Ostaggi di un una cultura decadente
Uno sguardo sul presente da parte di Diego Romeo.
In questi giorni di fine estate non si fa altro che parlare delle sorti dell’ex premier Silvio Berlusconi e di conseguenze delle ripercussioni che questo avrà sul futuro dell’esecutivo. Certo queste sono, senza dubbio, questioni importanti se non fondamentali per il futuro politico ed economico del nostro paese e che per questo meritano tutto questo “interesse” mediatico.
Tuttavia quello che su cui vorrei riflettere oggi è un altro aspetto, legato sempre alla vita dell’ex premier, e che a mio avviso, avrà delle ricadute assai più gravi soprattutto negli anni a venire. Mi riferisco all’impatto che la “mentalità berlusconiana” ha avuto e avrà sulla nostra cultura.
Infatti non è raro oggi sentire, durante tutte le conversazioni dalle più banali alle più auliche, un disprezzo verso le istituzioni, verso la legge (divenuta ormai solo una direttiva di massima, se non un vero e proprio consiglio), verso l’altro, soprattutto se più povero e soprattutto verso la donna, che poco importa se è intelligente e/o qualificata perché l’unica cosa che conta veramente è solo se bella e disponibile.
Potrebbe sembrare il solito discorso qualunquista di un uomo arrabbiato di sinistra. Ma sentire il ministro dell’interno e vice premier pronunciare frasi come “l’esempio di Cristo ci fa capire l’inadeguatezza dei giudici” (ovviamente riferito alla sentenza di condanna del suo leader), oppure che “il vitto dei detenuti stranieri deve essere pagato dagli stati di appartenenza dei detenuti” fino ad arrivare alla dichiarazione di questa sera, per cui “la decadenza da senatore di Silvio Berlusconi è impensabile perché incostituzionale”, senza che nessuno osi contestare seriamente questi discorsi, ci fa capire come alla fine questo modo di pensare alla “Berlusconi” abbia preso in ostaggio il nostro senso critico.
Perché dietro le parole di Angiolino Alfano (che poi sono lo specchio limpido del pensiero del suo Leader) non vi è solo una opinione politica e sociale, ma vi è il disprezzo (se non l’ignoranza) per quello che è un sistema giuridico e statale che è fra i più complessi ed articolati di tutto il mondo.
Poco importa se la nostra costituzione è fra le più complete e capillari d’Europa, poco importa se fu scritta da padri costituenti di un livello sociale, politico e culturale enorme. Oggi quello che conta veramente è piegarla alle esigenze del “padrone”, affermando che è inadeguata, quando non permette ad una certa classe politica di governare in maniera sconsiderata, oppure prendendola a difesa per salvare un pregiudicato (dimostrando che certa gente la costituzione non solo non l’ha mai letta, ma non sa nemmeno di cosa lontanamente parli).
Ma non mi spaventano le frasi e le idee espresse da Angiolino Alfano, che anche solo per partito preso fa bene a difendere quelle che sono le idee del suo capo. Quello che mi spaventa è l’indifferenza, non solo mediatica, con cui queste parole vengono accettate ed in un certo senso assimilate dal popolo italiano.
Tutto questo però è il frutto di un lento processo di “deculturizzazione” (concedetemi il termine) a cui nessuno, sinistra compresa, si è mai opposta seriamente.
Questo processo iniziò nel lontano 30 settembre 1980, ovvero quando un più giovane imprenditore di nome Silvio Berlusconi fonda la sua prima emittente televisiva.
In quella data per l’Italia si apre un periodo di decadenza culturale. Perché tramite le sue emittenti televisive Silvio Berlusconi inizia ad imporre il suo modello di vita, basato su donne, soldi e potere, a milioni di italiani che ignari seguono i suoi programmi televisivi.
In un attimo le assistenti di conduzione, che affiancano i conduttori televisivi, si trasformano in veline semi nude e spesso sono oggetto degli apprezzamenti non troppo galanti dei loro partner maschili. Iniziano a diffondersi programmi televisivi incentrati sempre sulle donne mezze nude in un turbinio di battute sessiste. Insomma in pochi anni si inizia una distruzione dell’immagine e del ruolo della donna perno, a mio avviso, di valori atavici come la famiglia e l’amore.
Svilito il ruolo della donna, per Berlusconi imporre il suo modello culturale è stato semplice. Sempre più in Italia si affermava il mito dell’uomo di successo che piega e raggira la legge a proprio vantaggio.
Altra data fondamentale nell’affermarsi del modello “berlusconiano” fu la sua famosa “discesa in campo” nel 1994, quando per sfuggire ai suoi “guai processuali” (dovuti per l’appunto al suo stile di vita) fondò il suo partito Forza Italia. Da quel momento in poi Berlusconi non attacca solo i modelli culturali italiani, ma inizia un vero e proprio processo di delegittimazione delle varie strutture di governo italiano (Quirinale, Magistratura, Parlamento e via dicendo).
Un processo durato trentatré anni e che alla fine ha imposto un modello per cui, usare le donne a suo piacimento, frodare il fisco, cambiare le leggi a suo comodo e via dicendo, non solo non è poi così scandaloso, ma al contrario può sembrare anche giusto. Oggi infatti vedere un uomo condannato in terzo grado, tenere in ostaggio un intero paese, minacciando una crisi di governo (che porterebbe il paese di nuovo sull’orlo di un baratro economico), solo perché non ha il senso civico di accettare le conseguenze della sua condotta, non è poi così strano (almeno qui in Italia, perché nel resto d’Europa una cosa del genere è inconcepibile).
Ma che fare?
La domanda, per quanto banale non è affatto scontata, questo perché i danni sociali e culturali che quest’epoca ha prodotto in Italia saranno difficilmente rimediabili a meno di un grande sforzo da parte del singolo.
Infatti ormai il processo di riqualificazione della nostra cultura non può più partire dalle strutture statali (ormai irrimediabilmente degradate) ma deve partire da ognuno di noi, dal più piccolo al più sapiente. Solo con uno sforzo congiunto di ognuno di noi si potrà superare questa fase culturale del nostro paese.