Poesie di Jozef Radi (testi tratti da "La memoria della nebbia" / "Kujtesa e mjegullës", Shtëpia botuese Liria) # Traduzione di Gëzim Hajdari

Poesie di Jozef Radi (testi tratti da “La memoria della nebbia” / “Kujtesa e mjegullës”, Shtëpia botuese Liria) # Traduzione di Gëzim Hajdari

Alcune poesie di Jozef Radi (testi tratti da “La memoria della nebbia” / “Kujtesa e mjegullës”, Shtëpia botuese Liria) tradotte da Gëzim Hajdari.

Quando morirò di Jozef Radi

Quando morirò
tu certamente ci sarai
quando morirai tu
forse già sarò dimenticato.

Quanto tempo ci rimane
per non amarci.

1987

Impossibilità di Jozef Radi

In mancanza di libri
leggevo i tuoi occhi
pieni di crepuscolo d’autunno,
leggevo quel silenzio tenero,
la tristezza spezzata nell’anima
leggevo in te tutto come il cieco
la forma dei sassi con le ditta.

La mancanza di libri
con ali di labbra leggevo il tuo corpo
ubriaco in estasi mi perdevo
nel bosco dei tuoi capelli
conoscevo a memoria la tua voce
i baci che mi arrivavano da lontano
recitavo la tua anima
e non trovavo una similitudine
perché gli uccelli assomigliano tanto
alle nostre impossibilità perse in volo.

1987

Vita grigia di Jozef Radi

Nessun sabato, nessuna domenica
soltanto qualche Venerdì Santo
dei miei giorni
mi invita a non andare da nessuna parte

Dal Monastero del Castigo
seguo il coro dei lunedì, il coro dei martedì,
il coro dei lunatici, il coro dei migranti
il coro dei mercoledì, il coro dei giovedì,
il coro degli straziati dalle finte promesse,
il coro infinito dei venerdì santi
sinfonia eterna di giorni monotoni
dove il cielo delle nostre vie
rimane immerso in bianco e nero.

Nessun sabato, nessuna domenica,
una vita di speranze di sogni accecati,
gettata nella melma grigia
e nemica.

Nei giorni delle mie cadute di Jozef Radi

Nei giorni delle mie cadute
supplicavo dio
che non mi spingesse più giù,
supplicavo il sole al tramonto
che mi legasse un fascio di luce sulla fronte
rubato all’agonia della vita di un giorno
qualsiasi.

1990

La grande fuga di Jozef Radi

Come le nuvole sono persi i miei amici
all’orizzonte tra il mare e il cielo,
si sciolgono nello spettro del blu profondo
come sassi che non volevano lasciare il proprio posto.

Si sono persi i miei amici
con bisaccia di dolore sulle spalle.
I loro addii come la sabbia
tra i denti macina.

Sono fuggiti i miei amici,
forse non raggiungeranno in nessun luogo,
forse non troveranno né tempo, né posto
per rivivere la grande speranza o la grande pazzia
per i mari e i cieli delle amar e avventure.

Scalzi fuggivano i miei amici
per il mare diventato una caverna,
fuggivano senza voltar la testa dietro.

La pioggia del terrore
sui tetti delle catapecchie
continua a bussare.

1990-1991

Paura di Jozef Radi

Tira qualche filo di speranza
lì, dove tramonta la vostra giornata,
dove il crepuscolo è, e crepuscolo non c’è
dove i prati si perdono al schiaffo dello scirocco
e s’imputridiscono in silenzio sotto il peso dell’erba?

C’é qualcuno di voi
che dà alito al vento folle per soffiare
affinché le nostre caravelle stanche dall’attesa
finalmente giungano?

C’é l’orma di qualcuno
che semina l’ombra dei fiori e dei alberi per i non nati
e che vaghi per la notte scura
con immagini teneri dei bimbi?

Riuscirà a sentirsi qualcuno di noi uomo
e di non vergognarsi di essere tale?
(Forse,
ma la notte  con il suo urlo lacerante
spaventata da Colei che si affaccia  e si sparisce
non trova il sentiero per fuggire.)

1991

Ultima notte di Jozef Radi
(a mio padre)

Io li parlavo
e davo filo all’aquilone delle speranze
lui nel ultima dormiveglia
ormai stanco dalla vita
rantolava in silenzio.
Quando appoggiò la testa sul grembo dell’alba
il tramonto su quegl’occhi pieni di luce
aveva oltrepassato il muro delle parole
e vagava tra l’inverno e l’autunno,
in mezzo all’urlo e il silenzio,
come una statua classica
che nel buio amaro della morte
conservava miracolosamente il sorriso.

1998

La pianura del dolore di Jozef Radi

Pianura immensa,
pieno di catapecchie
e di appelli sino al dolore,
pianura del verde straziato
e del fango sino alla follia
dove i nostri giorni verdeggianti
sonnecchiavano nel grembo
dei crepuscoli grigi.

Lì, niente rimane nascosto
nulla che nessuno sapesse.

Pianura immensa,
pianura degli stivali bucati
e dei sandali di giunco,
pianura dei baci spezzati
e delle trappole di salice,
pianura immensa
in quella superficie dei inganni
emergono i nostri abissi.

1989

Lasciami morire di Jozef Radi

Lasciami a morire
con tutte le mie cose sacre
con gli stivali, le carte, il fango, la stanchezza
con tutto l’odio, i sogni, gli amori,
con la pazzia e i baci sospesi
a percorrere questo mondo senza scrupolo
con la mia bara celeste sulle spalle.

Lasciami un po’ di tempo a morire
per riposare senza la morale di questo giorno
senza l’entusiasmo tragicomico di mio padre,
che non si stanca di credere nell’indomani
senza il terrore sospeso negli occhi di mia madre,
mentre partiva come una santa nel grigio marzo
con la tristezza più enorme del giorno
e il dolore più profondo della notte.

Tu che credi nella mia vita, nelle mie parole
lasciami un po’ di tempo per morire,
tu che nello stesso tempo sei la mia vita
la mia morte mi lasci a morire.

(Traduzione in italiano di Gëzim Hajdari)

Leggi “La poesia di Jozef Radi”. Saggio tratto da “Gjëmë. Genocidi i poezisë shqipe” [Epicedio albanese]  di Gëzim Hajdari.