Dopo Gomorra. La Sodoma della città letteraria

Dopo Gomorra. La Sodoma della città letteraria

Quando molti anni fa scoppiava il caso Saviano con l’uscita del suo romanzo-inchiesta Gomorra, istintivamente diffidai di quella che mi sembrava una moda pericolosamente romantica, il giovane scrittore engagé che si sobbarca i mali della sua terra.

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Scelsi la posizione dello spettatore e trascurai di formarmi un’opinione precisa, rimanendo nella massa di chi viene trascinato dalla maggioranza, che a quell’epoca si gonfiava in un applauso unanime.

Da quello che veniva imposto alla mia attenzione di utente medio, Saviano sembrava una persona seria e determinata, abbastanza coraggiosa, decisamente vincente. Poi arrivò la scorta, qualche nuova uscita editoriale e la collaborazione con Fazio. L’opinione dell’uomo della strada reagì rafforzandosi intorno all’immagine del martire con qualche fuga verso uno scetticismo destato dalle prime noie per uno spettacolo lungo e insistente, ma il fronte di chi sosteneva lo scrittore reggeva ancora senza grandi problemi.

Ripensando a quel periodo non posso però fare a meno di ricordare come tutti sentissero l’onere di scegliere una posizione sul lavoro del napoletano. La sua opera e perfino il suo corpo, proiettato negli schermi televisivi, rappresentavano la coscienza e in qualche modo la reazione ai misfatti della camorra in Italia. Moltissimi ne parlavano come un eroe, si trovavano cenni di interesse nelle Università, ho sentito addetti ai lavori citare Gomorra con un tono orgoglioso pur lasciando lievemente trasparire il sospetto di aver concesso forse troppo all’ormai compiuto salto di qualità dell’autore napoletano. L’unica posizione inaccettabile era in ogni modo quella dell’indifferenza.

Oggi la “terra dei fuochi” è diventato un luogo preciso nella geografia giornalistica e i misfatti dei boss campani sono promossi all’attenzione nazionale, da pochi mesi Feltrinelli ha pubblicato il controverso ZeroZeroZero, e allo stesso tempo si moltiplicano dubbi, ripensamenti e mezze o totali bocciature per il suo autore, attaccato nel sottobosco dei nuovi mezzi dal sarcasmo e dal pettegolezzo. Ne vengono messi in discussione il metodo e gli esiti, ne viene criticata la deontologia, alcuni dei suoi primi padrini parlano di un’occasione persa.

Rinviando l’analisi dell’opera in sé, lo spettacolo della manovra che le si svolge intorno impone un problema forse non rinviabile. Mi domando che quota di cattiva coscienza è attribuibile agli editori, ai critici e ai lettori, se al secondo libro di un autore ampiamente celebrato si sia creata una impasse d’opinione così generalizzata e imbarazzante, che in definitiva abbandona il lettore a se stesso.

Se prima era di moda leggere e citare Saviano, adesso, da parte delle stesse persone, o almeno dallo stesso ambito culturale, sembra di moda disprezzarlo e denigrare il suo lavoro. Come ho diffidato della prima moda, mi trovo ora a diffidare della seconda. Ma non vengo più soccorso da chi fino a poco fa era pronto a garantire per lui.

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