"Poesia contemporanea. Undicesimo quaderno italiano" a cura di Franco Buffoni

“Poesia contemporanea. Undicesimo quaderno italiano” a cura di Franco Buffoni

Recensione di “Poesia contemporanea. Undicesimo quaderno italiano”, a cura di Franco Buffoni (Marcos y Marcos, 2012).

Continua il cammino dei Quaderni Marcos y Marcos a cura di Franco Buffoni, che nella undicesima uscita presenta al pubblico altri sette autori, giovani ma tutti con una già solida storia alle spalle. Bisogna subito ammettere che la lettura di questo Quaderno è particolarmente piacevole per la maturità che i poeti proposti dimostrano di aver raggiunto, e anche per la varietà delle voci e perfino dei “modi critici” che forniscono un primo orientamento ad ognuna delle piccole raccolte; il lungo mestiere di talent scout di poesia propugnato da Buffoni e dai collaboratori al progetto assicura una riuscita di qualità.

La parola che il curatore sceglie per dare una presentazione preliminare è ‘condizione’, e davvero le voci del volume indagano ed esplorano questo termine plurisenso descrivendo luoghi canonici ed anfratti di un’istanza volta a volta esistenziale, universalistica, una generale ‘condizione dello stare al mondo’ che coinvolge gli autori sul doppio crinale dell’esperienza personale, e dell’afflato umanitario, in quella “meccanica pesante” cui tutti  dobbiamo soggiacere: “Per la legge naturale della specie, / solo chi conosce fino in fondo / la tenerezza dello stare al mondo / può vedere la barbarie […]” (Frungillo, p. 31).

Ma cerchiamo di nominare tutti gli autori prima di un attraversamento generale. In rigoroso ordine cronologico abbiamo Yari Bernasconi con Non è vero che saremo perdonati, Azzurra D’Agostino (Versi dell’abitare), Fabio Donalisio (la pratica del ritorno), Vincenzo Frungillo (Meccanica pesante), Eleonora Puinzuti con Èsodi, Marco Simonelli (Firenze mare) ed infine Mariagiorgia Ulbar con Su pietre tagliate e smosse. Come è nella ratio dei Quaderni, tutte le proposte rappresentano una raccolta più o meno strutturata ma solidale, tanto che in più di un caso si ha già una divisione in sezioni interne. Poche pagine firmate da vari critici introducono le poesie, i prefatori sono, per l’ordine fornito sopra, Umberto Motta, Fabio Pusterla, Paolo Morelli e Carla Valesio (in dialogo), Giancarlo Alfano, Fabio Zinelli, Rosaria Lo Russo e di nuovo Pusterla.

Come spiega Motta, l’impressione che restituisce la lettura dei versi di Bernasconi è quella di una gravità che avvolge ogni fibra dell’essere, una vana lotta nel fango cosmico, che arriva a negare anche la possibilità della salvezza, con la citazione dalla Prima lettera da Babilonia di Fortini, quel “non è vero che saremo perdonati” che dona il titolo alla plaquette. Le tre variazioni della ferocia sperimentata da Bernasconi sembrano le diverse miscele di una condizione esistenziale rivoltata contro il paesaggio, il passaggio umano (la seconda sezione stempera i toni su un Piccolo diario d’Irlanda) per aprirsi infine alla violenza di una natura ostile. Ne deriva uno scenario post-apocalittico, in cui l’uomo sembra rassegnato alla distruzione, abbandonato in un orizzonte di Residui (p. 57).

La voce di Azzurra D’Agostino sembra invece soffermarsi su una sofferenza più intima, un dolore dell’inazione in cui l’inverno si fa “indifendibile” e la notte “impronunciabile” (p. 72), mentre si consumano alcuni accorati appelli al lettore che raccontano il senso di colpa per un’espressione difficile, non possibile: “[…] Chissà se si può scrivere o è immorale / che di ogni strazio sentivamo d’averne colpa / e non avevamo posto e non avevamo rimedio / sapevamo solo / chiuderci nella stanza e riempire quella pagina / che in un mondo senza male / sarebbe stata bianca” (pp. 75-6). Fabio Donalisio mostra una vena virtuosistica, sedotto dalla forza della parola; il motivo della sua poesia, non estranea al piacere fatico, si ispira ai contorcimenti di un animo inquieto, in cui i versi sono come le radici rattrappite e contratte di una pianta lasciata in un vaso troppo piccolo. Ne derivano piccole pietre preziose che brillano di luce e senso, fulminanti e taglienti come lame: “mentre la gente mente / mi masturbo / di niente” (p. 103).

E veniamo così, con i versi di Vincenzo Frungillo ed Eleonora Pinzuti, fisicamente al cuore della raccolta. Nei molti versi illuminanti (per questo poeta il ritmo della narrazione in versi ha un ruolo conoscitivo) Frungillo imbastisce una piccola storia della sapienza e della pietà. Impiegato sul piano filosofico (è scoperto il ricorso a Lucrezio) l’autore insiste sul valore della materialità (del suono, e della parola) e sul suo contrario/complementare silenzio, mentre la Pinzuti intreccia storia emotiva e storia intellettuale, ricorrendo a piene mani da un canone di studio che in lei si fa poesia, o tornando con la mente ai ricordi più dolci e ossessivi della sua “infanzia lunga”, giocando adulta con l’ombra di una nonna rivista e risentita, capronianamente, nei dettagli insignificanti:

L’aula dove
commentavi Montale
dietro il filtro delle Philip Morris blu
è deserta alle cinque di pomeriggio.
Rimane uno sbaffo di gesto, chiazze
alla finestra, la bufera che s’arresta.
La crux desperationis consumava quel
momento, il bluff lachmanniano
in cui il mio futuro pareva rifrangersi
nel dettato di Coluccio
o di Bonagiunta Orbicciani. Tutto parve per 5 anni
essere ecdotica, Contini e amor cortese
a me che adesso, invece
del dialetto pisano-lucchese, biascico l’inglese

(p. 182)

Ultime due sezioni fra Marco Simonelli, poeta dal respiro (e dal verso) ampio, che all’occorrenza sa serrare il ritmo come nella bellissima Palinodia (p. 250) o procedere per flash narrativi che inquadrano da vari angoli e con tecnica sofisticatissima storie di stravolta normalità, e Mariagiorgia Ulbar, che propone al lettore l’itinerario di un viaggio-universo fatto di soste, illuminazioni, attese, coincidenze, come dire le immagini di una peregrinazione fuori contesto, dove “le strade e le cose” prendono direzioni inattese eternamente tornando al gioco della memoria di sé. Sette proposte in questo Undicesimo Quaderno, sette voci piacevoli da ascoltare che oltre gli inganni e le approssimazioni dell’interpretazione seducono col suono la mente di chi legge.

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