Les Misérables (I miserabili), ovvero la metafisica delle coscienze e delle identità smarrite

Les Misérables (I miserabili), ovvero la metafisica delle coscienze e delle identità smarrite

Romanzo molto amato I Miserabili, e riscoperto anche in virtù delle curiose alchimie sociali che viviamo: crisi economica, esistenziale, lavorativa. Ciò ha portato inevitabilmente nuove riedizioni di questo grande classico e “polpettone”, anche per gli amanti delle trasposizioni letterarie in fiction televisiva o per il cinema, dove peraltro ci sono stati dei buoni adattamenti. È inoltre di questi giorni sul grande schermo l’ennesimo adattamento con il solito cast internazionale.

Per quello che concerne il romanzo di Hugo, voler vedere dei parallelismi o delle convergenze tra la situazione attuale e quella dell’ottocento – relativamente alla visione e allo stato delle cose – francamente è alquanto forzoso, non perché purtroppo non siano numerose oggi situazioni di estrema povertà, di ingiustizie sociali o di grandi trasformazioni, si spera anche in meglio – ricordando pure che ci sono elementi di positività nell’epoca che viviamo e vivremo -, ma perché il mastodontico romanzo di Hugo si svolge su contesti differenti.

Innanzitutto è un dramma di coscienza che si dipana su un piano quasi metafisico o modernamente kafkiano. Il galeotto Jean Valjean è un uomo che vive profondamente il contrasto di coscienza fra una sorta di ortodossia spirituale, morale e i piaceri di una riconquistata vita dignitosa, colma di molte opere di bene che compie, di un’operosità industriale che dà lavoro e occupazioni ai cittadini della piccola città dove risiede.

L’ispettore Javert vive della stessa identica ortodossia per il diritto, la legge, lo scovare i criminali. La sua coscienza è destinata a implodere mentre quella di Jean Valjan, da perseguitato, farà un percorso ancora più difficile, ma il finale si aprirà a situazioni impreviste.

Eh si, perché il romanzo di Hugo è uno scontro tra archetipi di due coscienze: una, nell’identità di Javert, è quella puramente asservita alla Legge, che seppur importante diviene sterile senza però alcun tipo di connotazione politica; l’altra, dell’ex galeotto, è invece illuminata dal riscatto, dalla redenzione, dal non permettere che una sola cosa ingiusta possa capitare a un altro individuo per causa propria, seppur ciò significa rinunciare a sommi beni per sé e la comunità. Si capisce che questo romanzo dista alcuni anni luce dalla situazione attuale, e peraltro le condizioni della Francia di quell’epoca fanno un po’ da sfondo.

Hugo poi basa il suo romanzo sull’“irriconoscibilità”. Jean Valjean non è riconosciuto da varie persone e perfino nella prima sede processuale, dove ingiustamente era stato incarcerato un individuo al suo posto, fino al limite della credibilità romanzesca. Egli non viene riconosciuto dai perfidi Thénardier! Non viene identificato in diverse altre circostanze, al confine della verosimiglianza. E il tutto avviene in un arco breve di tempo che va da quando la sua piccola Cosette è una bambina fino a quando è una signorina, una diciottenne-ventenne. Hugo è attratto dalla notte, dai chiaroscuri, dal mistero dell’identità, dagli inganni della vista e dell’anima. Direi che proprio per I Miserabili è facile fare una lettura in direzione della metafisica kafkiana. Jean Valjean è un uomo lanciato in un suo percorso di coerenza, non conosce alcune deviazioni e scappatoie della vita. Non trova appigli che gli consentano di trovare un’uscita improvvisa dal conflitto di coscienza. La vita per lui è ricca, ma solo delle occasioni di trovare nuove occupazioni e intendimenti. Javert con inflessibilità disumana gli dà la caccia, per dimostrare a se stesso gli assunti del suo “teorema di coscienza”, della sua “fede”.

I Miserabili quindi è anche un romanzo alquanto rigido. Victor Hugo non trova soluzioni ai suoi personaggi, quelle che permetterebbero di vivere una coerenza senza rinunciare alle proprie convinzioni etiche, sociali o spirituali. I due personaggi principali – pur tra mille dissidi – rimangono tutti d’un pezzo. Oggi verrebbe da ridere che un onest’uomo rinunciasse a tutto ciò che fa per gli altri e per sé al fine non compromettere l’accusa ingiusta per un reato minore imputato a un innocente, seppur considerato recidivo. Minimo si troverebbero degli escamotage, ed è la vita stessa ad offrire soluzioni, ma non nella metafisica di Hugo, nel mondo dove si intraprendono mille bivi, ma i doveri morali scorrono su un sentiero solitario…