"La Filosofia del Tè (istruzioni per l'uso dell'autenticità)" di Giorgio Linguaglossa al Salotto di Gioia Battaglia

“La Filosofia del Tè (istruzioni per l’uso dell’autenticità)” di Giorgio Linguaglossa al Salotto di Gioia Battaglia

“La Filosofia del Tè (istruzioni per l’uso dell’autenticità)” al Salotto di Gioia Battaglia. Presentazione del libro di finte cineserie di Giorgio Linguaglossa.

Roma, 23 aprile.

Nella giornata mondiale del libro e del diritto d’autore,  mentre io leggo, viene celebrata la presentazione di un libro in un salotto letterario romano rinverdendo il tempo in cui esistevano i salotti letterari. È dall’America che viene questa moda alternativa e privatistica forse per bypassare gli inghippi della gestione pubblica della cultura.
Dunque, la serata è presso il Salotto di Gioia Battaglia Manacorda, a Roma, in via Donatello, sul Lungotevere Flaminio che si affaccia di fronte Prati, con San Pietro sullo sfondo e il venticello capitolino che ti accarezza piacevolmente se ti affacci sulla terrazza con relativo giardino pensile. Protagonista, il nuovo libro di Giorgio Linguaglossa, La filosofia del tè (istruzioni per l’uso dell’autenticità) edito da Ensemble. Modera la padrona di casa mentre l’analisi del volume è affidata a Silvana Palazzo.

Sulle poltrone, fra le altre copie sparse della rivista Redazione Unical, un paio di Le stagioni della mente di Silvana Palazzo con in copertina un dipinto di Gioia, volume edito dal Cjc e presentato due anni fa sempre a Roma. L’autore sta inizialmente in disparte. Non è seduto davanti al tavolo perché il tavolo, semplicemente, non c’è, se no che salotto sarebbe! Ovviamente, abbonda il tè che gli invitati sorseggiano prima di abbeverarsi di … conversazione. Che inizia in orario, alle 21. La Palazzo cita uno dei protagonisti del libro, il Maestro cinese Me Ti  il quale dichiara che la filosofia del tè, è diversa da quella del caffè, quest’ultima è occidentale, mentre la prima è orientale, entrambe le bevande utili per orientarci nel mondo. Un allievo chiede a Me Ti se la filosofia del tè può essere utile per meglio orientarsi nel mondo e nella poesia. Bisogna imparare. Così parla Me Ti mentre passeggia per il giardino fiorito. Si è all’inizio del volume, ambientato in un passato-futuro, o futuro-passato. L’Autore, sintetizza la Palazzo, intrattiene gli allievi con novelle o parabole, con pillole di saggezza di finta cineseria. Secondo la Palazzo il silenzio può essere anche più eloquente della parola ma negli scritti di Linguaglossa  la metafora ossessiva è la Parola, che ritroviamo nelle parabole più belle. Per Victor Hugo, ricorda una delle presenti, «Le verbe est dieu».

Nel passato-futuro descritto dal testo appaiono tanti piccoli mondi a se stanti, come la Città del riso: dantesca e felliniana fantascienza e mondo incantato, utopia e panopticon, Campanella e Truman Show. La Palazzo continua nelle lettura e nell’esegesi,  sul «grande metodo» teorizzato da, Me Ti il quale spiega che lo si scrive tutti insieme , «il grande metodo è democratico». La stessa Bellezza va resa democratica. È questa la rivoluzione profetizzata da Me Ti.
Linguaglossa afferma, dal canto suo,  che la felicità forse esiste ma in questo mondo i problemi rimangono tali perché il cristianesimo sposta la felicità nell’altro mondo. “Io mi sono occupato, riprendendo Heidegger, di autenticità, in tedesco Eigentlichkeit, la facoltà di essere una singolarità che ognuno interpreta in modo personale. Il tema dell’autenticità viene svolto mediante esempi concreti, apologhi, parabole, dialoghi tra maestri e allievi che illuminano quano sia difficile mantenersi se stessi  anche nella nostra vita quotidiana. Si può dire che in ogni istante del nostro quotidiano siamo immersi nel problema della autenticità.

Seneca è l’ultimo filosofo che ha osato misurarsi con il problema della «felicità», con le sue parole, il «summum bonum». Seneca dichiara:  «non rinuncio ai mie beni perché i miei beni mi consentono di aspirare alla felicità». I problemi Principali della nostra epoca sono la mancanza di libertà, la fede, i fondamentalismi religiosi, le dittature che non consentono alla autenticità di venire alla luce quale uno dei problemi principali della nostra civiltà. Allora, dichiara Linguaglossa, «mi sono inventato una distanza di 2500 anni dalle Torri Gemelle di New York» per osservare il nostro Presente. Un futuro-passato in cui un gruppo di filosofi cinesi tratta di questo problema raccontando delle parabole. Linguaglossa afferma poi che la parabola è un genere letterario antichissimo che consente di dire cose in modo semplice ma anche con dei sottintesi, dei significati profondi, che consente di parlare a una vasta schiera di lettori, anche i meno acculturati. Linguaglossa poi ricorda che Emanuele Kant scrisse la trilogia della Critica della ragion pura, della ragion pratica e del giudizio perché si era risvegliato da un lunghissimo sonno durato vari decenni. Noi nel sonno pensiamo, afferma Linguaglossa, le decisioni fondamentali della nostra vita le maturiamo durante il sonno. Poi durante il giorno operiamo. Il libro intende appunto indagare sul grande ruolo che ha il sonno nella nostra vita biologica e sociale, non è tempo gettato via. I maestri cinesi quando devono affrontare problemi complessi posti dalle domande degli allievi, si rifugiano nel sonno. Le emozioni sfuggono, l’autenticità resta. L’emoziona per eccellenza, l’amore, è anti-Tanatos, osserva uno dei presenti, ed altri intervengono, fra brainstorming, e il dibattito si allarga e coinvolge tutti i presenti. Si osserva che il periodo di Confucio e Pitagora è stato positivo, ha permesso il successivo periodo di esplosione della filosofia. Altri osservano che l’aramaico, linguaggio dell’impero persiano, era la lingua di Gesù che usava appunto le parabole (il sanscrito era dei nobili, dei sacerdoti) per comunicare alla folla pensieri complessi.
Il dibattito si accende, si sposta su temi universali, il cosmo, l’antimateria, l’energia oscura che attira negli spazi sempre più periferici sia la materia che l’antimateria del nostro universo condannandolo ad un progressivo raffreddamento e disfacimento.

Eigentlichkeit, uneigentlichkeit sono le due possibilità fondamentali dell’esistenza, nel loro significato etimologico: ciò che è proprio (eigen) e ciò che non è proprio di un’esperienza sempre mia. La morte, che è la possibilità più propria di ognuno, fonda l’esistenza in quanto essere-per-la-morte. L’Esserci inautentico è il Si.
Il problema dell’autenticità, afferma Linguaglossa, è il vero problema di oggi, è il problema che ci consegna la storia, sia quella individuale esistenziale  che la macrostoria.
Interviene il critico cinematografico Ugo G. Caruso, ospite della serata, a sottolineare la differenza odierna fra Occidente e Oriente. «I giapponesi si muovono tutti di concerto, lavorano come una falange macedone ed essi non hanno tempo per l’ozio, e quindi per l’autenticità».  In Cina lo sfruttamento dell’uomo, comunista e capitalista, lo ha annullato come individuo, rendendolo schiavo del denaro. Il pericolo è ora la orientalizzazione del mondo occidentale. Il loisir, anche in Occidente tende a scomparire mentre la tecnologia rischia di consegnarci un uomo alienato. Il soddisfacimento dei crescenti bisogni alienati in Occidente spinge gli uomini verso una alienazione sempre maggiore, il che rende sempre più problematico raggiungere l’autenticità.

Linguaglossa  chiude la serata esponendo la tesi del famoso fisico Michio Taku  secondo il quale dio è una entità che parla matematica e che abita l’Iper-spazio a 10 dimensioni più il tempo; il problema dell’autenticità nella nostra epoca si pone come l’orizzonte decisivo delle  filosofie  del nuovo esistenzialismo, proprio perché dio sembra aver abbandonato il nostro piccolo universo e si è ritirato a villeggiare nella sua dimora presso l’iper-spazio. Sta a noi e solo a noi, dunque, trovare le chiavi di una esistenza giusta e dignitosa. Così oggi si torna a parlare di Autenticità come si parla di Iperspazio.

Attraverso l’iperpropulsione, sfruttando l’energie degli elettroni, una immaginaria astronave balza praticamente di colpo a una velocità migliaia di miliardi di volte superiore a quella della luce per penetrare nell’iperspazio, sfruttando questa spinta inimmaginabile per forare l’iperspazio e praticamente per entrare all’interno di esso. Durante l’ipersalto, la velocità aumenta ancora e la costante della luce cresce milioni di volte (300 x 109 km/sec.), anzi migliaia di miliardi di volte (300 x 1015 km/sec).

E così parlando, La filosofia del tè approda alla filosofia del sé e alla fuga di Dio in un angolino dell’Iperspazio.

(A.F.)

La parola di ferro

L’ultima volta che vidi il maestro Yze

stava chino sulla riva dell’oceano davanti ad una fornace,

metteva torba nella fornace

da dove usciva un magma di ferro incandescente

che lui colava in appositi stampi quadrati,

poi saldava i singoli blocchi

uno sull’altro, nell’altezza e nella larghezza,

per costruire un muro di ferro

che divenne ben presto alto e massiccio

come le mura di Ninive o di Babilonia…

Così, davanti al mare salato

crebbe l’invalicabile muro ferrigno

fin quasi a toccare il cielo.

Un giorno, l’ultimo degli allievi, timido e sgomento, gli chiese:

«Maestro perché questa barriera di fronte al mare?

non esiste muro invalicabile

che alla fine non ceda alla corrosione, alla ruggine del mare…

E alla fine anch’esso si sgretolerà e finirà nel nulla…».

Ma il maestro Yze non lo degnò di alcuna risposta.

Continuò ad erigere il muro fino alla fine dei suoi giorni.

Forse, questa è stata l’ultima parola del maestro Yze:

costruire una parola di ferro,

salda come il ferro, pesante come il ferro,

che fungesse da argine al mare spumoso…

La poetica del maestro Lu Shun

Il maestro costruì con le proprie mani una porta di legno

impiantò lo stipite nel fondo melmoso del lago

e posò la porta pesante sui cardini mutevoli.

Trascorsero dieci anni durante i quali il maestro

si immerse in un sonno profondissimo e al risveglio

prese a tagliare gli alberi del bosco per farne tavole.

E costruì una porta sottile come una foglia

e la fissò sul ramo più alto d’un albero

così che il vento al suo passaggio l’apriva e la chiudeva.

Trascorsero altri dieci anni durante i quali il maestro

si immerse in un sonno profondissimo e al risveglio

prese a tagliare gli alberi del bosco per farne tavole.

Costruì una porta pesante e la posò sui cardini mutevoli

e la immerse nel fuoco in modo che esso

potesse ardere dall’interno la porta in un solo falò.

Perché l’acqua riposa nel vento

e il vento riposa sul fuoco

che alimenta il Tutto e lo distrugge.

La poetica del maestro Lin Pin

Ho cercato tra un milione di parole quella giusta per indicare l’Anima, ma non l’ho trovata.

Al suo posto però ho trovato un buco.

Un tunnel così tortuoso e profondo… senza fine.

Ho sortito tutti i tentativi ma non sono mai riuscito ad avvistarne il fondo.

E allora… ho preso a riempire quel buco di parole. Tante parole, così alla rinfusa… E poi in modo sempre più frenetico, convulso.

È questa credo la mia poesia e la mia poetica: con disperazione tento di riempire quel buco pur sapendo che mai ci riuscirò.

Il maestro-calzolaio

Fu lì che il maestro Osho prese a battere la tomaia sull’incudine, a incollare la suola alla tomaia, e poi tanti piccoli chiodi… li batteva ad uno ad uno per fissare la suola alla tomaia…

Fu allora che il maestro lasciò il peripato e divenne calzolaio. Sì, faceva scarpe. Solide, utili per andare nel deserto o coltivare pomodori.

Dalla mattina al tramonto batteva chiodi sulla suola e, col mastice, l’attaccava alla tomaia…

A quel tempo – non avevo ancora l’automobile –  io giravo ancora attorno al maestro ma quello, imperturbabile, fabbricava scarpe, ineleganti ma solide.

«Maestro – gli dissi un giorno – le tue scarpe sono brutte, ineleganti…  non riuscirai mai a venderle!».

Poi smisi di interrogarmi, e andai per il mondo, mi mescolai alla folla. Un giorno presi moglie

ed ebbi anche dei figli. E ciascuno andò per la propria strada.

Chi diventò assassino, chi si dedicò al commercio di maiali, chi divenne cambiavalute lucrando sulla differenza e le oscillazioni delle monete…

Fu allora che un giorno tornai dal maestro-calzolaio e gli dissi: «maestro, non mi riconosci? Ero io il tuo allievo prediletto! Tanti anni fa…».

Ma quello continuò a battere sull’incudine la suola di cuoio tenendo tra i denti i piccoli chiodi…

salotto di Gioia Battaglia