A Trieste

“A Trieste. Passeggiate letterarie da James Joyce a Claudio Magris” di Matteo Chiavarone

Recensione di “A Trieste. Passeggiate letterarie da James Joyce a Claudio Magris” (Perrone, 2015) di Matteo Chiavarone.

Spesso mi sono domandato, con una guida turistica in mano, se davvero ciò che leggevo mi raccontasse i luoghi dove mi trovavo. Non in quanto fossi necessariamente turista, ma perché le pagine scritte non mi narravano di quei paesi e città. Stradario, guida monumentale e artistica con descrizioni, un testo di tal genere si rivela strumento utile, ma ci lascia un appetito insoddisfatto. In poche parole, affidarsi a una guida libresca talvolta è imprescindibile, ma si intuisce la distanza tra la pura fisicità della descrizione del luogo e ciò che esso davvero esprime, fermo restando che le cognizioni personali di ognuno di noi sono importanti.

Cos’è per esempio una città? A questa domanda ha risposto in modo esemplare l’autore Paolo Di Paolo alla presentazione del libro di Matteo Chiavarone A Trieste, che si è svolta presso la libreria Arion di Via Cavour a Roma. Ovvio, una città non esiste unicamente nella sua materialità, nella sua traccia storica, nelle bellezze artistiche e monumentali, ma nella dimensione delle persone, degli scrittori, dei registi, poeti e cantautori che ce l’hanno tramandata. I nostri occhi che guardano New York sarebbero gli stessi senza Woody Allen e altri che ne hanno filmato un certo clima sociale e culturale? Tanto per fare un esempio. E’ anche vero, credo io, che uno sguardo con poche sovrastrutture ci restituisca una dimensione altrettanto interessante. Essendo nato in un luogo turistico ho visto quanto, in bene e in male, la mente delle persone sia plagiata. Il pregiudizio – positivo, negativo, articolato -, altera alcune volte un ingaggio più naturale.

E’ però altrettanto palese che c’è un deficit culturale dei luoghi che si visitano e ben venga avere coscienza umana e intellettuale dei percorsi letterari e non solo, delle emozioni, delle circostanze che li hanno popolati. In questo senso la collana Passaggi di Dogana di Giulio Perrone Editore contribuisce a colmare una lacuna che è in essere nell’editoria, dove ci vengono proposti testi scheletrici nei loro percorsi emozionali oppure enciclopedici o divaganti e non per questo esaustivi.

A Trieste è un libro che non può non interessare, sia il lettore che non conosce questa città, sia il triestino che ha la possibilità di incuriosirsi a un testo ‘esterno’, scritto da un editore e autore romano, che per vocazione è attratto da quegli stati esistenziali di intermezzo, di transizione, di ridefinizione o definizione della propria identità. Matteo Chiavarone è per indole immerso in tale stato intellettuale e dell’anima,  e sa bene che questa oscillazione è fertilità per l’individuo, di qualunque zona sia. La dialettica nutre l’uomo, la letteratura. In effetti poi è un paradigma che appartiene a molti di noi. Trieste ne è anche un esempio concreto. Ogni città può essere vista come un ‘passaggio di dogana’: ‘sdoganarsi’ per accogliere ed essere accolti.

I nostri nonni o bisnonni non facevano turismo nel senso che si attribuisce oggi, ma se c’è una terra che hanno percorso con i loro piedi, se c’è un freddo più intenso che è penetrato nelle loro ossa e un pasto frugale consumato nel buio di una trincea, una speranza, una gioia o un dolore, diversi e potenti rispetto a tutte le lotte e le guerre che avevano vissuto in precedenza, questo ha un nome: il Carso, Trento, Trieste: la Grande Guerra. Un percorso che determinò il destino di molti di noi, con famiglie prive di padri. Al fronte. Non è retorica, ma puro dato di fatto, che si impone al nostro orizzonte come un monolite in una piazza. Il fatto è! Nella mia stessa città c’è un Parco delle Rimembranze con tantissimi cipressi, dove su ognuno è fissata un targa di un soldato caduto: medici, avvocati, contadini, infermieri, commercianti. In questo e in altri sensi Trieste è al contempo una città di confine ma anche più italiana delle altre, metafora del Belpaese, porta esso stesso del nord-sud-est-ovest del mondo. Passaggi di Dogana quindi calza alla perfezione per proporre una visione di italianità. Il testo di Chiavarone è tutt’altro che retorico e non segue neanche la strada di un revisionismo spiccio e spesso votato a strabiliare più che a informare, a fornirci fuochi d’artificio letterari piuttosto che stimoli veri, mi riferisco pure alle foibe, evento rimosso alla coscienza collettiva per troppo tempo. Matteo ci offre le sue emozioni innestandole ai percorsi letterari di Claudio Magris, James Joyce (che qui scrisse tanto, completò Gente di Dublino e inizio l’Ulisse), Italo Svevo, Giosuè Carducci, Umberto Saba, Gabriele D’Annunzio e l’amato Carlo Michelstaedter, autore di diverse belle poesie e di un testo relativamente conosciuto e controverso come La persuasione e la rettorica. Le citazioni e i passi scelti, spesso di Claudio Magris – il quale peraltro ha scritto il romanzo Un altro mare, in cui il punto focale è l’amicizia tra Michelstaedter ed Enrico Mreule), sono sempre accattivanti e organici a un percorso di visita, di approccio alla città, di nuova conoscenza, validi tanto per colui che va la prima volta a Trieste quanto per chi vi abita. Un testo breve, dove non c’è una sola parola in più, ma che al contempo offre una visione vasta e dei punti cardine, anche toponomastici, urbanistici, artistici e musicali che sono molto utili. Una narrativa agile che è guida, di immediata consultazione. Un equilibrio cercato e trovato. Belli i passaggi personali dell’autore, posti sempre con la forza di una verità personale.

E poi la Trieste dei caffè, della mitteleuropa. Così io vissi Trieste, associandola diversi anni fa nelle mie non troppo acculturate esperienze ma a significative frequentazioni: a una città borghese, rigorosa senza cipiglio, in un contesto, quello del Friuli, dove la gente più che riservata tende a non parlarsi addosso. In questo senso il contributo friulano al nostro paese sarebbe importante, dove non mancano individui che muovono appena un bicchiere e spargono ai quattro venti dicerie di improbabili imprese. Ma anche questo concetto, erede di una serietà di matrice austro-ungarica, non va assolutizzato. Del resto Trieste affonda quel suo fascino in alcune stagioni particolari, dove le fortune economiche e portuali della città la portarono prima a divenire un luogo di commerci e un crocevia di umanità, in un secondo momento le ingenti risorse fecero progredire e trasformarono la coscienza delle classi sociali. Delle bettole, della prostituzione a buon mercato, di marinai boriosi, straccioni e viandanti non è rimasto nulla in quei quartieri che oggi ci offrono il loro profilo elegante, raffinato, asburgico e austero. Chiavarone ci ricorda come oggi più che mai i giovani o gli abitanti delle nostre città tendano a omologarsi, come anonime figure di un centro commerciale, lo stesso con i medesimi esercizi, da nord a sud. Il piacere è anche nella differenza, e la differenza non è una sottrazione ma un arricchimento nell’identità personale, nazionale e sovranazionale. Uguali e diversi, e diversi per sentirsi più uguali.

Trieste città di scrittori che vi risiedono, che vi giungono, che se ne allontanano, perché nocciolo magmatico sostenuto da forze vitali e vettoriali diverse, perché Trieste è il nome amato di questa patria che non c’è, di questa essenza della propria vita che non si riesce a dire, di questa precaria eppure irrinunciabile sintesi fra il mare italiano e il Carso sloveno. Ma quella diversità imprecisabile e incompresa (…) è il luogo della poesia.

(Itaca e oltre, Claudio Magris)