"Kruso" di Lutz Seiler

“Kruso” di Lutz Seiler

Recensione di “Kruso” (Del Vecchio Editore, 2015), di Lutz Seiler.

Kruso (Del Vecchio Editore, 2015), di Lutz Seiler, mi ha attratto sin da subito o almeno da quando – lo scorso maggio – mi sono trovato di fronte la copertina durante il Salone internazionale del libro di Torino. E, sinceramente, ho difficoltà a recensire questo romanzo perché, in quanto anche io piccolo-medio editore, ho provato invidia nei confronti della casa editrice, la Del Vecchio (bravi, bravissimi!), che ha avuto il coraggio e la bravura di proporlo ai lettori italiani, tanto da farmi pensare: Perché non l’ho pubblicato io?

Per almeno tre motivi però – la non rivalità che c’è in questo settore; la mia passione per l’arte recensoria e per la critica letteraria; la qualità oggettiva di quest’opera narrativa – non posso esimermi dal parlare di un libro che mi ha incuriosito, emozionato, colpito come nessun altro quest’anno (fatta eccezione forse per Anima di Wajdi Mouawad, edito da Fazi).

Lutz Seiler – che conoscevo per alcune, notevoli, raccolte poetiche uscite anche in Italia qualche anno fa – scrive probabilmente il “suo” libro, quello cioè che per forza di cose diventa la linea di confine tra un “prima” letterario e un “dopo”. Il romanziere diventa un tutt’uno con il poeta trasformando la frase in invisibili versi così imperfetti da renderli efficacissimi.

Tutto il libro è imbevuto di poesia – quella pura, malinconica e saturnina di Georg Trakl, autore austriaco morto del 1914, figlio di quell’antica Europa ancora in cerca di eroi, e quella dura, moderna, di un Novecento che ha lasciato troppe ferite aperte –, di storia – la caduta del Muro di Berlino come momento di passaggio fondamentale e di cambiamento radicale –; di filosofia – i concetti di libertà anarchia che, nonostante tutto, continuano a sopravvivere –; di letteratura – i continui riferimenti ai grandi classici del passato, Robinson Crusoe di Daniel Defoe su tutti.

Si fa difficoltà a capire il protagonista di questo libro. Potrebbe essere Ed – la voce del libro, un ragazzo che, perduta la fidanzata in un incidente, decide di lasciarsi tutto alle spalle, e partire per il Baltico. Potrebbe essere Kruso, Alexander Krusowich, un paladino della libertà d’origine russa che permette a Ed di lavorare e di scoprire la libertà, portandolo a combattere per essa. Il protagonista potrebbe essere una persona, è vero, ma anche un luogo: la leggendaria isola Hiddensee o L’Eremita, il pittoresco ristorante che divora energia fisica e nutre l’animo e il cuore, il mare stesso – linea di confine bagnata di sangue.

È un romanzo che incanta, Kruso, e che gioca con la dissoluzione della Germania dell’Est e della vecchia Europa, alternando suspense, giochi linguistici (grazie per avermi fatto cercare molti vocaboli sul dizionario), rimandi, il semplice piacere del “bel raccontare”.

Tutto sembra meravigliosamente reale e ti conduce a una nostalgia del non vissuto che ti distrugge dal di dentro. Vorresti essere lì a lavorare, servire i tavoli, sbucciare le cipolle, distruggerti le mani con montagne di piatti luridi, convivere con blatte e sporcizia. Essere lì, all’Eremita, e far parte di quello che chiamano “equipaggio” e farti protagonista – ora flâneur, ora uditore, ora declamatore – di un moderno cenacolo di poeti, filosofi, scrittori, pensatori, sognatori.

La “svolta”, la caduta cioè del Muro di Berlino è per la prima volta un nodo cruciale per fare letteratura, quella con “l” maiuscola e un significante che va troppo stretto al significato.

C’era una canzone di Guccini di tanti anni dedicata con nostalgia alla sua città, Bologna, epicentro della lotta degli anni Sessanta e Settanta, parlava di “morti per sogni di fronte al tuo santo Petronio”. Mi è tornata in mente molte questo testo, mentre leggevo Kruso. Questo libro è per loro: per chi vuole ancora cambiare il mondo e per quelli che hanno sognato anche troppo di cambiarlo.

L’articolo è già uscito sulla rivista Flanerí, si ringrazia la redazione per la gentile concessione.

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