Ignazio Silone, nuovi spunti di riflessione

Ignazio Silone, nuovi spunti di riflessione

Il prof. Dario Biocca risponde all’articolo del prof. Alessandro La Monica, incentrato su alcuni aspetti controversi della figura di Ignazio Silone (“Silone: quale dissimulazione?”), apparso su Patria Letteratura il 21 luglio 2014. Un’importante occasione di confronto per i nostri lettori.

Silone era una spia, ma è vero oppure è falso? E’ una bufala degli storici revisionisti o è una “tragedia nazionale”, come l’ha definita Adriano Sofri? La scrittura di Silone va reinterpretata alla luce di nuovi elementi biografici oppure, come in passato, celebrata, difesa e valorizzata? Percorsa dal dubbio, una parte della storiografia e della critica letteraria oggi tace o minimizza. Nel giudizio di alcuni la verità è nel mezzo: Silone fu una spia ma senza conseguenze; per appena due anni, come ha decretato Giuseppe Tamburrano, Silone finse di collaborare con la polizia di Mussolini ma non procurò danni ai compagni e agì solo nell’interesse del fratello, incarcerato dagli sbirri del regime. Non fece alcun male, Silone non ne sarebbe stato capace. Alla fine, dunque, è tutto vero ed è anche tutto falso, una tempesta in un bicchier d’acqua, chiasso mediatico. Silone resta Silone.

Ho dedicato più di dieci anni alla stesura di una biografia di Ignazio Silone, pubblicata da Rizzoli nel 2005. Ho inoltre pubblicato i primi saggi dedicati all’analisi di documentazioni di polizia inedite e riguardanti Silone. Alessandro La Monica, in un articolo apparso recentemente su Patria Letteratura, ritiene che il mio lavoro contenga inesattezze, esagerazioni, insinuazioni e persino manipolazioni; solo nel mio primo articolo, apparso su Nuova storia contemporanea, avrei “conservato ancora un certo equilibrio” (sic, ne prendo nota); il mio “castello accusatorio” (ancora…) appare viziato da troppi errori. Altri, autorevoli studiosi hanno infatti dimostrato in questi anni che la schizofrenia che io attribuisco a Silone è una forzatura, così come la presunta attività di informatore. La mia tesi presuppone una attività di doppio gioco che Silone, in realtà, non svolse mai – se non, come si è detto, “a fin di bene” — cioè nel tentativo di salvare il fratello in carcere. Silone, nel corso della sua vita, non tradì nessuno. La Monica prova quindi a mettere in dubbio l’attendibilità e la serietà del mio lavoro elencando imprecisioni e inesattezze rinvenute (da altri) nel mio testo.

Sono passati quasi dieci anni dalla pubblicazione del libro e permangono ancora dubbi, perplessità, incredulità di fronte ad accuse che ad alcuni paiono abbagli – e ad altri peggio. Davvero Silone avrebbe rivelato le generalità e gli spostamenti (inviando persino una fotografia) dell’amico Mario Lanfranchi, in procinto di ritornare clandestinamente dalla Francia sotto falso nome? Davvero avrebbe spiegato alla polizia i trucchi e i travestimenti dei dirigenti del Partito al momento di varcare il confine? Davvero fu Silone a illustrare alla polizia di Mussolini i risvolti della politica staliniana e le sue conseguenze per il partito di Gramsci e Togliatti? Rivelò anche i conti bancari segreti del Partito comunista e l’indirizzo delle sedi clandestine a Parigi, tracciando una mappa dettagliata delle strade?

Ho già risposto in saggi, articoli, interviste e, naturalmente, nella biografia a ciascuna delle obiezioni sollevate da La Monica e relative a singoli documenti. Confermo, in ogni dettaglio, quanto ho già scritto: negli anni in cui militò nel Partito comunista, fino a diventarne uno dei massimi dirigenti, Silone fu un informatore (retribuito) della Questura di Roma e poi della Polizia politica di Mussolini; riferì regolarmente a un Ispettore generale di PS, Guido Bellone, con il quale ebbe un rapporto intenso e personale, interrompendo la sua attività di fiduciario — così allora si chiamavano le spie – nel 1930, quando fu colto da una crisi politica e psicologica e si fece espellere dal Partito comunista. Del resto, nella sua nuova posizione di “ex compagno”, nulla più avrebbe potuto rivelare. I comunisti non gli strinsero mai più la mano né gli rivolsero la parola. Non conosco altre vie per dimostrare in modo più persuasivo ciò che ho già spiegato in centinaia di pagine di analisi documentarie e repliche; ogni volta, nell’asprezza delle polemiche, l’”asticella” che separa il vero dal falso sembra innalzarsi. Per alcuni nulla è mai certo, la controversia non ha fine.

Confermo quindi l’attribuzione a Silone delle informative riprodotte nei miei saggi e nella biografia, inclusi i documenti più sconcertanti. La comunità degli studiosi in Italia e all’estero, tuttavia, non è più così divisa sulla questione delle carte dell’archivio e i rapporti di Silone con la polizia. Negli anni scorsi Giuseppe Tamburrano e altri hanno scritto parole molto dure, fino all’ingiuria personale, ma alla fine anche Mimmo Franzinelli, inizialmente scettico per l’approccio troppo “indiziario” adottato da me (e da Mauro Canali), ha confermato su L’Indice che i documenti di polizia attribuiti a Silone, “tutti i documenti”, sono autentici e redatti da Silone – anche le relazioni risalenti agli anni precedenti l’arresto del fratello. Silone non si finse una spia, Silone fu una spia. Le notizie fornite a Bellone erano autentiche, verificate e quindi utilizzate nelle indagini sui comunisti in clandestinità. Non si è individuato un solo caso di errore o di deliberata omissione. Se ciò può considerarsi accolto dalla storiografia (si vedano le autorevoli recensioni degli Annali Sissco, dopo anni di polemiche), permane invece la difficoltà di decifrare le ragioni, il significato e le conseguenze di quanto avvenne. Ed è questa difficoltà, io credo, a intimorire gli studiosi. Lo comprendo per essermi io stesso e per primo cimentato nell’impresa; il problema è davvero complesso.

Viene da chiedersi, per esempio, chi nel 1926-8 fornì al Tribunale speciale le notizie necessarie a condannare Antonio Gramsci a venti anni di reclusione. Quelle notizie, come sappiamo, furono comunicate ai giudici dall’Ispettore Bellone il quale dichiarò di disporre di fonti bene informate ai vertici del Partito comunista. In effetti, quelle informazioni non provenivano dai fascicoli del Casellario politico né da altre indagini in corso su Gramsci. Tutti conoscevano l’autorevolezza e il ruolo del segretario del Pcd’I ma il Tribunale speciale, per emettere la sentenza, esigeva prove circostanziate. Bellone le fornì con meticolosa precisione. La sua fonte, con ogni verosimiglianza, era Silone. Solo lui, tra i dirigenti del Partito a conoscenza di quelle notizie riservate, le avrebbe confidate a un funzionario di Polizia; del resto, lo aveva già fatto, alcuni anni prima, in occasione dell’arresto di Amadeo Bordiga. Non si tratta quindi di una insinuazione ma di una ipotesi suffragata già da elementi documentari che non dovrebbero più destare sorpresa o sconcerto. Ne ha scritto già, con intuito e intelligenza, anche Luciano Canfora in un recente studio sulla prigionia di Antonio Gramsci. La storia del movimento comunista ci ha abituato, del resto, a ben altri e più raccapriccianti episodi.

Vorrei rispondere ad almeno alcune delle osservazioni di La Monica, il quale intende persuadere i lettori che la ricerca in archivio è stata condotta da me con superficialità e colpevole noncuranza. Allo scopo di sollevare dubbi sulla autenticità delle informative inviate alla polizia e attribuite a Silone, La Monica accoglie le osservazioni di Gianna Granati in relazione alle date e ai luoghi di provenienza di alcune informative. Senza spiegare che le lettere manoscritte venivano inviate dall’estero per posta, trascritte dai funzionari di polizia e trasformate in “Note informative”, Gianna Granati scrive che “in quei giorni” Silone non era più in Belgio (o a Parigi o a Marsiglia ecc.) dunque non poteva essere l’autore di quelle relazioni. Ripeto, come ho già scritto nel libro e in altri saggi: la data era apposta dai funzionari di polizia al momento della trasmissione delle relazioni alla Divisione generale di PS, dunque non coincideva con il giorno in cui il fiduciario le aveva redatte all’estero. Mauro Canali, per dimostrare la provenienza delle carte oltre ogni ragionevole dubbio, ha pubblicato gli originali manoscritti rinvenuti negli Atti speciali del Ministero dell’interno illustrando la procedura con impeccabile precisione. Darina Laracy, moglie di Silone, ha riconosciuto l’autenticità delle carte e la grafia (del resto inconfondibile) di Ignazio Silone – eppure l’asticella è di nuovo salita. Nulla persuade, ci deve essere un’altra spiegazione…

“Pur in mancanza di riscontri documentari”, scrive ancora La Monica, Mauro Canali e io avremmo fatto risalire l’inizio della collaborazione di Silone con la polizia al 1923, dunque cinque anni prima dell’arresto del fratello di Silone, Romolo. Ciò appare a La Monica inverosimile e indimostrato. Chi dunque, a giudizio di La Monica, sarebbe l’altro “Silvestri”, lo pseudonimo con il quale Silone firmava le informative, il quale dalla Francia nel 1924 scrisse alla Questura di Roma riferendo di un fratello disoccupato, di familiari in condizioni economiche disagiate e altro ancora di natura personale – ma fin troppo riconoscibile –, prima di svelare la struttura clandestina delle “Centurie comuniste”? E quale altro informatore denominato Silvestri avrebbe scritto alla Polizia appena pochi giorni dopo l’arresto di suo fratello chiedendo immediate rassicurazioni sulla sua sorte? I riscontri sull’attività di Silone-Silvestri negli anni che precedono il 1928, in realtà, sono numerosi, solidi e inequivocabili ancor più di quelli rinvenuti per gli anni 1928-30. La Monica è libero di pensarla diversamente. Tuttavia, se accoglie un suggerimento che nulla vuole avere di saccente, lo invito a esaminare le carte dell’archivio — questa volta senza la mediazione di altri e con i propri occhi – e indicare chi, se non Ignazio Silone, inviò relazioni informative alla polizia celandosi dietro lo pseudonimo di Silvestri tra il 1923 e il 1930. Deve trattarsi, su questo almeno vi è l’accordo di tutti gli studiosi, di un dirigente di primo piano del Partito comunista.

Non si tratta quindi di uno sterile esercizio accademico o di sollevare ancora chiasso mediatico bensì di fornire alla comunità degli studiosi elementi di valutazione che a me sembrano dirimenti e dirompenti per lo studio della biografia politica e, ancor più, della produzione letteraria di Silone. Se Silone ha vissuto due vite, come io credo, la lezione che apprendiamo dai suoi scritti è diversa ed è più profonda, richiede nuovi e più complessi strumenti di indagine. Nessuno sembra essersi neppure accorto di ciò che Silone stesso ha più volte ricordato al suo affezionato pubblico di lettori ed estimatori: un segreto si nasconde nella sua vita e tra le righe dei suoi libri.

Vorrei infine sottoporre all’attenzione di La Monica e dei lettori di PL un ulteriore elemento di valutazione. All’atto di consegnare all’editore il testo della biografia ho omesso documenti e testimonianze sulla vita privata di Silone, in particolare relativi alla sfera affettiva e sessuale, i rapporti familiari, i disturbi nervosi di cui lo scrittore soffrì a lungo, la terapia psicoanalitica, i sogni. Non ho inoltre pubblicato alcuna delle circa 80 pagine di interviste a Darina Laracy, come mi ero impegnato a fare su richiesta della vedova. A volte il biografo acquisisce elementi che non può rendere noti, anche quando si tratta di scrivere di personaggi pubblici, nel rispetto della riservatezza, per pudore o solo per onorare un impegno assunto. Ciò mi ha impedito di approfondire alcuni temi che ora giudico importanti e persino decisivi. Sono consapevole di questa debolezza interpretativa del mio libro e me ne dispiace; eppure mi sorprende, ogni volta, che i critici – anche più attenti – si soffermino sulle date apposte sui documenti alzando il sopracciglio mentre oltrepassano, senza guardare, altri e ben più significativi elementi — umani, intimi, a volte dolorosi e a volte del tutto sconosciuti – che hanno segnato la vita di Silone come di tanti altri protagonisti (e vittime) del Novecento.

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