La poesia di Kamau Brathwaite: due inediti
“Nuovo Mondo che viene” e “Gli emigranti” sono due poesie inedite di Kamau Brathwaite, tradotte e curate per noi da Andrea Gazzoni. Con Ensemble, di questo meraviglioso poeta caraibico, sta uscendo il libro: “Diritti di Passaggio”.
Nato nel 1930 a Bridgetown, sull’isola di Barbados, Kamau Brathwaite è non solo un poeta di fama internazionale ma anche uno storico, un critico, un editore e un organizzatore culturale che ha segnato mezzo secolo di letteratura caraibica in lingua inglese (della quale è tra i grandi padri fondatori insieme ad autori come Derek Walcott, George Lamming e Wilson Harris) e di cultura postcoloniale. Emigrato in Inghilterra con una borsa di studio per gli studi universitari, si è formato come storico, e ha scritto importanti saggi sulla creolizzazione della cultura caraibica e sulle sue origini africane. Dopo alcuni anni in Ghana, tornato nei Caraibi pubblica tra 1967 e 1969 la trilogia The Arrivants, composta dal poema della diaspora (Rights of Passage), da quello della riscoperta alla radici (Masks) e da quello del ritorno al Nuovo Mondo (Islands). A cavallo tra gli anni ’70 e ’80 scrive la seconda trilogia, Ancestors, con Mother Poem, Sun Poem, X/Self. Sia in poesia che in prose narrative che in saggi critici Brathwaite trasporta la sua sperimentazione sull’oralità dentro alla materialità della scrittura, sviluppando il suo Sycorax Video Style, che produce testi come partiture visive. Il libro più recente di Brathwaite è la raccolta di poesie Elegguas (2012).
Queste due poesie, tratte da Diritti di passaggio (traduzione e cura di Andrea Gazzoni, Roma, Edizioni Ensemble, 2014), costituiscono due momenti cruciali della diaspora africana nel Nuovo Mondo e in Europa, dal Middle Passage degli schiavi alle migrazioni del secondo dopoguerra. La prima squenza, Nuovo Mondo che viene (titolo originale: New World A’-Comin’, da una composizione di Duke Ellington), esplora l’incontro tra africani e d europei, la riduzione in schiavitù e il trasporto verso le Americhe. La seconda, Gli emigranti (titolo originale: The Emigrants, richiamo del romanzo omonimo del barbadiano George Lamming), a parte la sezione su Colombo segue l’incerto percorso degli afro-caraibici che dopo la Seconda Guerra Mondiale emigravano dalle colonie verso il centro dell’Impero inglese. Tutti e due i brani sono parte della lunga migrazione rimodulata lungo l’intero poema, una sequenza dopo l’altra.
Nuovo Mondo che viene di Kamau Brathwaite
1.
Così senza aiuto
così senza
guida,
senza eroi, noi
ti incontrammo: amante,
guerriero, odiatore,
tra le file della
foresta venivi
piede lieve
su lieve terra
di silenzio:
ci incontrammo nel sudicio
tunnel di foglie.
Carica scatto
i tuoi archi-
bugi ad avan-
carica sull’avam-
braccio mandavano lampi
di fuoco e duri
nei corpi, caldi
di fiamma, morsi
da mosche i nostri guerrieri
Per quanto tempo
per quanto tempo
o Signore
o diavolo
o fuoco
o fiamma
siamo stati in cammino
siamo stati in viaggio
fino a questo posto
fino a questo incontro
fino all’impatto
e all’infamia
nel silenzio
Per quanto tempo siamo
venuti giù
per vallate giù
per pendii, scintillava
la silice, secche
come acqua le pietre,
fino a questo lampo
di fiamma nella foresta.
O chi ora darà aiuto
a noi senza
aiuto, senza
cavalli, senza
guida, non c’è
speranza, non c’è
Hawkins, non c’è
Cortez che venga.
Prempeh in prigione,
Tawiah morto,
Asantewa domata
e impiccata.
O chi ora può dare aiuto
a noi: Geronimo, Tackie,
Montezuma a venire.
E il fuoco, il nostro
fuoco, che dà forma ai fucili
a rocce più scure che il ferro;
ci ha tradito il fuoco una volta
nel nostro villaggio; ora
nella foresta ci butta
giù come uccelli, in pancia
baccelli roventi. Il fuoco
butta giù mura, dà forma
a questi archi-
bugi più scuri che il ferro,
e noi in fila giù lungo il sentiero,
uniti dal tintinnio
di un nuovo silenzio di ferro.
2.
Passerà tempo molto tempo prima di vedere
questa terra di nuovo, questi alberi
di nuovo, alla deriva in entroterra con la risacca
e il suo rombo, il fumo si alza
Passerà tempo molto tempo prima di vedere
questi campi di nuovo, il tenero lento umido verde
di nuovo: Aburi, Akwamu,
foschia che si alza
Guarda ora questi uomini duri, freddi
e chiari negli occhi come l’acqua qui sotto,
capaci con la vela e il cavo e il paranco
Guarda ora questi uomini freddi, audaci
come l’acqua che picchia la prua con flutto agitato,
indifferenti, pare, alla lotta
del vento nell’acqua;
perché il nostro sangue, presto
mischiato alla loro passione per scherno,
per indifferenza, per rabbia,
creerà nuovi suoli, nuove anime, nuovi
antenati: scorrerà come questo flutto fisso
alle stelle sul quale questa nave si muove
verso nuovi mondi, nuove acque, nuovi
approdi, l’orgoglio dei nostri antenati mischiato
con il vento e con l’acqua
con la carne e le mosche, con le fruste e la fissa
paura del dolore in questo porto in catene che ci dà il benvenuto.
Gli emigranti di Kamau Brathwaite
1.
Cosi li avete visti
con le valigie di cartone,
i cappelli di feltro, i mantelli
da pioggia, le donne
con i cappotti
semplici o tinti
di viola a nascondere i fianchi
ingrassati.
Gli emigranti son questi.
Sui moli dei porti
di mare negli aeroporti
dovunque ci sia una nave
o un treno, un’automobile
rapida o un jet
per viaggiare più veloce dei venti
li vedete ammassati:
passaporti con timbri
pacchetti di documenti di viaggio
dentro notizie in disuso di vecchi
giornali: si dispongono in file pazienti.
Verso dove?
Non lo sanno.
Il Canada, il Canale
di Panama, il Mississippi
e i suoi campi di pena, la Florida?
O più avanti agli scali
dove nel fumo che fischia
Glasgow sta chiusa.
Perche se ne vanno?
Non lo sanno.
Cercano lavoro
e a loro basta il meglio
che l’agenzia gli può offrire:
colpire il vicino spingerlo
via da quel posto per quattro
scellini a settimana di meno.
Che sperano
che trovano là
questi naviganti del Nuovo Mondo
cafri che rincorrono Colombo.
Quali coste del Catai
dorate splendono per loro
quali magiche chiavi hanno con sé per dischiudere
quali porte d’oro e di draghi?
2.
Colombo dal suo ponte
di poppa guardava le stelle, assorbite nell’acqua,
sciogliersi in una scia di liquida ambra
nella mia aria di estate.
Con il mattino ora, al levarsi delle ombre,
si stendevano spiagge davanti a lui fredde e chiare.
Uccelli d’intorno alla bandiera che sbatte e all’albero
di mezzana: stridula tosse di uccelli, senza paura.
La scoperta verso cui navigava era ora vicina.
Colombo dal suo ponte
di poppa guardava alture in cui confidava,
rocce che sognava, sorgere salde dalla mia semplice acqua.
Pappagalli strillavano. Presto avrebbe toccato
la nostra terra, desiderio della sua mente mappa.
Il cielo azzurro con il suo fuoco benediva il mattino.
Ma la sua visione diede
forma, mentre lui guardava a riva,
al massacro che i soldati suoi
compirono qui? La picca
di punta e il moschetto di calcio,
in frantumi il caldo coraggio, le ossa
spaccate dai colpi sparati,
nella mia pancia stivali neri di punta, il desiderio
srotolato della frusta?
Colombo dal suo ponte
di poppa vide fichi barbuti, poui gialli
come polline in fiamme e sottili
cascate sospese nel verde
mentre i suoi occhi s’arrampicavano verso i crinali più alti
dove stavano nascosti i nostri campi e le case.
Era ora sicuro
di sentire voci sommesse di scherno tra gli alberi.
Che significava questo viaggio, che
cosa questo nuovo mondo: s
-coperta? O ritorno ai terrori
dai quali era partito, che aveva già conosciuto?
Lo guardai soffermarsi.
Poi sul silenzio i suoi schizzi.
Dalle chele gli schiocchi, lo sparpagliarsi
dei granchi mentre lui camminava verso la nostra riva.
3.
Ma le chele sono ora di ferro: alle draghe
ammuffite non importa cosa scopriamo quaggiù:
il fango del Mississippi si appiccica:
là muoiono uomini
e bouquet di fetore restano
tutta la notte lungo la sponda del fiume.
A Londra, è fredda le metropolitana.
Dalla tenebra il treno compare
con le nostre paure
e lascia un tenue cupo rumore metallico
nelle nostre orecchie.
A New York
sono calde le notti
ad Harlem, a Brooklyn,
lungo il Long Island Sound.
Questa città è cosi vasta
che le sue orecchie non conoscono più
un suono semplice e umano.
Macchine della polizia piagnucolano
come bambini
un’ambulanza scoppia
come un vetro che si spacca
un ascensore sospira
come gli ebrei nei gas d’Europa
poi ci fa scivolare veloci
per le funi giù fino all’inferno.
Dov’è la campana
quella che ci avvisava una volta,
quando giocavamo a cricket in spiaggia,
che era già mezzogiorno: troppo caldo il sole
per la testa. E alla sera
l’angelus della zuppa di pesce,
delle preghiere, del letto?
4.
Il mio nuovo capo
non ha occhio
per le donne ed i conti
la mia amante
non ha i denti
non può masticare
le ossa di pollo.
In testa sua madre
porta una parrucca di ricci.
5.
Una volta eravamo in Europa e una vecchia signora ricca ci chiese:
Una lingua vostra non l’avete
una maniera di fare le cose
tutte quelle vacanze le avete passate
con l’Inghilterra, attaccati alle sue gonne?
E venendo giu per Bellevueplatz
un operaio dalle gambe storte
diceva: Come è più piatto questo paese
con i negres en Switzerland.
6.
Ai tipi che guidano i bus della City
non andiamo bene se strappiamo i biglietti per loro,
davvero fanno proprio un casino.
Tra poco la protesta dei bus.
Agli uomini che spillano birra
nei pub con puzzo di chiuso di Woodbine
non andiamo bene.
Tra poco niente da bere.
O bottiglie rotte.
Le donne che scendono giù
e aprono appena la porta
ti romperanno a volte
le dita se tu non
stai attento. Scusami!
E pieno! Neanche un alberghetto
tra poco
per gli operai testa riccia.
Cosi che fare, amico?
Bandire la bomba? Buttare
le bombe qui sopra?
Boicottare le donne?
Mettere al bando tutte
le nozze? Chiamare
Te Stesso X
portare una barba
e un turbante
lavare il tuo turbolento
sesso
più o meno sei
volte al giorno:
ti fai musulmano?
Dio è nero
bruno va bene
bianco e il peccato?
E non te li scordare Jimmy Baldwin
e Martin Luther King…
7.
Il nostro colore batte su un inquieto tamburo
ma solo l’amaro ne viene.
Sì, Brathwaite è un poeta che ama gli ampi orizzonti, gli spazi sterminati che si confondono con il tempo, per lui tempo e spazio sono una cosa sola, le metafore e i personaggi che brulicano qua e là in apparente disordine sono una moltitudine di affamati di spazio e di libertà. La poesia di Brasthwaite prende forza dai personaggi, dalle immagini e dalle metafore, i versi sono ora brevi ora lunghi a secondo del respiro degli eventi, seguono una loro traiettoria che forse non è quella che il poeta vorrebbe dare loro, così si verifica un attrito strisciante, divaricazioni tra il detto e il non detto, tra l’evocato e il rimosso, ma senza un ordine prestabilito, senza che una poetica da tavolino prenda mai luogo, anzi, la poesia di Brathwaite suona in modo intermittente come un tamburo percosso da un indigeno che non conosce il tempo della Storia dell’Occidente e che non ne vuole sapere della razionalità occidentale con le sue religioni monoteiste, i suoi emblemi e i suoi orrori.
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