Kamen’ e acme: "La pietra" di Osip Mandel’štam

Kamen’ e acme: “La pietra” di Osip Mandel’štam

Recensione di “La pietra” (Il Saggiatore) dell’autore russo Osip Mandel’štam. Il volume è pubblicato per la prima volta in Italia.

A oltre cent’anni dalla sua prima pubblicazione, il Saggiatore pubblica per la prima volta in Italia l’opera prima dell’autore russo Osip Mandel’štam.

Siamo nel 1913, il mondo si accinge a entrare nel conflitto mondiale e la Russia a rovesciare il regime zarista.

In questo primo decennio del Novecento la letteratura ancora non si staccava dal simbolismo che ha caratterizzato il secolo precedente e continuava su quel filone di cui Baudelaire è stato il massimo esponente.

Il Novecento però, è stato pieno di cambiamenti artistici e il simbolismo non poteva sopravvivere al secolo in cui i progressi scientifici e artistici andavano veloci quanto i cambiamenti storici. In Russia, infatti, un gruppo di poeti emerge e introduce una poesia nuova, in cui il simbolismo perde completamente importanza. Vengono annullate le visioni utopistiche e angelicate, viene ridimensionata la santità dei soggetti poetici. La poesia ora abbassa lo sguardo verso le cose della realtà: non più donne viste come angeli, ma sottilissime dita che rompono biscotti; non più una natura incontaminata e bucolica, ma un frutto che cade dall’albero; non più amori platonici o passionali, ma amori bisbigliati per non svegliare i servi.

La poesia quindi si concentra per afferrare la realtà, la vera essenza di cui sono fatti gli oggetti di tutti i giorni come cucchiaini, fazzoletti e candele. Questa nuova corrente tenta quindi di afferrare il vero senso della realtà e il suo acme, il punto più alto, da qui appunto il suo nome: acmeismo.

Nel 1913 Osip Mandel’štam pubblica il suo primo libro, la pietra (Kamen’).

Proprio in virtù della concretezza dei soggetti scelti dalla poetica acmeica che Osip Mandel’štam chiama la sua prima opera la pietra: cosa c’è di più reale di una pietra? La pietra è la concretezza della realtà per antonomasia, appartiene alla terra e forma la terra: è corpo e frutto della realtà. Mandel’štam, tuttavia, approfondisce di più il legame con la pietra con la sua poesia: kamen, traduzione russa per pietra è l’anagramma di acme; l’opera di Mandel’štam si lega quindi alla corrente artistica anche dal punto di vista etimologico, segnando una correlazione più profonda, inscindibile.

La poetica di Mandel’štam, nonostante si allontani dai valori del simbolismo e della poesia precedente, richiama la struttura e la dignità del neoclassicismo, ricordando vivamente i versi catartici di Dante e Petrarca, poeti che Mandel’štam conosceva tanto bene da saperli recitare a memoria in italiano. E come i due grandi poeti nostrani, non lascia che le emozioni influenzino il suo stile. Con un labor limae sapiente sceglie accuratamente le parole, filtrando le sensazioni, descrivendole senza lasciare che il lettore le provi. I suoi versi sembrano essere di vetro: si vede attraverso di essi ma non si può raggiungere ciò che si vede.

Questa contrapposizione tra solennità del linguaggio e soggetti della vita quotidiana crea un contrasto capace di elevare e promuovere quella realtà che prima veniva sdegnata, portandola così a un livello superiore, come se fosse riscattata dalla purezza della lingua e dalla raffinatezza della poesia. La grande sapienza di Mandel’štam è capace di rendere un affascinante soggetto poetico anche un vecchio ubriacone, facendolo divenire protagonista o destinatario della poesia il vecchio. 

“ […] bestemmia, mormora
Parole sconnesse
Lui vuole confessarsi –
Ma prima peccare
Lavoratore deluso
O prodigo intristito –
E l’occhio, pestato nella notte,
fiorisce come un arcobaleno.

[…]

Ma a casa, con un litigio alato,
pallida di rabbia,
accoglie il Socrate ubriaco
una moglie intransigente”.