"Esule ovunque" di Benedict Buono

“Esule ovunque” di Benedict Buono

Recensione di “Esule ovunque” (Ensemble, 2014), intensa raccolta poetica di Benedict Buono.

Esule ovunque di Benedict Buono è la tredicesima uscita della collana di poesia “Alter”, ed. Ensemble. Si tratta di un canzoniere di quaranta brevi componimenti in cui l’autore, immerso con profitto nella tradizione italiana (Buono insegna filologia italiana all’Università di Santiago de Compostela), ricava dei momenti di spontaneità, a volte quasi di candore, giocando con le corde di alcune referenze novecentesche (ma non solo) e provando ad innestare la sua voce di moderno inattuale (cfr. Il dinosauro) sul gioco dei contrappunti. Ne risulta un testo che si legge come il percorso di un’anima in disarmonia, esule ovunque perché lontana nello spazio e nel tempo, (costante il riferimento al ricordo), separata irrimediabilmente da qualcosa di perduto, ma che pure mostra il suo volto malizioso, quando ad esempio si rivolge come a un amico a quello che, insieme a Montale, è forse il precedente più scoperto del suo incedere poetico,

A Guido

Sonnolento, come il novembre d’allora,
inciampava il mio pensiero,
cercando i luoghi, inconsapevole,
nel Piemonte rude e schivo,
osservando i passi
che m’hanno unito ai tuoi lamenti.
Era Agliè, in quel giorno lontano,
ma vivo è il ricordo,
amico fedele, senza speranza.

Continuando sul tono di un gioco, che non è tale per essere un più impegnativo ludus (cfr. p. 42) Buono retrocede dalla gozzaniana Agliè alzando e abbassando il tono, senza mai disfarsi completamente della sua valenza letteraria, anche dove si sente la voce farsi più compita, venando l’armonia di un sentimento composto con qualche increspatura di inquietudine; davanti il ricordo dei genitori, di fronte un amore che “a trent’anni suonati” vuole ancora far giocare il fanciullo interiore, o in qualche notte quieta, scandita dal respiro regolare di una presenza addormentata. Queste poesie ambiscono alla levità dello stato infantile che, solo, potrebbe tornare a donare senso alle cose.

Silenzio

È questa sola vita che abbiamo.
È questasola orache perdo nel vuoto.
Non èilcanto del giorno.
È solo il silenzio della notte,
perché non ti aspetto,
domani.

Corredano il discorso alcune garbate invettive contro i critici e i letterati, immersi nel catrame del presente (cfr. ad esempio Il critico), in nome di una provenienza originaria (luogo, infanzia, o amore che sia), vista come l’unico mito credibile, in cui caso o scelta si mescolano, creando già nel primo verso una tensione che rimarrà irrisolta, un’intercapedine entro cui sfileranno tutte le altre emozioni, dalla vita alla lettera e viceversa. Questo esordio, cortese e piacevole, si fa leggere come una passeggiata per le pendici di un piccolo oblio privato, additando al lettore alcuni scorci di una condizione cantata “con il filo di voce”, ma non priva di aperture più vaste.

Campi di Castiglia

Campi di Castiglia, ho inseguito
di notte una luce nel cielo.
La primavera gridava il suo splendore,
annunciando frutti ridenti.
Adesso non so più se t’amavo,
o era solo la stagione,
che germoglia eterna
e mai uguale.

esule-ovunque