"Tommaso Niccolò d’Aquino. Poeta et pastor", di Cosimo Dellisanti

“Tommaso Niccolò d’Aquino. Poeta et pastor”, di Cosimo Dellisanti

Recensione di “Tommaso Niccolò d’Aquino. Poeta et pastor”, opera di Cosimo Dellisanti.

 La pubblicazione del testo Tommaso Niccolò d’Aquino – poeta et pastor (Scorpione, 2014) di Cosimo Dellisanti ha raccolto l’auspicio del prof. Nico Abene, relatoredella tesi da cui è tratto il lavoro, discussa durante la seduta di laurea del 30 ottobre 2013. Il professor Abene concludeva il proprio giudizio positivo così: «credo che lo studio, con poche modifiche, possa ben figurare in qualche collana editoriale dedicata alla nostra realtà territoriale». L’intero giudizio, tra l’altro, figura come introduzione al libricino.

Si trattasi di un tentativo ben riuscito di partire dal passato per confrontarne con il presente i diversi approcci e le diverse sensibilità, il diverso rapporto tra uomo e natura e tra cultura e lavoro, attraverso lo studio dell’ecloga Galaesus Piscator, Benacus Pastor, opera che, se ben studiata, è foriera di numerose riflessioni e considerazioni utili per mordere la drammatica realtà economica e ambientale dell’area jonica, ma non solo.

Tommaso Niccolò d’Aquino – ancora oggi confuso con San Tommaso d’Aquino – è stato, a detta di Ettore Paratore, di cui parleremo tra poco, tra i migliori poeti arcadici della sua epoca (fu ammesso a Bosco Parrasio nel 1706). Già autore delle Deliciae Tarentinae, in occasione della sua ammissione, il d’Aquino compose l’ecloga Galesus piscator, rimanendo poi sepolta per duecentocinquant’anni, fino a quando Carlo d’Alessio, avvocato e bibliofilo, la recuperò in quel di Roma, scartabellando tra alcuni documenti relativi all’Arcadia, nel 1964. L’anno dopo a Taranto si celebrarono i trecento anni dalla nascita del celebre concittadino (che fu anche sindaco per un certo periodo) e, per l’occasione, l’ecloga fu data alle stampe dall’editore Lacaita con la traduzione del succitato Ettore Paratore. Questi accolse di buon grado l’impegno, considerato la qualità dell’ecloga, tra le più importanti del filone letterario dell’Arcadia.

Cosimo Dellisanti non ha proposto l’ennesima traduzione dell’opera, come è stato già fatto in passato, ma ha scelto di riproporre la traduzione del maestro Paratore, riservandosi però riflessioni e considerazioni che hanno colto il valore della poesia, ossia, come lui stesso esordisce, che l’Arte, lo dice prima, lo dice meglio.

L’ecloga, scritta in esametri latini sul modello virgiliano, ci propone l’agone poetico tra il pastore Benaco (personificazione del lago di Garda) e il pescatore Galeso (omonimo del fiume tarantino presso cui si bagnarono Virgilio, Cicerone, forse anche Augusto!). I due nomi evocano due luoghi conosciuti e cari a Virgilio, due esperienze di grande umanità, in una tenzone poetica sulla foce del Tevere.

Questa l’ecloga vera e propria. Dellisanti, di suo, aggiunge due deliziosi e scorrevoli raccontini introduttivi, uno con protagonista un giovane francese settecentesco alla scoperta delle bellezze del Sud Italia (e Dellisanti, in questo racconto, cita i celeberrimi versi di Virgilio sul Corycius Senex), l’altro con un Tommaso d’Aquino ancora bambino che curiosa tra le banchine popolate dai pescatori e i boschi selvaggi. Inoltre, Dellisanti compone un commento proprio all’ecloga, facendo riferimento, da un lato, all’attuale situazione ben nota dell’ambiente a Taranto, dall’altra riflette più in generale, senza mai discostarsi dal testo del d’Aquino, su quanto l’Uomo e la Natura siano parte dello stesso grande disegno, il Cosmo, ed è quindi stupido, da parte dell’Uomo, abusare dell’ambiente per fini economici o politici.

Chiudiamo sempre con le parole del professor Nico Abene sul lavoro di Dellisanti: «[il lavoro] è condotto con indubbia scrupolosità e con un approccio interdisciplinare che consente al candidato di far apprezzare le sue conoscenze non soltanto di storia letteraria italiana, ma complessivamente del mondo classico, giustamente ritenute presupposto indispensabile per poter cogliere la specificità della realtà culturale tarantina ancora tra Seicento e Settecento, tra Barocco ed Arcadia».

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