Galeoni e pirati dell'editoria # libri

Galeoni e pirati dell’editoria # libri

Negli anni dell’università non c’era professore che non avesse pubblicato dei libri di testo, come avviene normalmente anche oggi, e ovviamente c’erano poi i grandi volumi che facevano da spina dorsale all’esame da sostenere. In entrambi i casi si diceva che era meglio farsi vedere con i libri nuovi ma non intonsi che con le fotocopie. Io personalmente so di gente che aveva studiato sulle fotocopie e poi per paura di non superare l’esame aveva comprato i libri di testo stropicciandoli, al fine di dimostrare che erano stati “vissuti”.

Fare le fotocopie aveva i suoi bei vantaggi economici. In sostanza nelle copisterie underground nel cuore della città universitaria di Bologna si arrivava a pagare un terzo di quello che il testo costava in libreria, sempre se si aveva un po’ di pazienza a fare le fotocopie da soli, mentre se invece si lasciava il volume richiedendo il servizio il costo saliva a metà del prezzo di copertina, mediamente. In effetti la soluzione insieme veloce ed economica era fare le fotocopie delle fotocopie. Si toglieva la spirale e si mettevano i fogli in un apposito spazio e… “tstin-tstin-tstin”, in men che non si dica sia aveva il testo d’esame.

Poi però si volle mettere un freno a questa pratica e venne diffusa una circolare nelle copisterie per cui erano previste multe e sanzioni, soprattutto per gli esercenti.

Il mercato si ridusse e divenne clandestino – l’era del proibizionismo -, per quei pochi che non disdegnavano di unire guadagni alti e rischi di venire beccati o denunciati. Eh si, perché mica era obbligatorio presentarsi agli esami ostentando i libri. Una sessione d’esame come tutti sanno è solo una circostanza dove si va a conferire, sebbene sempre sospette furono certe ostentazioni degli studenti dei testi al ricevimento dei professori o nelle aule.

Nella musica poi l’alta socialità di quegli anni favoriva la duplicazione in cassetta dei vari originali. Spesso era una scusa per conoscere una ragazza, entrare in una comitiva, rompere il ghiaccio: “ho l’ellepì, se volete vi faccio le copie, datemi le cassette…”; la cassetta magnetica veniva fornita rigorosamente gratis se il duplicatore la dava a una ragazza… se poi era carina ci aggiungeva altro: “Ti ho messo anche questo gruppo!”, “Ti ho registrato pure il vecchio disco di…”, ecc.

Tutto questo per dire cosa? La pirateria esiste da decenni ed è stata sempre direttamente collegata alla riproducibilità del bene e non nasce con l’avvento di internet, ma dal web in determinati settori ne ha avuto impulso.

La pirateria però non è libertà e non è nemmeno risparmio, perché il contributo che il mondo della cultura, dello spettacolo e della formazione dà alla fiscalità pubblica è davvero enorme. Togliendo introiti ci si impoverisce e succede poi in alcuni casi che altre figure finiscano per fare scelte al posto dell’utente. La duplicazione o lo scaricamento illegale non sono libertà, perché il pirata informatico non è un allegro anarchico che combatte contro i giganti delle major, ma in realtà è solo un individuo che, senza averne del tutto coscienza, fa gli interessi dei giganti delle telecomunicazioni. Il fatto che si dovesse allentare la corda sui prodotti e beni da fornire in rete, non è stato il frutto di “battaglie di libertà”, ma solo di una discussione a tavolino di certe fette dell’industria -soprattutto della finanza – che hanno deciso che un certo database di prodotti avrebbe sostenuto l’incontro fra domanda e offerta, ingigantendo gli introiti della rete. Ora, dato che internet non può divenire una biblioteca del passato perdendo così il suo appeal e che l’utente e l’industria culturale necessitano di nuove proposte e quindi di investimenti, ricerche, pagamenti, scommesse e battaglie intellettuali, ecco che si è deciso di dar credito a ciò che da sempre suggerisce la logica del diritto: se io produco un bene sono libero di dare a quel bene il valore che decido, l’utente è libero di non acquistarlo, tanto più che si tratta di beni e servizi non necessari alla sussistenza.

È una barzelletta per gli allocchi (altro che pirati) credere che il web è un vecchio galeone pieno di falle, dai quali possono uscire fuori tesori ambiti. Quando si è deciso di dare un freno a certe realtà che danneggiavano alcune uscite editoriali, lo si è fatto in men che non si dica!

La normativa in corso di ratifica degli stati membri dell’Europa prevede che l’editore (musicale o librario) che sa di essere piratato segnali il sito a un’authority, e questa molto semplicemente invita chi emette il servizio illegale a produrre documentazione che comprovi l’esistenza di un rapporto commerciale tra se e l’editore (ironia della sorte, tutto può essere fatto in tempi rapidi data la velocità del web), se ciò non avviene il sito viene bloccato. Se la piattaforma delle Isole Cayman non blocca il servizio, molto semplicemente questo viene oscurato in Italia, cioè in Italia la pagina non si apre, tutto qui. Senza conseguenze penali, avvocati, lungaggini. E ancora ironia… “senza carta”. Evitando strascichi per quei “pirati” e “corsari” da desktop, che in realtà tengono le chiappe ben salde davanti al loro pc.

Già una pratica del genere esiste per i siti pedopornografici che vengono segnalati. Non importa che il servizio venga emesso da un paese con giurisdizione diversa che esprima opinioni differenti in merito. La pagina degli orrori non si riuscirà ad aprirla in Italia.

Bisogna dire a onor del vero, che in Italia il fenomeno della pirateria ha riguardato e sta riguardando in modo particolare la musica e molto meno l’editoria in formato ebook.

C’è un curioso pregiudizio positivo sull’ebook che andrebbe sfatato. Il formato elettronico non annulla il gap esistente tra determinati investimenti nel cartaceo, pertinenza dei grandi gruppi, e la casa editrice che non può vantare una distribuzione capillare. L’edizione in ebook tende a riprodurre la stessa distanza di mezzi e visibilità che c’è già nel cartaceo, non la annulla. Le case editrici importanti che hanno investito nell’e-commerce hanno devoluto risorse significative alla visibilità dei loro prodotti editoriali. Ciò che sono (e lo saranno ancora per molto tempo) il banco espositivo dei libri e gli scaffali (con le loro “pole position” guadagnate con le unghie e i denti dagli agenti delle case editrici) si trasla nel desktop del pc, dove le case editrici investono in pubblicità, booktrailer, social network, operatori Seo, web marketing, social community e molto altro. La piccola casa editrice che pensasse all’ebook senza investimenti, credendo di risparmiare, farebbe un grave errore, che ricorderebbe per alcuni versi quello commesso all’avvento dell’mp3 per la musica, quando autori emergenti credettero di trovare l’eden, lo strumento che eliminasse il gap con le etichette più importanti, e ciò non è avvenuto in modo sostanziale, tranne alcuni casi, anzi a beneficiarne sono state le band storiche e i cantanti della vecchia guardia, che dalla libera diffusione di filmati e altro hanno avuto un ritorno di vendite e di affollati concerti.

La carta stampata però avrà ancora un ruolo importante, perché appare molto diverso il rapporto che il lettore ha con il libro e i processi cognitivi che accompagnano la lettura, dove la manualità attiva dei processi di percezione ed elaborazione che sono differenti e più ricchi rispetto all’utilizzo dello stesso testo in ebook.

È prevedibile però una riduzione delle librerie, a vantaggio degli esercizi più motivati, che personalizzano le offerte, in grado di dare attenzione all’editoria emergente, ma anche di proporsi come centri di cultura, di servizi, di associazionismo, ecc.

Nell’ambito dei quotidiani la truffa della free press ha del clamoroso. L’utente crede di acquistare gratuitamente, ma la free press ha usufruito soprattutto dei grandi fondi dell’editoria dati a delle lobby per realizzare delle testate, alcune volte di discreta fattura. Ovvero soldi pubblici che vengono elargiti per produrre il giornale, quindi il gratuito è solo mascherato, in realtà i costi si distribuiscono sulla comunità e di conseguenza su quelle molte persone che non sceglierebbero quei quotidiani. Nel mondo editoriale non vi è nulla che costa più di ciò che è gratuito. Inoltre ciò vìola un po’ il principio di libertà d’impresa, dove è vero, i giornali possono o meno essere indipendenti e rispondere direttamente al danaroso editore, ma vi è una maggiore franchezza nell’esposizione della linea editoriale, una sana competizione e la centralità economica ed intellettuale della scelta da parte del lettore. Sia chiaro, tutti i giornali hanno fatto man bassa di fondi, ma nella free press, dove i giornali sono spesso degli “spin off” di importanti testate, il meccanismo di sostentamento è quasi tutto a carico della collettività.

Tuttavia però i giornali sono fondamentali, non si può per nulla dire che i blog possano sostituire l’informazione, che si nutre di quegli investimenti, retribuzioni e lavoro sul campo, i quali sono conseguenza della professionalità. Non di rado ho letto notizie in seguitissimi blog scritti nella totale buona fede degli autori, ma assolutamente fuorvianti e privi di verità giornalistica. La stampa tradizionale orienta in modo potente l’opinione pubblica, basti pensare ai fenomeni negativi del femminicidio o dei suicidi degli imprenditori i cui picchi non corrispondono al rilievo che danno gli organi di stampa, eppure poi ne consegue che se il mondo dell’informazione si muove tutti ne parlano, il parlamento affronta i problemi, i bloggers postano articoli a tema, saltano fuori post sui social network come funghi in una giornata propizia, ecc. La stampa afferma un potere importante e nobile, di wellsiana memoria, che un problema esiste quando se ne parla. Ricordo che in una tale città italiana del nord i report della polizia negli anni 90′ manifestavano un incremento elevatissimo e preoccupante di omicidi. Nessuna testata ne parlò diffusamente, quindi non vi fu nessuna percezione del problema, nessuna coscienza condivisa, ma tanti drammi solitari.

Ritornando specificatamente ai libri e ai lettori bisogna dire che non sono veramente così pochi i lettori in Italia – nel mondo vi è una crescita significativa in molte aree -, ma è relativamente basso il numero dei lettori in relazione ai libri editati. In sostanza non si legge così poco – e c’è il dato confortante degli under 14 che leggono di più rispetto agli anni passati -, ma ci sono troppi libri in corrispondenza dei potenziali fruitori. Sul fenomeno della crescita della lettura fra i giovanissimi rispetto al passato incide in piccola parte anche la decadenza della scuola, che prima era più impegnativa a fronte di un parco ore più basso.

Cresce la lettura anche in alcune aree del sud, mentre altre rimangono stabili. La grande varietà delle proposte editoriali ha reso anche meno misurabile la quantità dei libri letti. Teoricamente e praticamente sono molti i lettori forti che acquistano meno libri nei consueti canali ed esercizi con conseguente lettura del codice con la pistola, e scelgono proposte di realtà emergenti acquistate in libreria, ma non di rado in fiere, saloni e altre occasioni. Inoltre aumenta la fruizione dei testi in biblioteca, sia vecchi che recenti.

A conforto di ciò è significativa la crescita del volume totale della piccola e della media editoria, che erode quote di mercato, come si suol dire adesso.

Un altro dato significativo è la grande fame nel mondo dell’immaginario italiano, in parte sconosciuto e inesplorato. Nel mondo si ha fame di cultura italiana, di conoscere autori nuovi. È un dato su cui riflettere, e che segue la scia emersa in questi anni di crisi economica, dove nel Belpaese in tutti i settori vanno in forte controtendenza quelle realtà ben radicate in Italia, ma che esportano all’estero e creano canali e contatti.

Del resto in Italia si legge Marquez, Coelho, Wilbur Smith, Dan Brown, Allende (citazioni a caso) e una miriade di autori meritevoli, quindi la stessa curiosità intellettuale agisce nei lettori esteri. La letteratura dal punto di vista dell’industria culturale è sempre stata “patria d’esportazione”, cioè salda in madrepatria ma pronta a salpare verso i mari del mondo per piantare i propri semi.

A conti fatti questa diverrà una possibile e appetibile opportunità per molte realtà editoriali italiane – oggi piccole o medio-piccole -, anche se è da sempre relativamente disomogeneo il modo di approcciare nuovi lidi intellettuali, perché diverse sono le politiche culturali dei vari paesi in merito all’accoglienza di proposte estere.