Valentino Zeichen: "sono un poeta mondano e so fare i dialoghi"

Valentino Zeichen: “sono un poeta mondano e so fare i dialoghi”

Leone D’Ambrosio conversa con Valentino Zeichen. Il poeta ha partecipato a un convegno su Moravia e Pasolini tenutosi a Sabaudia.

Un dandy, un flaneur, un neo liberty, un francescano, un neoclassico beffardo, un Gozzano dopo la “Scuola di Francoforte” secondo Elio Pagliarani, un asburgico a Roma. Valentino Zeichen è poeta dalla vita leggendaria. Come la “baracca” dove vive,  nascosta in un vicoletto nel cuore di Roma a due passi da piazza del Popolo, che non ha mai abbandonato. Ma la fotografia più veritiera del poeta fiumano dal cognome tedesco che vuol dire “Segno”, l’ha data Giulio Ferroni quando  scrive: “Valentino Zeichen è come un libertino minimale, estroso viaggiatore sei-settecentesco, mai catturato in normalità istituzionali o ideologiche, con una sua morale tutta costruita e gestita da se stesso (proprio come quella degli antichi libertini)”. Valentino Zeichen l’abbiamo incontrato a Sabaudia nello storico Centro di Documentazione Angiolo Mazzoni,  durante un convegno internazionale organizzato dall’università di Roma Tor Vergata  su “Moravia, Pasolini e il conformismo, quarant’anni dopo”.

Dall’esilio di Fiume e dalla sua matrigna che lei definisce “musa crudele” è nata la sua poesia?

Sì, può darsi, perché mi ha seviziato, quindi essendo stato seviziato, come se fossi in un carcere, devo dire che devo molto alla mia matrigna per questa spietata disciplina, per questa violenza spietata.

Ma anche il collegio-riformatorio ha segnato la sua vita? 

Sì, anche quello, diciamo è stato un prolungamento della mia storia, un prolungamento della carcerazione familiare, perché anche la famiglia può essere un carcere, un luogo con un solo detenuto, che ero io. Mentre la casa di correzione siamo tanti i detenuti, quindi statisticamente v’è una suddivisione delle pene.  Allora, non è che tocca sempre a uno, tocca a tutti. Ecco, questo è un alleggerimento.

Non ha un buon giudizio su tuo padre?

Mio padre era un uomo che ha fatto due guerre mondiali, si è trovato difronte due guerre mondiali, ma che poteva fare se non incontrare l’infelicità. Nel senso della perdita dei beni, dover ricominciare. Ricominciare a Roma, ricominciare a Fiume dopo la caduta dell’impero austro-ungarico. Perché mio padre è del ‘900 e quindi si può capire.

L’ispirazione – secondo Valentino Zeichen –  è un pulviscolo lasciatoci in dono dagli dei e l’ironia  non abbandona mai la voce poetica. Allora, come definisce la sua poesia?

Io sono un neo-barocco, quindi una poesia costruita molto sullo humor, sull’ironia e sul concettismo. Infatti, a me piacciono i seicentisti, prendo a modello Ciro di Pers, per esempio.

A quale libro si sente più legato da “Area di rigore” (1974) a “Casa di rieducazione” (2011), passando per “Pagine di gloria”, “Gibilterra”, “Metafisica tascabile”, “Aforismi d’autunno”, “Neomarziale”?

Devo dire che il libro “Ogni cosa a ogni cosa ha detto addio” su Roma è un tentativo di scrivere un libro monotematico sulla civiltà romana e anche sulla città.

A  proposito di Roma, dove vive  da dopo il 1945, ma anche di Fiume, dove è nato nel 1938,  quali ruoli hanno avuto nella tua formazione poetica?

Fiume è qualcosa di lontano e di remoto. Sono andato qualche volta al mare ad Abbazia, ma questo trent’anni o quarant’anni fa. E’ perduto come mondo, come mondo dell’infanzia. Il mondo dell’infanzia è un mondo perduto, rimosso.

Pier Paolo Pasolini e Alberto Moravia che ha conosciuto, cosa le hanno lasciato?

Pasolini niente, perché non l’ho mai conosciuto personalmente. L’ho letto si, ma non credo m’interessi molto il suo pensiero e neanche la sua poesia. Moravia viceversa è una persona che ho conosciuto mondanamente.  Molti miei colleghi e amici lo accompagnavano al cinema il pomeriggio . Io l’ho conosciuto mondanamente e quindi devo dire, la lezione è una grande lezione di realismo, cioè dovuta anche alla sua classe sociale. Una classe sociale alta, alto-borghese, con una capacità di giudizio, di distacco assolutamente originale che non tutti si possono permettere, poiché bisogna appartenere a una classe alto-borghese a volte per poter capire la realtà. E questo è una dote, non dico naturale, storica, ma comunque sapeva farne uso. Grande precisione linguistica, voglio dire.

Quarant’anni dopo, in un unico volume vengono raccolte  tutte le  sue poesie e alcuni inediti negli Oscar Mondadori: “Poesie 1963-2014″. Adesso cosa sta scrivendo? 

Io adesso non sto scrivendo niente. Ho pubblicato con Appella de “La Cometa”, perché io scrivo anche per il teatro, “Macchie dipinte”, una commedia che ho scritto trent’anni fa. Quindi essendo mondano, appartengo al mondo, alla società, e sono uno che ha fatto migliaia e migliaia di pranzi e di cene.  Ecco so fare i dialoghi.