Lorenza Mazzetti: la mia è stata un'infanzia insanguinata

Lorenza Mazzetti: la mia è stata un’infanzia insanguinata

Intervista a Lorenza Mazzetti,  “l’italiana che inventò il Free Cinema inglese”, intellettuale, scrittrice, donna dalle meravigliose vicende umane e letterarie.

Lorenza Mazzetti, “l’italiana che inventò il Free Cinema inglese”, rimasta orfana molto presto, fu cresciuta dai suoi zii nella villa di famiglia di Rignano sull’Arno. Ma nell’agosto del 1944 le SS naziste uccisero la zia e due sue cugine mentre suo zio Wilhelm Einstein (cugino dello scienziato Albert Einstein) si suicidò l’anno successivo. Negli anni ’50 la Mazzetti si trasferì a Londra, dove studiò alla “Slade School of Art” e realizzò con la collaborazione di Lindsay Anderson il film “Together” che narra le vicende di due sordomuti nel quartiere East End di Londra. Nel 1959 si trasferì a Roma, dove collaborò con Cesare Zavattini nella realizzazione dei film collettivi “Le italiane e l’amore” e “I misteri di Roma”. Nel 1961 pubblicò “Il cielo cade” (tradotto in Germania “C. Bertelsmann Verlag” e in Giappone “Ta-Ke Shobo”, Premio Viareggio del 1962, da cui è stato tratto nel 2000 il film diretto da Andrea Frazzi con Gianna Giachetti e Isabella Rossellini), nel 1963 “Con rabbia” (Garzanti) e nel 2014 “Diario londinese” (Sellerio). Ha diretto per tanto tempo il Puppet Theatre. Per andare a casa sua bisogna prima passare per un grande e pesante portone, un cancello di ferro e poi l’ascensore che porta all’ultimo piano di un palazzo nel cuore di Roma, tra le cupole della chiesa di S. Andrea della Valle e la chiesa di S. Carlo ai Catinari. Alla nostra conversazione c’è l’inseparabile sorella gemella Paola e l’amico scrittore parigino Guillaume Chpaltine, conosciuto a Sperlonga più di cinquant’anni fa. Sulla terrazza del bar Corallo davanti alla grotta di Tiberio in pochi mesi Lorenza scriverà il suo libro d’esordio che sarà il suo indiscusso capolavoro.

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“Il Cielo cade”, il libro della sua vita, di un’infanzia insanguinata…

Ho voluto raccontare la mia infanzia, soprattutto ho voluto raccontare in modo comprensibile ciò che è successo durante il fascismo a una famiglia, alla famiglia Einstein. C’era lo zio che era ebreo, ma noi non lo sapevamo neppure, perché non credeva in Dio, non frequentava la sinagoga, non aveva amici tipicamente ebrei, per cui l’atmosfera di questa famiglia era quella che piacerebbe adesso a papa Bergoglio. Un po’ ebrea, un po’ protestante, perché mio padre e mia zia erano valdesi. Noi invece eravamo cattolicissimi, impregnati di cattolicesimo attraverso il parroco del paese. Quindi c’era questa strana atmosfera in cui noi bambine, intanto eravamo state adottate dallo zio e dalla zia, perché nostra madre era morta di parto. Mio padre era completamente disperato e non sapeva come fare per noi e quindi siamo state raccolte da sua sorella che aveva sposato Robert Einstein. Ma quello che ho voluto raccontare è la guerra vista attraverso gli occhi di una bambina, l’amore per il duce, io ero innamoratissima del duce, gli scrivevo letterine, quindi il fascino di questo uomo su tutti e soprattutto sui bambini. Ma questo fascino era una cosa un po’ strana in una famiglia dove c’era un ebreo, ma addirittura un cugino di Robert che stava costruendo una bomba contro Hitler. Insomma c’era un’atmosfera strana, anche perché a noi non ci dicevano nulla. Quindi continuavamo a essere fascistissime e a scrivere lettere al duce. C’era il mito del duce nei bambini di questa famiglia, noi e le altre due loro figlie. Dunque la cosa che ho voluto raccontare è come un bambino ha vissuto questi stravolgimenti e questi miti, del duce ma anche quello di Gesù. Gesù era amato da me e dalla mia sorellina moltissimo, era amato perché la zia ci leggeva le parabole essendo valdese. Invece i bambini dei contadini studiavano il catechismo. E con il catechismo è avvenuto il secondo crollo o il secondo mito, cioè che Gesù è stato ucciso dagli ebrei. Il grande reato, la grande colpa degli ebrei, di cui è stato demonizzato questo popolo. Il popolo amato da Dio è diventato il popolo maledetto da Dio. E noi senza dirlo a nostro zio, facevamo dei sacrifici, dei piccoli fioretti continuamente per poter salvare lo zio dall’inferno nel quale lo mandava la chiesa cattolica. Tutte queste piccole cose io ho voluto raccontarle nel mio libro. Tutti hanno detto che il libro è molto divertente, perché è veramente molto comico, i pensieri della bambina sono veramente molti buffi. Ma c’è un’ unica frase molto importante che è stata detta dal poeta francese Henri Michaux quando l’ha letto. “C’est un livre feroce”… È un libro feroce. Infatti nell’innocenza di questa bambina che pensa, che parla, che si domanda, c’è tutta la ferocia di un’accusa che non viene detta perché non viene spiegata. È lasciata al lettore la conclusione di ciò che è avvenuto.

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“Diario londinese” è la storia di una ragazza italiana che ha cambiato il cinema non solo inglese…

Anche qui non è tanto semplice. Io ho raccontato ciò che è successo dopo la tragedia. È il seguito del primo libro. Dopo la tragedia è successo quello che è successo a tutti quelli che hanno visto l’orrore, rimuovere il ricordo, seppellirlo, in fondo all’inconscio per poter vivere la rimozione. Direi che potrebbe intitolarsi la rimozione. Allora ho voluto intanto far capire che sono voluta fuggire dalla Toscana, dalla casa dove vivevo, dove c’erano ancora i vestiti loro. Quindi dal loro ricordo e dal ricordo di quella scena. Poi naturalmente ho subito l’angoscia di non aver più soldi, perché il nostro tutore ci ha derubato di tutto, lasciandoci senza una lira e senza neppure il latte per la bambina di Paola. A un certo punto a Londra mi sono ritrovata così. Pensando di andare a Londra per dimenticare mi sono ritrovata invece senza una lira. La cosa è avvenuta lentamente. Io stavo in un albergo e non potevo pagare e aspettavo sempre questi soldi che non arrivavano mai. Il libro è anche molto divertente e pieno di umorismo come il primo. Ci sono tanti avvenimenti strani e buffi. Il mio comportamento è veramente un comportamento assolutamente assurdo. Qualcuno leggendo il libro forse si dà una spiegazione dei miei comportamenti, so solo che a un certo punto io sono andata all’accademia d’arte e ho deciso che oltre a lavare i piatti per guadagnare qualcosa e sostenermi volevo partecipare a una vita intellettuale. Quindi sono andata in questa università dove nessuno mi ha voluto prendere perché non avevo soldi, non avevo riempito nessun modulo, non sapevo bene l’inglese, non capivano perché io volevo andare in questa università in questo stato. Da allora io ho guardato negli occhi questa persona gli ho detto “Perché sono un genio”. E lui: “Ma se lei è un genio sarà senz’altro una nostra alunna “ e mi ha fatto entrare immediatamente. E poi ha dovuto convincersi che ero veramente un genio. Infatti ho rubato la macchina da presa dell’università e ho girato un film su Franz Kafka: “La metamorfosi”. Per realizzarlo ho firmato il falso, ho portato a stampare tutto il materiale, a mettere la musica e anche il sonoro, il monologo. È costato parecchio e io ho firmato sempre il falso. E quando lui ha scoperto, il direttore, la persona che aveva firmato il falso era una ragazza che parlava inglese con l’accento francese ha capito subito chi era il genio. Mi ha mandato a chiamare e mi ha detto: “facciamo così, tu devi andare in prigione, allora ci vai se il film è brutto, ma se il film è bello lo paghiamo noi.” E così è successo. Il film era bello, hanno applaudito e il British Film Institute mi ha invitato a fare un film senza andare in prigione.

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