«Sfondate la porta ed entrate nella stanza buia» di Enrico Macioci

«Sfondate la porta ed entrate nella stanza buia» di Enrico Macioci

Recensione di Sfondate la porta ed entrate nella stanza buia di Enrico Macioci (Terrarossa, 2022). Articolo di Gianluca Minotti.

 C’è sempre un bambino che la sera non fa ritorno a casa. C’è sempre stato e sempre ci sarà. Un preciso momento nel quale termina l’infanzia e si inizia a comprendere come i genitori non siano infallibili. 

Lo sa bene Francesco, sei anni, che una sera saluta il suo amico, Christian, e poi si arrampica sulla base di cemento della ringhiera e si sporge per vederlo scomparire dietro i cipressi della recinzione. È la sera del 10 giugno 1981, la stessa in cui, a poco più di un centinaio di chilometri, per l’esattezza a Vermicino, Alfredo Rampi precipita in un pozzo e dopo poche ore, a reti unificate, va in onda lo strazio, il tentativo di salvarlo in diretta su tutti gli schermi di tutte le case d’Italia. Neanche Christian quella sera, a L’Aquila, ritorna a casa e iniziano le indagini e Francesco viene interrogato, dal padre dell’amico e dall’ispettore Romeo Rocci. Francesco, che forse sa dov’è andato Christian ma non vuole infrangere il segreto che li lega e ancora li separa in maniera indissolubile dal mondo degli adulti.

Non c’è niente di consolatorio in Sfondate la porta ed entrate nella stanza buia di Enrico Macioci, in uscita oggi, 28 aprile, per TerraRossa Edizioni, nella collana “Sperimentali”: è come se a noi lettori fosse dato di sporgerci su un baratro senza fondo quando invece tutto quello che vorremmo – noi e Francesco, Christian e Alfredo e gli altri bambini di sei anni che popolano le pagine del libro, perché sembra che nel 1981 tutti noi avessimo sei anni e tutti noi fossimo stati in qualche modo traditi e ingannati – è conservare la nostra innocenza, purezza e aspirare a un’altra verticalità. Non in basso, ma nell’alto cielo per raggiungere qualche pianeta o stella lontana. 

Enrico Macioci salda un fatto di cronaca vera, che ha segnato il nostro inconscio collettivo, a uno di fantasia e costruisce quello che a ben vedere non è soltanto un romanzo breve, essenziale e incisivo, ma una sorta di riflessione lucida e spietata, di atto di accusa, di grido nei confronti di una società – quella odierna – che è la vera stanza buia dalla quale nessuno ci salverà. E questo perché ha rimosso la paura e la morte, prima piegandole a puro intrattenimento e infine brandendole come armi per giustificare qualsiasi forma di controllo della libertà individuale.

Gianluca Minotti