«Sognatore di sogni vuoti» di Ian Seed
Recensione di Sognatore di sogni vuoti di Ian Seed (Ensemble, 2018), raccolta tradotta da Iris Hajdari.
Spiccioli. Queste piccole e veloci prose di Ian Seed sembrano spiccioli di vita, dettagli passeggeri, situazioni precarie in cui una baraonda di personaggi si accapiglia per un nonnulla, offre sorrisi imbarazzati, si scava nelle tasche alla ricerca di qualche moneta. Eppure, non è il piacere delle piccole cose l’oggetto di queste prose-poesie, non si tratta di una scrittura crepuscolare. Quello a cui mira realmente Ian Seed è qualcosa di più consistente, universale.
Il senso di queste pagine sta nel contrasto delle emozioni, nell’attesa di una realtà poco più che simbolica, nella prefigurazione ossessiva di un evento indubitabilmente vitale. Prendiamo ad esempio Sale (La vendita). Chi parla è in attesa di una folla che fra poco invaderà il negozio in cui – immaginiamo – lavora come commesso. Si tratta di vendere un misterioso tubo bianco luminoso dal molteplice utilizzo: torcia, cellurare, sex toy. Il sorriso del commesso, destinato all’apparenza, si mescola al sudore acido di un’emozione che monta e rende sgomenti. Il testo a questo punto si scopre, suggerendo che ci troviamo in un sogno, anche se si tratta di un sogno vuoto: we know we are once again the makers of empty dreams. Quando il negozio apre, la folla sommerge il commesso in palpitante attesa. Nell’emozione di una ressa che soffoca, ammette infine la voce, c’è il senso di sentirsi ancora vivi.
L’immagine di angoscia per un evento catastrofico che si deve verificare, come quello di Sale, rivela un’inusitata apertura a una spinta vitale che quasi non conosciamo più. La vita è violenta, questo vuol dirci Seed, la sua forza va al di là di tutte le nostre precauzioni o dei razionali timori. Aver paura di morire – il baratro del panico – può essere il primo passo per tornare a vivere.
Questa prefigurazione della morte è quasi in tutti i componimenti della raccolta. Sono piccole storie angeliche, che si concludono spesso al tavolino di un bar con uno sguardo complice o imbarazzato. Incontri, veloci scambi di battute, momentanee di una vita che si lascia scorrere meditando perplessa sulla corrispondenza di caso e senso, sul valore del significato che attribuiamo anche alle più piccole avventure.
Non si possono capire queste poesie fino in fondo se non ci si è mai trovati in una terra straniera. Lo sguardo di Seed è quello di chi attraversa una città sconosciuta aggrappandosi all’apparenza di quello che ha intorno e contemporaneamente al flusso ininterrotto dei propri pensieri. Chi si è trovato almeno una volta in questa condizione, capisce cosa significa trovarsi lontano dai propri vincoli culturali e familiari, essere oggettivamente solo, in rapporto diretto con una realtà che brilla davanti ai nostri occhi semplicemente per quel che è. Seed riesce a mettere magnificamente a frutto la condizione del “fuori sede” che si ricorda della propria vita di prima e guarda a quella presente con un certo distacco.
Eppure, l’aria trasognata di queste poesie non perde di vista quanto il caso possa essere feroce, quanto sia necessario difendersi dagli attacchi del caos in cui siamo immersi. Il senso che Seed sembra trovare alla fine di ogni componimento è rimesso radicalmente in discussione dal componimento successivo, in questa solida catena di istantanee a forte vocazione romanzesca. Al di là del bene e del male, tutto quello che dobbiamo fare in quanto lettori è affidarci alla voce interiore di un poeta che esibisce la propria goffaggine, i propri fallimenti, le cantonate, le umiliazioni subite. Con spietata autoironia, Seed ci accompagna nella sua biografia interiore, fatta di sospetti, inciampi e piccole rivelazioni.
Sognatore di sogni vuoti di Ian Seed unisce un onirismo bonariamente kafkiano a una visione disillusa e quasi cinica dell’esistenza. Ci suggerisce che i sogni e le speranze sono fatti di una materia bruta, anti-idilliaca, la quale appare priva di autenticità. È con questa materia che Seed preferisce lavorare, componendo un mosaico osceno e candido al tempo stesso.