Giuseppe Berto, il centenario dalla nascita di una voce “irregolare”

Giuseppe Berto, il centenario dalla nascita di una voce “irregolare”

Il 2014 segna il centenario dalla nascita di Giuseppe Berto, una voce “irregolare” del Novecento italiano.

Il secondo dopoguerra, dal punto di vista letterario, è stato un terreno estremamente fertile. Le dolorose vicende di quegli anni hanno portato alla luce moltissime storie: storie individuali che si confondevano con quelle del resto d’Italia. In un momento storico-culturale così delicato, forse più che in altri, è risultato difficile comprendere a pieno e dare spazio a personalità uniche e così determinate a muoversi controcorrente come quella di Giuseppe Berto. Questo perché l’autore, racconta Gaetano Tumiati – suo compagno di prigionia in Texas – prendeva ostinatamente le distanze «da una certa tradizione aristocratica, intellettualistica del mondo letterario italiano contro la quale Berto ha sempre sparato a zero, convinto com’era che la misura dei valori andasse fatta con metro diverso». Forse per questa ragione, in vita, l’autore non ha mai riscosso troppo il favore della critica, pur suscitando l’acceso interesse del pubblico fortemente incuriosito da un personaggio tanto originale.

Nel 2014, a cento anni dalla nascita dello scrittore, la prospettiva cambia: non solo si sono dissolti i pregiudizi che – da parte di entrambe le fazioni politiche – in qualche modo hanno sempre pesato sulla figura di Berto, ma la lettura delle sue opere risulta intrisa di un’attualità sorprendente. Giuseppe Berto è uno di quegli scrittori che portano dentro di sé non una, ma cento storie: la sua scrittura fortemente autobiografica lega ogni suo libro più alla vita che alla letteratura, rendendolo così resistente al tempo. Berto ha lasciato una copiosa eredità di scritti tra cui si ricordano in particolare: Il cielo è rosso (1947), Il brigante (1951) e il suo capolavoro Il male oscuro (1964) – una profonda analisi interiore ricostruita grazie alla terapia psicoanalitica e raccontata attraverso uno schietto flusso di coscienza dallo stile marcatamente personale – . Ma l’autore non si è dedicato solo alla letteratura: ha lavorato come giornalista, ha scritto drammi, lavori teatrali e molto altro. A rendere omaggio alla sua figura oggi è l’Associazione Giuseppe Berto che, nata a Mogliano Veneto agli inizi del 2013 su iniziativa di Manuela e Antonia Berto e presieduta da Cesare De Michelis, ha organizzato un intenso e significativo programma volto alla riscoperta dell’autore e delle sue molteplici inclinazioni.

Luogo privilegiato per la presentazione del programma è stato il Salone Internazionale del Libro di Torino – ormai giunto alla sua XXVII edizione – dal momento che quest’anno il Veneto ha partecipato in qualità di Regione ospite. Nell’arco della fiera sono stati ben tre gli eventi dedicati all’autore: una conferenza stampa volta a presentare le attività dedicate al centenario – promosse dall’Associazione Giuseppe Berto e dal Comitato della Regione Veneto – , un incontro con interventi di Cesare De Michelis e Antonio D’Orrico e, in anteprima, una performance teatrale intitolata “La passione secondo noi stessi” – dall’omonima opera di Berto – a cura degli studenti del “Liceo Giuseppe Berto” di Mogliano Veneto e diretta da Franco Demaestri. Ma il programma previsto è ancora lungo e ricco: in ottobre si terrà – a cura di Cesare De Michelis, Giuseppe Lupo ed Enza Del Tedesco – un Convegno Nazionale su Giuseppe Berto all’Università di Padova; nel mese di dicembre invece sarà rappresentata al Teatro Goldoni di Venezia una riduzione teatrale dell’ “Anonimo Veneziano” mentre, sempre nello stesso mese, il Teatro La Fenice presenterà un omaggio a “La Fantarca”: un’opera musicata dal Maestro Roman Vlad tratta dal romanzo dell’autore. Sono previste inoltre: la pubblicazione dell’inedito “Imitazione di Cristo” – opera che fu censurata da Rizzoli –  e di un quaderno di articoli critici postumi sull’autore a cura di Paolo Ruffilli; l’acquisizione dell’Archivio documentale di Giuseppe Berto col fine di donarlo al Dipartimento di Italianistica dell’Università di Padova e, portando avanti un progetto di ripubblicazione delle opere di Berto che la BUR ha iniziato nel 2012, la ristampa de “La cosa buffa”, “Oh, Serafina!”, “Le opere di Dio”.

Il centenario di Berto, con il suo ricchissimo calendario, diventa non solo un modo per celebrarne la figura, ma anche un pretesto per riscoprirlo in tutta la sua sorprendente modernità, liberi dai preconcetti del passato. E se Berto, in qualità di personaggio “irregolare”, ha da sempre sollevato una serie di polemiche, è lo stesso Cesare De Michelis a dichiarare che esse non solo non vanno evitate ma che, anzi, sono bene accette:

Ben venga anche qualsiasi polemica che riaccenda l’attenzione sugli “irregolari”  protagonisti di un secolo che sembra deciso a consegnare di sé un’immagine serenamente proiettata lungo le rotte del progresso, mentre invece si conclude su un inquieto scenario di rovine, che altri – proprio per questo dimenticati e rimossi – avevano saputo prevedere o annunciare, ricevendone in cambio un ostracismo preconcetto. Nel campo delle lettere l’equivoco è straordinariamente evidente. Ѐ chiaro a chiunque si riavvicini senza pregiudizi ai testi del nostro recente passato che forte e alto è stato il lamento degli scrittori di fronte al crudele e doloroso trionfo della Modernità.

L’attualità dei testi di Berto è innegabile: anche i ragazzi del Liceo Giuseppe Berto, nell’approfondire la conoscenza dell’autore, hanno scoperto con sorpresa di ritrovare molti aspetti a loro familiari nella sua opera. E la modernità si sprigiona al massimo grado nelle pagine del suo capolavoro: Il male oscuro. Questo è il libro di Berto che più in assoluto parla di vita, anzi la esamina: l’analisi dei suoi aspetti più umani e la scrittura vertiginosa priva di punteggiatura, portano inevitabilmente ad un avvicinamento spiazzante tra il lettore e l’autore. Ѐ la vita, allora, a rendere gli scritti di Berto destinati a resistere al tempo:

Se c’è stato uno scrittore che ha, spesso volutamente, confuso la vita e la letteratura in un groviglio inestricabile – racconta di nuovo Cesare De Michelis – questo senza dubbio è Berto, che non solo sembra attingere ogni volta all’esperienza autobiografica, ma pretende che ogni suo libro risolva per sempre i problemi che ha di fronte, dia risposte chiare e inequivocabili agli interrogativi che lo assillano. Davvero Berto è insofferente alle regole e alle convenzioni della letteratura, non di essa in realtà gli importa, ma della vita, e di questa, dunque, ci parla con drammatica autenticità, sia quando ricostruisce con puntigliosa precisione e verosimiglianza la storia del Brigante (1951), sia, soprattutto, quando riversa sulla pagina la  propria esistenza com’è evidente nel suo capolavoro, Il male oscuro (1964), ma anche nel successivo La cosa buffa (1966)

Il centenario dalla nascita di Giuseppe Berto allora non può che essere un’occasione: il momento giusto per scoprire – o riscoprire – la voce di un autore unico nel suo genere, il momento per imparare a conoscere quell’ “irregolare” che si è sempre espresso, secondo il critico e amico Domenico Porzio, «Fuori da ogni corrente, obbligato dalla sua disarmante sincerità a rimanere libero per poter obbedire alla sua onestà intellettuale».

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