"Testimoni di giustizia. Uomini e donne che hanno sfidato le mafie" di Paolo De Chiara

“Testimoni di giustizia. Uomini e donne che hanno sfidato le mafie” di Paolo De Chiara

Recensione di “Testimoni di giustizia. Uomini e donne che hanno sfidato le mafie” (Perrone, 2014) di Paolo De Chiara.

Gennaro, Rocco, Luigi, Valeria, Carmelina, Lea, Maria Concetta, Domenico, Ignazio.
Semplici ed onesti cittadini uniti da un forte legame comune: il coraggio. Coraggio di denunciare i propri aguzzini. Coraggio di ribellarsi, di non arrendersi davanti alle intimidazioni delle cosche mafiose.

Storie drammatiche ma esemplari quelle raccontate dal giornalista Paolo De Chiara nel suo ultimo libro “Testimoni di giustizia. Uomini e donne che hanno sfidato le mafie” (Giulio Perrone Editore).
Documenti, interviste inedite e atti giudiziari mettono in luce la difficile situazione dei testimoni nel nostro Paese. Persone che – per la loro decisione di denunciare – hanno perso tutto: famiglia, lavoro, amicizie, identità. Persone costrette a far perdere le proprie tracce, a sparire nel nulla. Ad abbandonare il paese d’origine per un luogo estraneo. Ma il trasferimento è necessario: hanno denunciato e la loro vita è ormai in pericolo. La mafia di certo non dimentica chi ha fatto pubblicamente nomi e cognomi. E prima o poi si vendicherà del torto subito.

Un susseguirsi di testimonianze nel libro-inchiesta di De Chiara che sarà presentato a Roma alla Fiera della piccola e media editoria “Più Libri Più Liberi” (8 Dicembre ore 17.00 Sala Turchese).
Vicende di drammi familiari che colpiscono dritto al cuore del lettore. Alcuni di loro hanno la fortuna di poter riportare oggi la propria esperienza, altri purtroppo no. Spetta allora ai figli, alle mogli, ai genitori portare avanti la battaglia affinché il sacrificio dei propri cari non venga dimenticato.

La figura dei testimoni di giustizia è stata ufficialmente riconosciuta dallo Stato italiano con la legge n. 45/2001. Una legge che consente una precisa giurisdizione ma soprattutto una netta differenziazione da un’altra categoria: i collaboratori di giustizia. Questi ultimi sono ex mafiosi. Sono i pentiti che hanno deciso di iniziare una collaborazione con lo Stato.

I testimoni sono tutt’altro. Sono cittadini onesti, senza alcun reato precedente. Sono molto spesso imprenditori caduti nel vortice dell’arroganza mafiosa e che hanno deciso di non abbassare la testa.

Due categorie, due trattamenti diversi da parte dello Stato. Troppo spesso le istituzioni italiane si sono mostrate disattente alle necessità dei testimoni che, dopo la denuncia, vengono lasciati soli. I programmi di protezione sono aleatori. I testimoni sono abbandonati in stanze d’albergo o piccoli appartamenti poco ospitali. Privi di un sostegno psicologico adeguato, senza soldi, assistenza medica e con scarsa protezione.

Altra situazione è quella vissuta dai collaboratori di giustizia che ogni mese percepiscono una pensione, usufruiscono di un alloggio dignitoso e protezione assicurata. Trattamenti che generano rabbia, ma anche e soprattutto delusione in tutte le persone oneste che hanno agito in nome della legalità e della giustizia.

“Il testimone, quando finisce i processi e non ha più nulla da dire, viene abbandonato. Ha detto tutto quello che doveva dire e viene abbandonato al suo destino.”

Storie di ingiustizia, forse a molti sconosciute, quelle riportate alla luce dal giornalista molisano. Storie che rivelano come la figura dei testimoni sia percepita dallo Stato più come un peso che una risorsa. Storie di coraggio, storie di mafia, storie di Stato. E di abbandono.