Elogio di Stevenson – Racconti dei Mari del Sud

Elogio di Stevenson – Racconti dei Mari del Sud

Rilettura dei “Racconti dei Mari del Sud” di Robert L. Stevenson.

Tempo d’estate, tempo di storie marinaresche, piratesche, di letture sotto l’ombrellone, e, tra le varie letture, per iniziativa di Passigli Editori consiglio vivamente la raccolta in questione, frutto di una riedizione recente, di cui forse la narrazione più famosa è Il diavolo nella bottiglia.

Il titolo originale della raccolta era Gli intrattenimenti delle notti sull’isola, la cui prima pubblicazione è del 1893, ma in questa recente versione si presenta monca di un racconto; tre invece di quattro.

Robert L. Stevenson fu per tutta la vita cagionevole di salute, ma aveva uno spirito portato all’avventura e alla scoperta, inoltre passò gli ultimi anni della sua esistenza nelle isole Samoa, molto più libere e selvagge di adesso, poiché si era verso la fine dell’ottocento.

La peculiarità dello scrittore scozzese è quella di restituirci i tropici e le mete esotiche con uno sguardo profondo e al contempo leggero, dato dalla vera immersione dell’autore nella cultura, negli usi e nei costumi delle persone di quei luoghi, accompagnati da uno sguardo occidentale, che lega la cultura d’origine e quella d’accoglienza.

In questo senso la bellezza degli scritti di Stevenson sta nel percepire una verità antropologica e insieme dall’alto valore letterario, dal suo farsi narrazione, “fabula”, e in questo trovando un grande incontro tra l’arte propria del narrare e i racconti degli anziani delle tribù. Non a caso egli venne chiamato dalle genti di Samoa Tusitala, cioè “narratore di storie”.

Stevenson trasfonde l’arte della favola nel modus narrativo delle leggende di quei mari e di quelle terre, ben consapevole del fatto che non vengono raccontate come finzioni dagli abitanti dei tropici e che hanno implicazioni sociali e reali molto articolate o complesse.

Del resto egli abitando quei luoghi finì per vivere in osmosi, e probabilmente l’unica cosa a cui non credette davvero fu l’essere considerato una divinità da una parte di quelle genti.

Se Il diavolo nella bottiglia è un racconto relativamente famoso, dove al centro della narrazione c’è  il demone che soddisfa ogni desiderio, ma provoca la dannazione eterna se non ci se ne libera, occorre dire che il più riuscito dei tre è L’isola delle voci, dove l’autore riesce a mescolare abilmente avventura, magia, visioni ancestrali, che trovano dei parallelismi nel nostro mondo pagano. Le descrizioni di grande suggestione probabilmente influirono anche sui nostri scrittori, come Emilio Salgari, o sull’immaginazione di vari registi.

In C’è qualcosa di vero l’autore esemplifica la sua visione metafisica intorno al problema di ciò che sia vero o meno riguardo al trascendente, alle dimensioni superiori o diverse, e lo fa attraverso un racconto che ha il sapore dell’aneddoto, mettendo a confronto un missionario e una presunta leggenda sugli “inferi dei tropici”; una specie di Ade.

Stevenson quando scrisse queste storie era un autore assolutamente emancipato da una visione vittoriana, che a quel tempo dominava largamente nel costume occidentale, aveva criticato molto le imposizioni ai popoli polinesiani, ma non fu mai un nemico della cultura del cosiddetto mondo civilizzato.

In questa accezione per esempio Il diavolo nella bottiglia è un racconto secondo la mitografia occidentale, ma al contempo potrebbe essere da molti punti di vista una storia degli indigeni hawaiani, quasi a suggerire che il mare è una grande famiglia e che siamo tutti marinai del mondo, nel senso migliore delle definizioni possibili, se lo vogliamo.

Stevenson

Stevenson