Le due Sicilie di Giuseppe di Piazza

Le due Sicilie di Giuseppe di Piazza

Recensione e raffronto di due romanzi di Giuseppe di Piazza: “I quattro canti di Palermo” (Bompiani, 2012) e “Un uomo molto cattivo” (Bompiani, 2013).

Se ho letto i due ultimi romanzi del giornalista del Corriere della Sera e scrittore Giuseppe di Piazza in ordine cronologico inverso, lo devo non solo a un percorso che seguono spesso molti lettori (leggere l’ultimo romanzo e, se piace, correre anche ai precedenti), ma per mere coincidenze biografiche.

In uno dei luoghi più ‘di passaggio’ del mondo, l’aeroporto internazionale JFK di New York, tra le persone in coda nella lunghissima attesa per il controllo bagaglio e passaporto, possono nascere discussioni di alta politica, di costume nazionalpopolare, di letteratura.

Io ero dietro Giuseppe e una sua collega. Lui diretto a Manhattan per scrivere il suo terzo romanzo, in attesa che fosse pubblicato il secondo, Un uomo molto cattivo. Io diretta a Manhattan per riscrivermi. Ad entrambi, abbiamo scoperto mesi dopo, l’uragano Sandy ha movimentato la scrittura o quanto meno fatto volare alcuni fogli.

Lui, allegro e affabile nonostante la lunghissima permanenza in una delle mille code della vita. Io, più indolente. Lui scherza pazientemente, con me e altri passanti-passeggeri. Si inizia a parlare di NYC e di letteratura.

Un uomo molto cattivo (Bompiani 2013) è un giallo che mescola una frettolosa Milano, fatta di comunicazione e marketing, a una Palermo rimasta quasi immobile nella memoria del protagonista e anche nella dinamica del romanzo. Una Palermo che irrompe a Milano come un’estranea, in incognito. Una realtà parallela da tenere segreta. Anche nelle fasi narrative ambientate all’estero (una Barcellona ridente e distratta e una più crepuscolare Ginevra), sono questi due aspetti di un’Italia da sempre in lotta culturale con se stessa i volti che emergono con forza.

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Palermo era già la macchia soleggiata e dolente del primo lavoro letterario di Di Piazza, I quattro canti di Palermo, di cui mi ha fatto dono lui stesso quando, di passaggio per Milano diretta a Belgrado, sono andata a trovarlo in via Solferino.

La sua Palermo riaffiora nei suoi ricordi come nei suoi romanzi, talvolta con le tinte un po’ addolcite della memoria, che trasforma i suoi ricordi in narrazione quasi romanzesca, altre volte con le tinte natìe della risolutezza e del legame ancestrale e orgoglioso verso una terra. Quattro canti di una Palermo forse meno fiabesca, sia negli anfratti del male che nei personaggi positivi.

Ne I quattro canti di Palermo (Bompiani 2012), nessun uomo è mai molto cattivo. Personaggi dicotomici, borderline, drammaticamente veri, sfiorano quel livello di realtà che la fiction non raggiunge mai completamente.

Un libro sporco più della polvere pesante delle strade sicule che della polvere sottile meneghina che racconta una terra forse più difficile da comprendere e decodificare, ma che mette il lettore più in discussione, gli chiede maggiore sforzo emotivo e immaginifico.

Uno dei più bei regali che si possono fare ad un lettore: obbligare ad uno sforzo comprensivo, violare il suo mondo e il suo immaginario dando immagini e avvenimenti inattesi.

Come inatteso è parlare di romanzi con un romanziere, in un luogo di passaggio dove tutto avviene per caso. E dove nulla avviene per caso.

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