Leone Piccioni: "È stata un'epoca d'oro che non si ripete"

Leone Piccioni: “È stata un’epoca d’oro che non si ripete”

Il poeta Leone D’Ambrosio intervista il maestro Leone Piccioni che, a quasi novant’anni, può essere considerato l’archivio vivente della letteratura italiana.

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Per Leone Piccioni è la poesia e l’amicizia con Giuseppe Ungaretti ad appassionarlo tutta la vita. Nella sua bella casa romana abbiamo conversato con lui di cose vecchie e nuove.

Secondo Lei la poesia di Ungaretti è ancora attuale?

Si, la poesia di Ungaretti è ancora molto attuale. Non solo, lo sarà perché ci sono ancora testi che vanno interpretati fino in fondo del loro significato, spesso misterioso, o comunque spesso spiritualmente ancora tale da poter essere svolto con pienezza di intenti e di ragioni. E poi, c’è in lui una così forte umanità, un così forte senso del tempo che passa, il tempo che fu, il tempo che sarà, che assicura a questa poesia una lunga vitalità, che del resto già riscontra, perché andiamo verso i cent’anni della poesia Ungaretti se si parte da quel 1916 de “Il porto sepolto”.

Ungaretti è morto con un’ingiustizia ancora aperta. Il premio Nobel che non gli è mai stato assegnato, pur rimanendo il più grande poeta italiano del Novecento.

È il più grande poeta del Novecento italiano sicuramente e non solo, benché vengano in mente nomi come Pound o Eliot che fanno riflettere sulla grandezza assoluta del poeta. Ma certo Ungaretti è perlomeno a quel livello lì.

Premio Nobel che venne assegnato prima a Quasimodo e poi a Montale, proprio rivali di Ungaretti.

Fu una ingiustizia perpetrata più volte. Ma noi consideriamo il Nobel perché dà molta fama, molti danari ai vincitori. Ma se lo guardiamo all’interno è un premio come gli altri, perché è assegnato da un gruppo di accademici svedesi, che molto probabilmente conoscono solo la loro lingua e un po’ l’inglese e quando premiano poeti di altre lingue si dovranno affidare a delle traduzioni, se ci sono. Il premio a Quasimodo fu un vero insulto non solo a Ungaretti ma anche a Montale. Difatti questi due poeti hanno avuto molte tensioni tra di loro. Furono molto vicini quando si trattò di parlare del premio a Quasimodo.

Nel 1950 Lei incontra Pavese…

Un incontro struggente e molto malinconico. Io conoscevo bene i suoi libri, ero in carteggio con lui, ma non lo avevo mai avvicinato di persona. Ero presente nel ‘50 quando vinse il premio Strega e lo vidi poco dopo a Forte dei Marmi, sempre nell’estate di quell’anno, quando purtroppo si suicidò. La parabola della vita di Pavese è molto inquietante e problematica. Appassionato di politica, di letteratura, era sempre alla ricerca di una vita sentimentale. Ora, verso il ‘50 accadde che l’azione politica era praticamente tramontata, quella letteraria aveva raggiunto il massimo, perché aveva vinto il premio Strega, in più, c’era una vicenda sentimentale che lo inquietava con un’attrice americana molto bella che viveva in America. Ma l’amore non funzionò, l’attrice se ne andò, poco dopo sta di fatto che Pavese si tolse la vita.

Qual è il suo ricordo dei poeti della “Scuola romana dell’Ermetismo”, parlo di De Libero, Sinisgalli, Caproni?

Caproni è uno dei maggior poeti che ci sono stati dopo la famosa triade e dopo Luzi e poi De Libero, molto interessante e con ampie aperture di paesaggi e di viaggi di una notevole intensità. C’è Sinisgalli, poeta matematico, che esordì con diciotto poesie giovanili curate da De Robertis  in un libretto intitolato per l’appunto “18 poesie”. E’ un’epoca buona di poesia. Si può ricordare anche Bertolucci, anche se non è romano, Sereni, soprattutto, Gatto. Quindi è un’epoca abbastanza d’oro, che difficilmente si ripete dopo. E poi c’è Luzi che va considerato subito dopo Ungaretti, Montale e Saba.

…e di Maria Luisa Spaziani?

L’ho conosciuta bene sin da Torino. In anni lontani a Torino ebbi un infortunio alla gamba e fui ricoverato in un ospedale e Maria Luisa veniva a trovarmi e parlavamo dei nostri interessi letterari. E poi quando stetti meglio cominciai anche a vederla e a uscire con lei. La sua poesia è una poesia che rimane interessante, specialmente in certi poemetti. Di lei bisogna ricordare che è stata la musa di Montale, oltre al fatto che aveva sposato Elémire Zolla. C’è un curioso pensiero perché i suoi libri risultavano sempre dedicati “a E.” e non si sapeva se era Elémire o se era Eugenio.

In un suo libro Lei parla di “Maestri e amici” di ieri: Gadda, Vittorini, De Robertis, Bo. E gli amici di oggi?

Gli amici sono sempre loro. Sono stati sostituiti in qualche caso da nuovi narratori soprattutto, ma anche nuovi poeti che posso nominare: Marta Morazzoni, Margaret Mazzantini, Daniele Del Giudice, Sandra Petrignani e tanti altri che mi sfuggono. Così come i poeti  Roberto Carifi e Giuseppe Conte. Insomma anche ora la disponibilità d’indagine su poeti e scrittori è notevole, anche se bisogna dire la verità, inferiore a quella del passato.

33-10-011