"Maren": alla Città del Teatro di Cascina, lo spettacolo dedicato al mare e a Gabriel García Márquez

“Maren”: alla Città del Teatro di Cascina, lo spettacolo dedicato al mare e a Gabriel García Márquez

“Maren” è una messinscena collettiva della compagnia TeatroInBìliko di Cascina dedicata al mare, a ciò che prende, a ciò che dà, a come può conturbare negativamente o positivamente l’esistenza umana.

Siamo spesso abituati a temerlo, e a ragione, perché la forza dei suoi marosi sconvolge e distrugge, mentre il moto, per così dire circolare, delle sue onde sulla battigia ci ricorda la sua forza corrosiva e la capacità di levigare, cambiare, regolarizzare tutto.
Il mare è legato all’elemento acquatico, e l’acqua è indissolubilmente legata all’elemento femminile, alla forza generatrice, ad una natura irrequieta connessa sin dai tempi più antichi alla curiosità della ‘scoperta’ tipicamente muliebre, ma pure alla pazienza, alla forza e alla costanza con cui le donne del Mediterraneo affrontano la vita.
Ed è forse questo uno dei motivi per cui l’insegnante di teatro e regista Stefano Gazzarrini, che da ventidue anni è alla guida del gruppo TeatroInBìliko, ha scelto sette donne per la realizzazione della performance “Maren”, donne di età compresa tra i 21 e i 50 anni, differenti tra loro in quanto provenienti da regioni d’Italia diverse e, in qualche caso, di diversa nazionalità.
Il concetto di ‘diversità’ ne implica a sua volta un altro, quello della ‘accoglienza’ – e dei nuovi adepti all’interno della compagnia, e del pubblico -, attorno a cui ruota la rappresentazione teatrale stessa non solo dal punto di vita tematico, ma anche meramente strutturale.
Infatti, lo spettacolo è pensato per ventotto spettatori alla volta, e questa scelta registica corrisponde ad un’esigenza ben precisa: garantire una controllata e adeguata accoglienza del singolo spettatore da parte di ogni attrice. Le sette attrici, come sette ninfe o spiriti dell’acqua danzanti, nel contesto di una ouverture perfettamente integrata nell’esibizione da lì immediatamente successiva, si dividono il pubblico ciascuna offrendo una sedia rispettivamente a quattro spettatori; il pubblico verrà quindi disposto in cerchio, ancora una volta un simbolo dell’acqua e della fluidità, all’interno del quale lavoreranno le interpreti.
Nessun sipario, nessun palco, nessuna platea: tutto si svolge all’interno di una stanza del Politeama di Cascina, stanza che per l’occasione assume musiche, luci, colori e profumi acquatici, come l’azzurro delle profondità oceanine e l’odore di sapone artigianale che sa di bucato fresco e di genuinità del lavoro femminile.
«La sceneggiatura è ispirata alla lettura di due racconti di Gabriel García Márquez: “L’annegato più bello del mondo” e “La terza rinascita”, cui si aggiunge il messaggio contenuto in “Teorema” di Pier Paolo Pasolini – spiega Stefano Gazzarrini -, messaggio secondo cui l’ospite, che arriva in una terra straniera o in un’altra città, è in grado di scardinare le facciate perbeniste e i ruoli predefiniti».
In effetti la performance può dirsi in misura considerevole come la trasposizione, in chiave teatrale, del primo racconto menzionato: la storia di Esteban, l’annegato talmente bello e straordinario che rivoluziona il modo di pensare degli abitanti dell’isola cui approda, rivive in carne ed ossa attraverso figure di donne, e si arricchisce di un monologo che Esteban avrebbe pronunciato prima di soccombere inghiottito dalle acque del naufragio che gli procura la morte.
Il monologo è recitato da ciascuna delle sette interpreti, a turno, nella lingua più cara o nel proprio idioma dialettale; la particolarità è che è stato scritto da loro, e ognuna ha costruito il proprio monologo intrecciandovi qualcosa di sé, nonché della cultura del proprio territorio di provenienza. «L’attrice britannica Tracy Hale, per esempio, parlerà delle sirene gallesi che sono un po’ diverse rispetto a quelle cui siamo stati abituati nei poemi omerici… Sono ancora più cattive! E quando la sentirai capirai perché!» incuriosisce Gazzarrini, con un sorriso di soddisfazione e simpatia.
Tracy Hale recita in inglese, Libera Vicedomini intona quasi una nenia che ricorda il pianto rituale in Puglia, Alice Lenzi interpreta il proprio monologo nella LIS, la lingua dei segni.
Nessuno escluso, il messaggio del mare arriva a tutti, rendendo uguali tutti gli uomini, sensibilizzati alla morte di Esteban e alla morte in mare, che è tra le più atroci per il corpo umano.
Il ‘femminile’ si configura quindi come il secondo grande motivo rappresentato in questo spettacolo, in cui le movenze e la magistrale modulazione dei toni di voce delle attrici riflettono ora fluidità, ora sgomento, civetteria, pianto, forza di opposizione all’elemento ‘maschile’.
Il ‘maschile’ appunto, che pure pare assente, emerge nel quadro corrispettivo al brano di Márquez in cui gli uomini, infastiditi dalle tante attenzioni rivolte dalle donne al corpo di Esteban, reagiscono offendendolo, salvo poi convertirsi anche loro al pensiero femminile, osservando meglio l’annegato e riconoscendo l’eccezionalità del suo aspetto.
Mi pare che, in questo momento, ci sia della debolezza nella performance: il conflitto tra le donne e gli uomini non appare ben definito, e la momentanea lacerazione che avviene non sembra tanto essere riconducibile ad uno scontro concreto dei personaggi in scena, quanto intrinseca al tessuto narrativo originario. L’impressione che quindi se ne può avere è che il conflitto sia in scena più per rispondere ad un’esigenza di conformità testuale che per un reale svolgimento dei fatti scatenanti la rottura dell’equilibrio tra forze maschili e femminili.
Questa suggestione, del resto, potrebbe anche essere dettata dal fatto che le forze maschili rimangono pur sempre incarnate dalle delicate figure femminili, e quindi il contrasto ne risulta attenuato, favorendo così la suddetta impressione dell’assenza di un vero e proprio scontro.
Al di là di questo, lo spettacolo è un tentativo più che apprezzabile di rendere vivi e tangibili racconti non concepiti per la scena teatrale, prettamente descrittivi di come l’imprevisto, o l’elemento ‘arrivato da fuori’, possa prima stravolgere e poi cambiare in positivo la vita degli uomini.
Il gineceo delle donne si chiude in scena con la custodia del corpo di Esteban affidata al mare, immagine suggestiva perché non restituisce al pubblico un’idea di morte, ma di plausibile rinascita, di qualcosa che è lasciato andare via perché possa ritornare, con un misto di speranza e malinconia, come quelle che accompagnano le madri che vedono partire i propri figli, nell’incertezza di riabbracciarli ancora.
L’ultima scena di “Maren”, secondo me, rende efficacemente un breve passaggio contenuto in “Teorema”: «I calzoni stanno divaricati sulla coperta ruvida, come fossero indossati da un uomo con le gambe aperte, ma profondamente addormentato; la canottiera è d’un biancore quasi innaturale, troppo puro. Quei panni sembrano quasi, infine, le reliquie di qualcuno che se ne sia andato via per sempre».

Maren foto mia
Maren

Città del Teatro – Cascina (Pi)

repliche domenica 28 e lunedì 29 Settembre; sabato 1 e domenica 2 Novembre

prossime repliche sabato 20 e domenica 21 Dicembre

ore 21.30

 

Messinscena collettiva a cura di TeatroInBìliko

spettacolo di Stefano Gazzarrini

con Mohared Barone, Alice Lenzi, Martina Gori, Tracy Hale, Federica Rubino, Titta Squeglia, Libera Vicedomini

montaggio Stefano Gazzarrini

aiuto e luci Federico Ricci

una produzione Fondazione Sipario Toscana – La Città del Teatro e dell’immaginario contemporaneo