Roberto Doni, Giacomo Colnaghi, due personaggi per un autore: Giorgio Fontana

Roberto Doni, Giacomo Colnaghi, due personaggi per un autore: Giorgio Fontana

Un’eredità morale. Quella che Giacomo Colnaghi lascia a Roberto Doni. Entrambi magistrati, entrambi padri, ciascuno protagonista dei due romanzi di Giorgio Fontana pubblicati con Sellerio: rispettivamente, “Morte di un uomo felice” (2014, Premio Campiello) e “Per legge superiore” (2011).

In principio Fontana crea il sostituto procuratore Doni, un impiegato della legge, che ha condotto la sua vita secondo le consuetudini borghesi: un matrimonio rassicurante, il concedersi pause ascoltando musica, di Schumann o di Mahler solo perché anni prima li aveva approfonditi per far colpo su Claudia, sua moglie che all’epoca studiava al Conservatorio. Allo stesso modo ama l’arte, i quadri di La Tour. Un’esistenza svuotata di desideri e riempita di consuetudini.

Diminuire le sofferenze, massimizzare le possibilità” potrebbe essere il suo motto ma sessant’anni rodati con questo ritmo sono bastevoli per iniziare a correre un rischio, forse il primo nella vita di Doni. Una crepa, come le tante che minano l’edifico del palazzo di giustizia di Milano, come il comportamento per lui incomprensibile della figlia che decide di restare negli Usa, in Indiana, per fare ricerca e mantenersi da sola. Come Elena Vincenzi, giovane giornalista che lo coinvolge in un’indagine alternativa, ulteriore, necessaria, per la coscienza, per la giustizia e per la verità.

A questo punto iniziamo a conoscere Giacomo Colnaghi, che in questo romanzo di Fontana del 2011, è una sorta di epifania, di nume che ha un’ascendenza benevola sulle scelte di Doni.

Colnaghi è  rimasto vittima della spirale d’odio che vorticava nell’Italia degli anni ’80 e non ha esitato a procedere e a impegnarsi nonostante il rischio che sapeva di correre.

La sua storia, Fontana, la recupera e la dispiega in “Morte di un uomo felice”. L’indagine che conduce Colnaghi (il suo mantra è “Eccezioni sempre, errori mai”) circa l’assassinio di un medico, esponente della Democrazia cristiana, è il motore che ci permette di indagare, invece, dentro la sua stessa vita. La vera inchiesta viene condotta dall’autore  intorno al protagonista, alle sue origini, alla sua formazione, alle sue scelte di giovane adulto e alla sua fede nelle persone. Fede ereditata dal padre, Ernesto, partigiano, morto per niente secondo il suocero, morto da eroe secondo i suoi compagni, morto imperdonabile secondo la moglie, morto perché ci credeva, nell’umanità, e questo voleva testimoniare al suo piccolo Giacomo.

Giorgio Fontana definisce i ritratti di due uomini molto diversi eppure affini. Entrambi figli del milanese, Colnaghi di Saronno, orfano di padre, cresciuto in oratorio, e che si appassiona allo studio e non esita a lasciare un impiego in banca per il lavoro in magistratura, sposato con Mirella, insegnante di inglese alle scuole medie e due figli ancora bambini (del più grande lo spaventa la sua fragilità). I suoi interrogatori sono dei corpo a corpo dell’anima, Colnaghi dirige il discorso fino a un perché ultimo che spesso non riesce a trovare risposta nell’interlocutore, smontando così, ogni convinzione e fanatismo.

Non è neanche una questione di perdono, è una questione di dolore, di sofferenza provata e sedimentata negli anni che rende più acuto il suo sentire, lo sostiene nel prendere la direzione giusta, quella che ciascuno conosce, in fondo, senza spiegazioni.

Doni è milanese doc, si veste in una sartoria artigianale dove già erano clienti il padre e il nonno, nei suoi interrogatori fa leva sulla necessità di parlare dell’altro per incastrarlo. Sembra tutto, eppure non lo è: una fiamma, come quella del quadro di La Tour che ama così inspiegabilmente tanto, lo anima.

Ciò che accomuna Doni e Colnaghi è il fatto di ritrovarsi, in periodi diversi, immersi nei problemi del loro tempo a livello di emergenza sociale e dinamiche personali.

Nel 1981 opera Colanghi, in mezzo al fuoco incrociato del terrorismo rosso e nero, negli anni 2000  Doni è scosso da una storia di immigrazione e  razzismo.

Milano è profondamente amata dall’autore che ce la svela secondo una nuova prospettiva, o meglio luce (che specie nel primo romanzo ricorre frequentemente).

Era questa Milano. La città dove l’amore andava strappato a fatica, e niente era concesso al primo colpo: la città crudele che però non mentiva mai”.

Infatti è costantemente protagonista con la sua estate soffocante, piena di albe e tramonti dalle varie sfumature in “Morte di un uomo felice” e con la sua primavera tiepida, addirittura calda, in “Per legge superiore”. Colnaghi assapora, nei suoi viaggi in treno verso Saronno, quella “ruvida bellezza” che caratterizza l’hinterland milanese; Doni scopre una Milano che non aveva mai conosciuto, quella che inizia alla fermata di Loreto, imboccando via Padova, quella dei migranti, dell’integrazione e del melting pot.

Giorgio Fontana racconta due storie che catalogare come gialli sarebbe piuttosto riduttivo. “Per legge superiore” e “Morte di un uomo felice” sono due romanzi che esplorano e indagano dentro due anime inquirenti. L’autore confeziona così una sorta di sistema di scatole cinesi per cui il lettore compartecipa alla ricerca e alla definizione del protagonista piuttosto che alla risoluzione del caso giudiziario. Fontana scava fino a ricostruire ogni strato della formazione del personaggio per arrivare a capire come da premesse identiche o diversissime si possa sempre scegliere. Chi essere.

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