Letture di una militante poetica // #4 Rafał Wojaczek

Letture di una militante poetica // #4 Rafał Wojaczek

Letture di una militante poetica // #4 Rafał Wojaczek

Nato a Mikołów, in Polonia, il 6 dicembre 1945 e morto a ventisette anni a Wrocław, Rafał Wojaczek ha incarnato quel tipo di artista che attraversa la terra come fosse una cometa, sfiorandola, ma senza mai fermarsi. È stato come fu Rimbaud nel diciannovesimo secolo, o ancora Basquiat il secolo scorso. Giovanissimo inizia a scrivere. Giovanissimo inizia anche a bere. È ricoverato in una clinica psichiatrica, per schizofrenia. Nella stessa clinica s’innamora di un’infermiera, che diventerà sua moglie sennonché madre di una figlia. Questa relazione durerà solo pochi mesi, mentre la depressione continuerà ad accompagnarlo fino all’11 maggio del 1971, quando ingerisce in una notte sola una scatola di barbiturici. «C’era bisogno della vita, della morte/ C’era bisogno della lirica, bisogno dell’amore,/ C’era bisogno di te e della Regina polacca / […] della vodka e della saliva», recita una sua poesia. La lirica di Wojaczek si distingue per il modo rude, brutale e stravagante della sua composizione. Il suo è un linguaggio viscerale, scosceso e corporeo. La lirica trasuda fisicità, mentre le parole sono gettate l’una dopo l’altra con forza e impatto immediato. Wojaczek non è un poeta che segue le convenzioni retoriche, benché dietro i suoi eccessi si nasconda una brillante conoscenza della materia. La poesia, lungi dall’esser servita con eleganza, lascia libero corso al sensualismo lirico, alla seduzione poetica, al corpo nelle sue varie metafore e dimensioni. Le poesie di Wojaczek hanno del resto provocato scalpore ed aspre critiche nell’ambiente letterario polacco dell’epoca. Sconosciuto in Italia, di cui poco o niente è tradotto, in Polonia rappresenta una figura controversa. Scandalizzava la sua «grammatica negra», così com’era stata definita la sua scrittura quando era ancora in vita. Sconvolgeva la composizione aggressiva dei suoi testi, e la lingua di collisione, alla ricerca di un’espressività tangibile, palpabile, ai confini del materiale. L’aggettivo “pornografico” ha accompagnato molta critica che, sebbene messa in crisi dalle licenze di un poeta al limite dell’alcolismo, ha accolto di buon grado le due raccolte di poesia uscite tra il 1969 (Stagione) e il 1970 (Un’altra storia). La ricezione postuma ne ha oltremodo acclimatato il successo. Nel 1999, Lech Majewski dedica una pellicola al poeta, tra l’altro davvero ben fatta. L’interprete stesso è un poeta, Krzysztof Siwczyk, che ha fondato un centro studi su Wojaczek a Wrocław. Il film mescola la nostalgia slava con l’assurdo tipico della poesia del XX secolo polacco, dove si delinea un romanticismo astratto che ben riassume la poetica del suo protagonista. Corporea, sgrammaticata, ed erotica.

Un verso mortale
[Calmati, mio sogno, lei non c’è]

Calmati, mio sogno, lei non c’è
Ma lei è
finché il cuore stringe
paura cristallina
Lei è, mio sogno
finché il sangue sbiadisce

Non c’è, lei in ogni fiamma,
l’ultimo cuore,
verso mortale

Non c’è, lei in ogni respiro
eco


Stagione

C’è il corrimano
Ma non le scale
C’è io
Ma io non ci sono
Fa freddo
Ma non ci sono le calde pelli animali
Pellicce d’orsi e code di volpe

Da quando è bagnato
È molto bagnato
Io ama il bagnato
Sulla piazza, senza ombrello

È buio
È buio e ancor più buio
Io non ci sono

Non c’è dormire
Non c’è respirare
Vivere non c’è

Solo gli alberi si muovono
Il raro muoversi degli alberi

Partoriscono un gatto nero
Che percorre strade infinite


Erotico

Non so scrivere un verso
Sarebbe come il corpo
Corpo
Non so pensare

Il corpo è nero
Il corpo puzza
Non sono un pittore
So solamente dar calci nello stomaco

Sulla strada s’inseguono i cani
Cerberi
Saccheggiano la mia pelle.

paulina

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