«Storia della notte» di Jorge Luis Borges

«Storia della notte» di Jorge Luis Borges

Recensione di «Storia della notte» (Adelphi, 2022) di Jorge Luis Borges.

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C’è un discorso sul tempo; e c’è soprattutto il tempo che parla con sé stesso, dispensando attese. Del resto, che cosa potrebbe mai dispensare, il tempo? Quel silenzioso strepito ora dorme / entro lo spazio di uno dei volumi / del placido scaffale. Dorme e attende. Un libro diviene per Borges protagonista indiscusso – e per i lettori un’importante chiave di lettura – del suo magnifico lavoro “Storia della notte”, edito da Adelphi.

Poesie e prose, dedicate a María Kodama, come recita l’iscrizione dell’autore del 1977, memorie e doni che sopravvivono a qualunque minaccia temporale.

Borges si chiede che cosa sia il nome – ha dimenticato il suo nome (“The thing i am”) e rilegge il passato, tentando di conoscere la cosa che è, l’uomo che è stato e che continua ad essere nella penombra dei ricordi. Sono l’uomo il cui unico conforto / è ricordare il tempo della gioia. / Sono a volte la gioia immeritata. / Sono l’uomo che sa d’essere un’eco, / che spera di morire interamente. Questo Borges, così nostalgico e così completo, si confina nei sogni (rivelandoci il suo personale Libro di sogni) e nelle immagini di vita, incidendo sulla stoffa del tempo le lettere di un antico nome, forse il suo, forse quello di Virgilio, di Dante o di Shakespeare… perché i nomi si confondono, devono confondersi, per essere eterni, per appartenere a quell’unico tutto, a quell'”unica cosa infinita” che è sempre la stessa cosa in ogni mondo, in ogni mattino. Così, i sogni di Jorge sono rivelatori per Borges, e viceversa; le loro persone si completano, si unificano, stabilizzando un “segreto condiviso”, come quello che lega Penelope a Ulisse (la prova del talamo nuziale).

Il segreto sfiorato da Borges resta segreto, permane come un “pugnale impossibile” che possa colpire il tempo, ferirlo, renderlo più vicino, più vero e sempre irraggiungibile.