"Pensieri in Libertà": la poesia di Stefano D'Apa

“Pensieri in Libertà”: la poesia di Stefano D’Apa

Recensione di “Pensieri in Libertà”, raccolta poetica di Stefano D’Apa edita da Falco Editore.

La poesia di Stefano D’Apa è un tutt’uno con la sua personalità. Solo conoscendo Stefano si ha la netta percezione di una persona dai gusti semplici ma non banali, dalle passioni vere però non superficiali, come la sua penna.

La silloge Pensieri in Libertà, pubblicata da Falco Editore con prefazione di Giuseppe Neri, mette a nudo, prima che la sua verve poetica, la personalità dell’autore, le sue passioni, che sono fatte di partecipazione sociale, di solidarietà, di amicizia.

Ma è soprattutto la vena intimistica ed esistenziale che emerge dai versi di Stefano: coloro che hanno fatto parte del nostro percorso e adesso non ci sono più, ricordi che si palesano come nostalgie del passato, i banchi della scuola (Le nuvole), gli scherzi e i lazzi dell’infanzia e l’irrefrenabile scorrere del tempo (Pagliaccio; Ridi), i momenti magici e i gesti di quando si è innamorati dell’amore, fino al desiderio, con qualche rimpianto, di rivivere gli anni giovani dell’essere padre (Vanità).

Uomini e donne smarriti e smarritisi nell’arco dell’esistenza, come in Buio Notte, Cari Amici, Paure e Cercami: Socchiudi gli occhi e lasciati guidare/e li mi troverai, polvere al vento/che si disperde nell’azzurro del cielo. Si, di quel cielo, ma anche Di quella vita fatta di fatica,/di pelle arsa dal sole… e aria salina,/tipica della gente di marina,/che troppo in fretta invecchia/e appassisce (Se), ma – aggiungo – solo nell’involucro, perché il mare apre al nuovo, consuma la pelle ma non il corpo e protende l’anima verso nuovi orizzonti, quelli che Stefano custodisce e coltiva ogni giorno, anche con le sue attività culturali.

Sul fronte femminile rammento le poesie Custodisco un ricordo, I tuoi occhi, Dove sei, Lontananza, Mi manchi, Sogna, Ricordi (adorabile la descrizione di un fiore come segnalibro, che scoperto dopo tanto tempo riapre anche lo scrigno del cuore), le quali rappresentano l’esempio di ciò che è ineluttabile, di quello che è stato e non può rivivere più, di un passato bello e genuino contrapposto alla dispersione del presente, che in qualche modo si eterna sempre: Uno e uno solo dei cento più cento/che ancora mi deve!

Come la bassa marea fa affiorare talvolta delle sorprese, così emergono del passato gioie, momenti di una primavera dell’esistenza, e l’autore rimane fedele alla bellezza di questi ricordi. Le brutture della vita possono talvolta tradire l’eden che alberga in ognuno di noi, persino l’amore stesso, ma di fondo non l’uomo, che invece sa in cuor suo qual è la direzione. E se qualche volta invece capita che siano gli umani a deludere non è mai per opera del poeta, nel senso archetipico del termine.

Se L’amore non sa cosa vuole, rinchiuso nei limiti umani, scrigno di gioia e di dolore (…) L’amore vuole essere solo momento di silenzi infiniti, è anche vero che D’Apa possiede una coscienza concreta del valore e delle conseguenze di ciò che è darsi, dei momenti che divengono sostanza nella memoria emotiva dell’individuo. Coscienza chiara.

Ma l’autore si dimostra sensibile anche al gioco allegorico, come  tra gli innamorati sole e luna: la tua luce mi spaventa e acceca,/tanto che devo cedere al bisogno/di spegnermi nel buio più profondo,/in attesa che tu, tenero amore,/compi il tuo tempo e torni a riposare,/così che io riemerga dal mio sonno/e in cielo sola torni a sospirare…  (Leggenda).

Non manca anche l’omaggio alla grande bellezza delle sue zone, come in Tramonto su Nicotera, Notte d’estate, Tempesta: Nera, schiaffeggia l’onda la scogliera,/tra spruzzi, schizzi mulinelli e gorghi,/si schianta infine con rumor di tuono,/come se dagli abissi re Nettuno/si ribellasse per l’osceno scempio/che l’uomo ha fatto e fa del suo maniero./Il vento fischia e urla impertinente,/frustando la scogliera e il continente. Furore, rabbia, strepiti e lamenti/echeggiano nell’aria della notte,/che nera come pece e senza stelle…/sembra ammonire con ghigno furente/che la natura impera e l’uomo è niente!

Il pathos civile e ideologico è evidente in: La dolce illusione (il 68′), Libertà, Figliastri, Gente mia (la fiera appartenenza ai valori del territorio), Per non dimenticare Auschwitz, Schiavo.

Aggiungo che seguo la crescita di Stefano D’Apa e devo dire che risulta palpabile la maturazione della sua vocazione poetica; sicuramente in futuro non ci farà mancare nuove prove in tal senso.

Stefano D’Apa, nato a Fabrizia (VV), ha svolto per più di trent’anni presso il M.P.I. il ruolo di Segretario prima e Direttore dei Servizi Generali Amministrativi poi. Profondamente legato da un forte senso di appartenenza al paese natio, oggi vive con moglie e figli a Limbadi (VV), dove, tra  i vari impegni di carattere sociale e politico, ricopre la carica di Presidente della Biblioteca Salvatore Corso.

Sin da studente liceale, si accosta alla poesia dopo aver conosciuto e letto – oltre ai maestri che fanno parte della letteratura italiana – il grande Neruda, tra le cui opere apprezza particolarmente i Cento sonetti d’amore, che hanno segnato la sua vita e condizionato il modo di esprimere i suoi sentimenti. La sua scrittura è diretta ai cuori semplici, a coloro i quali apprezzano le piccole cose quotidiane e condividono la purezza dell’anima.