Un estratto dal contributo di Paolo Rigo per il volume "Elio Fiore Mario Luzi. Le allucinate verità" a cura di Paolo Rigo e Emiliano Ventura

Un estratto dal contributo di Paolo Rigo per il volume “Elio Fiore Mario Luzi. Le allucinate verità” a cura di Paolo Rigo e Emiliano Ventura

Pubblichiamo un estratto del contributo di Paolo Rigo, per gentile concessione della Fondazione Mario Luzi Editore, inserito nel volume di prossima uscita “Elio Fiore Mario Luzi. Le allucinate verità” a cura di Paolo Rigo e Emiliano Ventura.

Scrivere sul rapporto tra Elio Fiore e Mario Luzi è impresa ardua e complessa. Un elemento su tutti rilancia e motiva il legame: la spiritualità. Sia essa storica ed ebraica o mistica e cristiana entrambi gli autori hanno condotto la loro esperienza poetica – quasi paradossalmente secolare per l’uno, decennale per l’altro – non mancando mai di riflettere sulla loro spiritualità. I punti di contatto non si limitarono al mondo intangibile delle lettere, legami biografici ci sono stati eccome: l’amicizia tra i due è, infatti, testimoniata da una ricca corrispondenza oggi raccolta a Napoli (si ricordi che Fiore fu impiegato ad Arco Felice ai tempi del lavoro in fabbrica) e nel Centro studi la Barca di Pienza. […]

 Il giudizio di Luzi sulle prime prove di Fiore sembra oscillare tra una sincera ammirazione, forse frutto dell’ingenuità, della freschezza precoce degli anni – Fiore secondo le parole di Luzi è «una creatura che dispone tutto nel futuro!» con il punto esclamativo che senza fraintendimenti manifesta tutto l’entusiasmo del “maestro” –, una piena approvazione per il «fuoco inespresso», per l’«inquieto ribollimento» di chi, un po’ alla Salvatore Quasimodo, con la poesia cerca di cambiare il mondo, e l’ammonimento per la fretta di quelle «evasioni troppo immediate».

Prima di manifestare tutta la disponibilità possibile del caso, si dice infatti pronto a incontrarlo a Napoli per parlare ancora più privatamente, Luzi non manca di riferire un ultimo suggerimento; dal carattere però quasi dogmatico, forse un po’ impersonale, è il consiglio che ogni maestro sente sempre di dover donare ai suoi allievi: «legga, cerchi di coltivarsi; ma non si proponga in astratto problemi la cui risoluzione è tutta in lei, anche se non la vede per ora».

 Fiore è senz’altro un autore che ha letto, e ha letto tanto. Lo si evince anche da una lettura sommaria delle sue opere. Quasi ogni componimento poetico si apre con un riferimento a un altro autore, sia una citazione scoperta, una piccola dedica, o un verso prestato, ogni testo non manca mai di costruirsi intorno a un sostrato già presente.

Quasi come se Fiore avesse paura della sua autonomia. Quasi come se l’autore romano avesse la necessità di appoggiarsi ad altri, di crescere in una metamorfosi assente, nelle poesie di Fiore sembra, infatti, trovare spazio un dialogo – con Ungaretti, Sbarbaro, Montale, Aleramo, la lista è davvero lunga – in continua mancanza. Una poetica malinconia rivolta verso l’altro che parte, prima di tutto, da un grido disperato che necessita di una risposta, una risposta che solo chi ha già vissuto le ansie di Fiore può conoscere. Fiore non a caso è il poeta dei poeti, l’autore degli autori.