“Essere due” di Luce Irigaray

“Essere due” di Luce Irigaray

Recensione di “Essere due” di Luce Irigaray.

Ci sono libri scritti per restare nel tempo e sono libri che richiedono a loro volta tempo, per una lettura che è passaggio e rilettura, traccia ri-cercata, ritorno, riavvolgimento. Una lettura che si fa melodia, sottofondo di pensieri, soundtrack di r-esistenza.

Essere due è un libro così, una bussola, un faro, la colonna portante di quella personalissima biblioteca mentale, indistruttibile e permanente che ogni lettore ha dentro di sé e custodisce con orgoglio. Essere due è pensiero generativo, è spazio di riflessione sull’intersoggettività, che  si fa panorama ampio di possibilità e rispetto, promessa di una identificazione che non è più condizionamento necessario bensì accettazione della differenza come principio esistenziale, inclusione differenziata.

Così io e tu, lei e lui, si parlano e si costituiscono ciascuna(o) una soggettività rifiutandosi a un eccesso a sé e all’altro prima di un parlare. Fra noi sono il mondo e il verbo, l’universo e la parola. L’uno ci è per una parte comune, l’altro rimane proprio”.

La domanda è: Come si può entrare nell’altro pur rimanendo due, senza dominio o sottomissione, senza fusione e annullamento da parte di uno dei due?

“Per lui non posso essere il tutto, non posso esistere né essere al suo posto, ma posso forse dare a lui un luogo vivibile, disporre intorno a lui uno spazio, contenermi: avvicinarmi allontanandomi. Tornare in me senza spargermi, disperdermi”.

Luce Irigaray, psicoanalista e filosofa, affronta il tema della relazione tra uomo e donna  sul piano delle percezioni sensoriali e del rapporto con la natura. La concezione dell’Altro diventa istanza primaria da cui ripartire per riponderare l’idea del Sé e del mondo. La risposta risiede nella consapevolezza che esistono un Sé e un Altro da Sé che si interpenetrano e trasmutano fino ad annullare la dicotomia esistente tra di loro per approdare infine all’ accettazione delle reciproche differenze e al loro superamento, che è nel “noi”.

“Bisogna amare molto per essere capaci di una tale dialettica. Bisogna amare abbastanza per generare e non ferire: amare l’altro come un tutto, amarlo nella sua vita senza dare a lui la propria vita. Rispettarlo come una fonte scaturita dalla sua alterità”.

Pensare questo “Altro”, pensare cioè la differenza e l’alterità, sono le possibilità per il pensare stesso, per il vivere e l’amare. Luce Irigaray dialoga allora con Sartre, Merleau-Ponty, Lévinas, Hegel e Heidegger, poi entra nel linguaggio di ragazzi e ragazze, e lì ancora si interroga, ci interroga. Il quadro di società che ne emerge parla sempre di un soggetto unico (che di fatto è maschile) che costruisce una filosofia verticale e supera la natura; solo se si entra invece nell’ottica dei due soggetti (differenti ma in continua relazione fra loro) questo rapporto cambia e ciascun soggetto entra in relazione con la natura, con tutti gli individui e con la cultura.

Fondamentale è il “respiro”, inteso come processo di soggettivazione autodeterminata, respiro che è gesto di vita, capacità di tenere il soffio in sé, cultura della relazione con la natura. La cultura del respiro e della parola che lo rispetta procurano la vita e l’autonomia.  Ma questa cultura sembrerebbe essersi persa nella nostra tradizione. “Bisognerebbe-allora-intrecciarsi con la memoria di una cultura della vita che abbiamo cancellato: quest’altra via si trova nel rispetto e nell’amore fra uomo e donna, cioè in una pratica della differenza sessuale che esiste fra i due generi”

La strada indicata da Luce Irigaray è dunque quella di un’antropologia fondata non sul conflitto ma sulla costruzione di percorsi rispettosi delle differenze dell’altro e dell’altra, che mirino a promuovere una cultura della relazione rispettosa della natura e dunque capace di favorire e incoraggiare l’energia espansiva che caratterizza l’amore nella sua tendenza a dilatarsi dalla dimensione privata a quella pubblica.

Così, “ciascuna delle nostre giornate dovrebbe modellare una forma, o ciascuno dei nostri incontri generare l’alleanza fra due anelli: Non è una cosa che dobbiamo scambiare, ma forse un dimorare, un luogo dove restare”.

Condividere il mondo e il pensiero nel rispetto della alterità e della differenza è sicuramente l’unica forma possibile di esistenza che dobbiamo imparare ad abitare.