La poesia di Faslli Haliti. Da “Gjëmë. Genocidi i poezisë shqipe” [Epicedio albanese]

La poesia di Faslli Haliti. Da “Gjëmë. Genocidi i poezisë shqipe” [Epicedio albanese]

La poesia di Faslli Haliti, autore di numerose raccolte, tra cui: Oggi, Messaggi di campagna, Non so tacere, Addio miei capitani, Rovescio, Delirio, Se n’è andato. Saggio tratto da “Gjëmë. Genocidi i poezisë shqipe” [Epicedio albanese]  di Gëzim Hajdari. 

Il poeta di Lushnje Faslli Haliti (1935) credeva in un socialismo dal volto umano. Fece la sua apparizione nel panorama poetico albanese con la raccolta Sot (Oggi), una delle più interessanti degli anni ’60. Egli resta uno dei poeti più originali della poesia contemporanea albanese. La sua poesia, che si distingue subito per l’intensità delle parole e la particolarità dello stile e del tono, è piena di vita e affonda le radici nelle profondità del pensiero mitico. Alcuni suoi testi furono dei veri e propri «manifesti» che colpivano il cuore della burocrazia comunista. Forse la parte più interessante della sua produzione, come per la maggior parte dei poeti del blocco sovietico, rimane quella scritta sotto la dittatura comunista, e non è un caso. Basterebbe Njeriu me kobure (L’uomo con la pistola) per capire la forza dei versi e l’impatto che questo testo ebbe sui lettori negli anni ’70. Questi i versi: «Lui aspetta che tiri vento/ Non per vedere gli alberi spogli/ Non per veder cadere le foglie gialle/ Ma per far alzare il lembo della giacca/ E far vedere la pistola nella cintola./ Lui aspetta che venga la primavera/ Non per mietere e falciare/ Ma per togliere la giacca/ E far vedere sotto la giacca/ La pistola». Questo testo è stato giudicato sovversivo e revisionista e aspramente criticato durante il IV° plenum del PCA nel ’73. All’autore venne tolto il diritto di pubblicare per 15 anni consecutivi e fu mandato in campagna per essere «rieducato».

Per diversi anni il professore d’italiano e di francese lavora dietro il carro trainato dai buoi nella cooperativa agricola di Stato, a Fiershegan, provincia di Lushnje. Nessuno degli operai e dei contadini poteva rivolgergli la parola, perché egli era considerato dal Partito un “reazionario”.

Il pretesto per colpire il poeta di Lushnje fu il poema Dielli dhe rrëkerat (Il sole e i ruscelli), pubblicato per la prima volta il 16 dicembre 1972 nel settimanale «Zëri i rinisë» (La Voce della gioventù). La sua apparizione nella rivista suscitò scalpore ed indignazione tra gli alti dirigenti del PCA. Quest’ultimi organizzarono riunioni e dibattiti pubblici in cui sia il poema che l’autore vennero aspramente criticati. Secondo la censura, “Il sole e i ruscelli” era frutto di una confusione ideologica e politica del poeta che travisava la realtà socialista e il ruolo del Partito, minandone così l’unità con il proprio popolo. I primi versi del poema «Mentre il tetto della mia patria è celeste, ottimista./ Il tetto della mia casa è quello di una stamberga», divennero un pretesto per attaccare e denunciare l’autore. Haliti aveva osato troppo. Con un coraggio inaudito invita il popolo a spezzare “i denti alla burocrazia”. Cito: «Ordine/ con il pugno della classe operaia/ spezzate i denti/ ai compagni/ Per spezzarli ci vogliono pietre/ che non abbiamo» I comunisti lo accusano di essere un poeta ribelle e anarchico, mentre i critici di Stato accostano i suoi testi a quelli dell’arte malata e decadente dell’Occidente. Haliti diventa un caso nazionale. Nel Paese si organizzano riunioni per denunciare il poema. I membri della Lega degli Scrittori si dividono in due: quelli che ammirano i versi del poeta e quelli che li disapprovano. Un gruppo di alunni del liceo della sua città natale, Lushnje, pubblica un articolo di denuncia sul giornale « Shkëndija» (La scintilla), organo del PCA. Gli unici studenti che difesero con coraggio “Il sole e i ruscelli” furono i poeti Fatbardh Rustemi, Bujar Xhaferri e il regista di teatro Tahsin Xh. Demiraj.

In una lettera Rustemi si rivolse a Enver Hoxha in per protestare contro la condanna del poeta Haliti e Xhaferri, per difendere il suo poema, rischiò l’espulsione dal ginnasio. Per attaccare il poeta trentaseienne di Lushnje si mobilitarono anche le forze dell’ordine pubblico: il questore della città Zija Koçiu pubblicò un articolo sul giornale del partito del dittatore, «Zëri i Popullit» (La voce del popolo), in cui denunciava “l’opera reazionaria” del suo concittadino.

L’eco di questa vicenda si diffuse in tutto il Paese. Piovvero critiche e denunce da varie città. Della vicenda si parlò anche al di fuori dell’Albania. A Parigi, nel 1974, il trimestrale albanese «Koha jonë» (Il nostro tempo) riportò il poema “Il sole e i ruscelli” e, nello stesso tempo, condannò la campagna denigratoria del PCA verso il poeta Haliti. Un anno più tardi, a Roma, Ernest Koliqi, nella rivista che curava, « Shenjzat» (Le Pleiadi), conferma che «la voce di Haliti è stata soffocata dal Partito».

Nonostante tutto questo il poeta ribelle di Lushnje non smette di scrivere. Con lo stesso coraggio pubblica altri testi contro la burocrazia altrettanto feroci: Djali i sekretarit (Il figlio del segretario), Unë dhe burokracia (Io e la burocrazia), Edipi (Edipo) e altri ancora. I testi di Haliti diventano oggetto di discussione persino nell’Olimpo del partito. Nel ‘73 Fiqrete Shehu, moglie del Premier Mehmet Shehu, critica la poesia Vetëshërbim (Fai da te) definendola “una poesia che non ha nulla a che vedere con l’arte rivoluzionaria”. Un anno dopo, nella rivista «Rruga e Partisë» (Il percorso del Partito» (Rruga e Partisë), ella si esprime contro la poesia Njeriu me kobure (L’uomo con la pistola). Negli anni seguenti l’opera di Haliti verrà sempre censurata. Il Partito gli toglierà il diritto di pubblicare e lo spedirà a lavorare nei campi.

Nel 1985, dopo 15 anni di silenzio forzato, egli riappare sulla scena culturale con la raccolta Mesazhe fushe (Messaggi di campagna). La presentazione del libro avviene nel teatro della città. Doveva essere una festa, per il poeta, invece fu ancora una volta un processo vero e proprio. Ricordo quel pomeriggio.

Solo dopo il crollo del regime Haliti è riuscito a publicare i suoi libri e la traduzione in albanese di vari autori italiani, russi e francesi.