"Il politico" di Pee Gee Daniel

“Il politico” di Pee Gee Daniel

Recensione a cura di Massimo Castiglioni di “Il politico” di Pee Gee Daniel.

Difficile (ma non impossibile) pensare che un inetto possa fare un qualsiasi tipo di carriera, in particolar modo carriera politica, visto il carico di responsabilità e capacità richiesto, apparentemente, da una simile professione; eppure Pee Gee Daniel – pseudonimo di Pierluigi Straneo – col suo romanzo Il politico sembra giungere a una conclusione diversa: in un paese come l’Italia, è proprio l’inettitudine il punto di partenza per iniziare la scalata ai vertici dirigenziali nazionali.

Il politico è la vicenda, a tratti grottesca e violenta, della clamorosa affermazione politica di un bizzarro personaggio senza nome, indicato dall’autore o col pronome di terza persona “lui”, o con i soprannomi con i quali è conosciuto in giro: l’umiliante e denigratorio “Mangiamerda” prima, e l’intimidatorio e rispettabile “Lupo mannaro” poi. La scelta di non definire con precisione il protagonista contribuisce ancor di più a creare l’immagine di un individuo incompleto, non dotato di una vera personalità e di una capacità di relazionarsi alla realtà circostante, ma totalmente svuotato di qualsiasi caratteristica emotiva comunemente accettata. L’impressione è quella che il “Lupo mannaro”, oltre a essere una specie di animale per via dei continui scatti di violenza che contrassegnano le sue avventure, sia una sorta di involucro al cui interno si annidano poche pulsioni scomposte e spontanee accostate a un’indifferenza dominante. Questa assume i tratti di un vuoto emotivo, di un’incapacità di provare affetti, di dare peso alle cose, di distinguere il bene dal male; il che è un elemento distintivo di “lui” fin dall’infanzia, quando partecipa alla morte “accidentale” di un cuginetto. Una svolta nell’esistenza di questo inetto, completamente disinteressato alla normale vita degli esseri umani e privo di volontà come fosse un automa, si ha quando si imbatte casualmente nel sito internet del Movimento, un gruppo politico xenofobo di estrema destra comandato da squallidi individui millantatori e arrivisti che non mancheranno di dare prova di scarsa intelligenza, specie quando si troveranno costretti a constatare l’irrefrenabile ascesa di Lui, che da “Mangiamerda” si evolve in “Lupo Mannaro”; che da sconosciuto diventa un qualcuno, rispettato e temuto; che in un susseguirsi di violenze, dipinte con morboso autocompiacimento dall’autore, compie un’inarrestabile scalata sociale.

Nel Movimento si riassumono, con una certa abbondanza di banalità e luoghi comuni, alcune pessime abitudini alle quali ormai siamo tutti avvezzi: una spiccata demagogia, una pressoché inesistente dimensione ideologica declinata verso l’estremismo e una disposizione a intendere la politica unicamente come possibilità di carriera e occupazione di spazi piuttosto che impegno per la cosa pubblica. Del resto, scopo fondamentale del gruppo è demolire le (poche) certezze del presente presentandosi sotto le vesti di un’alternativa: «Il Movimento aveva fornito l’insicurezza di un presente in pieno sfacelo invece di dare all’elettorato la speranza in un domani migliore». Sotto una luce tanto negativa, il Movimento e il protagonista ideati dalla fantasia di Daniel diventano il simbolo di una insopportabile deriva politica in cui solo il marciume e la negatività trionfano. Una simile prospettiva critica potrebbe trovare ampi consensi nel pubblico dei lettori, data la comprensibile sfiducia con cui la massa guarda alla classe dirigente italiana, ma finisce col crollare sotto il peso del suo insopportabile populismo e delle fastidiose immagini di violenza e brutalità che nella loro inutile ridondanza accompagnano l’intera narrazione, col risultato di far scivolare in secondo piano ogni altra questione ricercata e analizzata dal romanzo.

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