“Una giornata con Tabucchi”  di Paolo Di Paolo, Dacia Maraini, Romana Petri e Ugo Riccarelli

“Una giornata con Tabucchi” di Paolo Di Paolo, Dacia Maraini, Romana Petri e Ugo Riccarelli

Recensione di “Una giornata con Tabucchi” (Cavallo di Ferro, 2012) di Paolo Di Paolo, Dacia Maraini, Romana Petri e Ugo Riccarelli.

Mi ricordo quando mi è arrivata la chiamata. Era una domenica, una domenica di partite. Come sempre, o quasi sempre.

“Se n’è andato.”
Avevo paura di rispondere con un “chi” che presupponeva una mancanza di filo diretto con l’interlocutore.
E poi ho capito.

Maria Cristina, amica e autrice di “Tempeste e approdi”. Avevamo lavorato insieme al libro, avevamo gioito insieme all’arrivo via posta elettronica della quarta di copertina.
La firma di Antonio Tabucchi su un nostro volume. Ricordo l’emozione. E la felicità.

“Antonio se n’è andato”.

Cazzo, è la prima parola che mi è uscita dalla bocca. Poi un “mi dispiace”. Più per lei che per lui. Sapevo quale era il significato di quella notizia.

I giorni seguenti sono stati articoli sui quotidiani, immagini in televisione, commenti su internet.
È stata l’unica volta che ho creduto che il pianto mediatico – per quanto neanche troppo esteso – fosse almeno in parte sincero.

Giorni dopo (settimane? mesi?) Valentina, bravissimo ufficio stampa di Cavallo di Ferro, mi contatta e parla di un nuovo libro. Si trattava di “Una giornata con Tabucchi”, lo scrittore raccontato dai suoi “amici” (Paolo Di Paolo, Dacia Maraini, Romana Petri, Ugo Riccarelli).

Da un primo “te lo recensisco subito, lo leggo volentieri” sono passato a un “lo leggerò la prossima settimana”. I giorni passavano e di leggerlo non ne avevo proprio voglia.

Poi mi capita di ritrovarlo tra gli scaffali dei libri non letti. Cercavo un romanzo da portare in metro ma piomba su di me lo sguardo di Tabucchi, nel ritratto di Tullio Pericoli, che mi fissa come a rimproverarmi.

Inizio a leggerlo e un po’ invidio i quattro narratori. Per un motivo o per un altro li ho incrociati nel mio percorso e vorrei chiedere a ciascuno di loro: “va bene tutto ma chi era Antonio Tabucchi?”.

L’uomo, non l’autore.

Recensire questo libro sono sincero mi resta difficile.

Mi viene da parlare dei libri letti, di “Racconto indiano” prestatomi al tempo da un amico che studiava Sociologia.

O di quando ho fatto vedere “Sostiene Pereira” a dei ragazzi di scuola media e parlavo loro del libro e del Portogallo, terra “triste, solitaria y final” (rubando la frase ad un titolo di un meraviglioso libro di Soriano che non c’entrava nulla con Tabucchi né con la terra lusitana).

Non posso farlo, è mio dovere – dicono – di non mischiare vicende personali e critica dei libri (nell’accezione volgare delle recensioni).

Che dire allora?

Il giusto, spero. “Una giornata con Tabucchi” è un omaggio – vero, sincero – all’uomo e allo scrittore che consideravano “maestro” e amico.

Stagioni letterarie diverse: chi lo conosceva da tempi relativamente brevi (il giovane Di Paolo) e chi lo conosceva da molto (Dacia Maraini).

Chi ricorda la sua casa di Vecchiano, in Toscana. Chi ha avuto la fortuna di solcare la porta della sua casa di Lisbona. Chi conversava con lui in nottate al telefono a disquisire di luoghi e libri e cibo. Chi se lo era trovato compagno di viaggio. E chi, infine, aveva assaggiato la sua rinomata cucina.

Antonio Tabucchi in realtà è solo una luce, un nume tutelare che pervade tra le pagine di questo libro. Il vero protagonista è la nostalgia.

Una nostalgia serena, affettuosa, profondamente portoghese.
Le tante voci che parlano nel libro (non ultima quella di Carlos Gumpert, di cui viene riportata una sua intervista) sembrano affiorare e scomparire come presenze ora palpabili, ora intangibili.

Il senso del libro – onorare Antonio Tabucchi, forse (sicuramente?) uno dei maggiori autori italiani contemporanei – si perde nella lettura, velocissima, del volume.

Quello che ti rimane è un passaggio, il movimento del pensiero e del cuore verso qualcosa, l’opera di Antonio Tabucchi, che lascia la bellissima sensazione in bocca di un qualcosa ancora lontano dal concludersi.