ciascuno serva all’altro in modo continuo  alla conservazione del mondo, il quale mancasse uno di questi elementi  verrebbe parimenti in dissoluzione”.