«Per Salvatore Quasimodo» di Curzia Ferrari (Edizioni Ares, 2022)
Recensione di «Per Salvatore Quasimodo» di Curzia Ferrari (Edizioni Ares, 2022).
Quando lo scorso anno incontrai Curzia Ferrari nella sua casa di Milano (ricordo, era un pomeriggio afoso di luglio), rimasi entusiasta ad ascoltare e con fervida curiosità il racconto di un bel progetto editoriale, “l’avventura di un nuovo libro”, un volume molto particolare e profondamente sentito: quasi l’ultimo atto di una storia infinita; un doveroso recupero.
Con l’introduzione di Cesare Cavalleri e con i contributi di Roberto Mussapi e di Vincenzo Guarracino (e con un’interessante galleria di fotografie anche inedite), Per Salvatore Quasimodo è la lettera-testimonianza più significativa con cui la Ferrari intende rimuovere la troppa polvere dalla vita poetica di un protagonista indiscusso della letteratura del Novecento. Ed è bene sottolinearlo: protagonista indiscusso.
E giungiamo alla domanda fondamentale: perché la “troppa polvere” sulla vita di un premio Nobel? Belpaese al veleno, questa nostra Italia. Ieri come oggi.
L’invidia di Montale e di Ungaretti è cosa assai nota (la notizia del prestigioso riconoscimento assegnato a Quasimodo nel 1959 fu accolta con stupore e con avversione da molti critici e ambienti accademici). Ma la Storia, sappiamo, è solita ripetersi – così, anche il tarlo dell’invidia. Se oggi un giovane poeta chiedesse consigli sull’arte della scrittura e sul percorso verso l’affermazione, gli si dovrebbe forse rispondere – amorevolmente – di posare la penna sulla scrivania e di afferrare un’ascia. Purtroppo, le cose stanno così. Quasimodo soffrì molto per gli attacchi subìti. Questo è uno dei temi “sotterranei” che emergono dalle pagine dedicate al poeta di Vento a Tindari, in quest’opera che spezza definitivamente i legami con il passato e, al tempo stesso, offre al passato l’occasione per rinnovarsi. L’idea della Ferrari è un libro che vuole valicare con forza lo sperpero di inutili energie, le valli di sterminate polemiche e di veleni che accompagnarono in Italia la notizia dell’assegnazione del premio Nobel al poeta siciliano.
Ma chi fu Quasimodo? Un poeta che ha fatto della poesia il suo fuoco vitale e la sua condanna, la sua scommessa di rinascita, la sua lotta contro tutto. Una preghiera, la sua poesia, che porta ancora oggi i segni e le ferite che si riaprono. Ma l’uomo-poeta uscì vittorioso dalle prove del suo tempo, come scrive Cavalleri nella pregevole introduzione. E adesso è giusto ricostruire senza falsità quel tempo.
L’Italia dimentica facilmente i suoi uomini illustri e le sue radici – e soprattutto, in questi ultimi tempi, onora vuoti idoli, santifica gente senza meriti precisi.
Il volto di Quasimodo è ricomparso raramente intorno a noi negli ultimi decenni. Perfino i libri di scuola dimenticano. Ma occorre dire altro, c’è qualcosa di importante che la Ferrari ci regala con il suo intervento: molto è cambiato dalla seconda metà del Novecento ad oggi. La Poesia vive in solitudine, in attesa che qualcuno la chiami – fragilmente, disperatamente. La Poesia è viva, sì – ancora viva -, ma ha bisogno di cure. Le trasformazioni che hanno travolto i gusti delle persone hanno reso inerme la voce dei versi: la Poesia può soffrire facilmente, può perfino morire. Dobbiamo proteggerla, difenderla. Ecco, difendere la memoria e recuperare dall’oblio chi ha portato onore all’Italia con la sua arte e con la sua vita.
L’uomo-poeta, il poeta-uomo: dov’è la verità? I versi non tradiscono mai. Tutto scorre. Anche le polemiche scorrono – e tramontano. Il poeta di Modica rivive oggi con la splendida Idea di Curzia Ferrari, che avverte:
Vero è che Leopardi cominciò ad acquistare notorietà mezzo secolo dopo la morte, che in un cono d’ombra è finito per lungo tempo Samuel Beckett e dimenticati sono tuttora Carlo Betocchi e Leonardo Sinisgalli – ma la distrazione da Quasimodo sembra essere una distrazione dall’uomo, colpevole di non aver saputo trasformare in vino la molta acqua passata sotto i ponti della sua vita e della sua poesia