"Io l'ho scoperto tanti anni fa" Consapevolezze sul campo

“Io l’ho scoperto tanti anni fa” Consapevolezze sul campo

Io l’ho scoperto tanti anni fa, che siamo tutti uguali. Ma non a scuola o al catechismo. Un momento: lì si diceva, certo, che non ci sono differenze, che tutte le culture sono uguali. Certo, magari non proprio identiche (un po’ diversi siamo, io e un Indù), però il senso era che quello che ci fa umani e non marziani o scimmiette alla fine ci accomuna davvero un po’ tutti. E non si tratta solo di cose noiose (tipo la letteratura, le tradizioni o il culto dei cari che non ci sono più): a pensarci bene tutti ma proprio tutti vogliamo bene alla mamma, a tutti piace il mare o la montagna (dubbi sul lago…), tutti ci innamoriamo e sposiamo.

Ma queste cose io le sapevo, mica le avevo scoperte. Avevo visto e pure incontrato persone gialle nere rosa (a pois mai: ne ho sognate, ma incontrate mai; qualcuna ne ho vista verde dalla rabbia, ma poi tornava al suo colore una volta sbollita la collera!). Ci avevo anche parlato, ma la “molla” non m’era mai scattata.

Fino al quel giorno. Al pomeriggio in cui, accaldatissimo e preoccupatissimo (che ne sarà dei miei prossimi mesi, in questa divisa stretta stretta? con questa stella sulla spalla che dice a tutti che io le cose le so fare e le posso ordinare?), ho infilato la chiave alla porta del mio nuovo alloggio. Apro e chi ti trovo?! L’Uomo Nero. Quello vero. E pure mezzo ignudo, perché usciva dalla doccia! Io, d’istinto:

“E tu chi sei?!”

Lui, ancora più d’istinto:

‘Ma chi ssei te, oh! Ma vvedi te cche robba, l’urtimo arivato e se scannalizza pure!’

In dialetto romanesco. Puro, verace. L’Òmo Nero de Noantri. Ecco, io.. non so come dirlo, come spiegarlo, ma Tito non l’ho più visto nero, bianco, diverso, altro da me: Tito era Tito e basta. Perché parlava come me. Non solo: pure la manina rovesciata a mezza’aria, c’aveva; la manina “Anvedi questo!”. Insomma, Tito era proprio come me. E finalmente quello che già sapevo l’ho scoperto.

Io questa cosa di Roma la amo. Sarà che ci siamo abituati (e come lo reggi un Impero, se ti metti a fare il razzista?!); sarà che ne abbiamo davvero viste di tutti i colori (noi non c’eravamo, dici? mica vero: c’erano gli antenati, e i ricordi si ereditano!); sarà che siamo tanto presi da tutti gli impicci de ‘sta Città, sarà…

Fermi tutti: sarà mica che alla fine non è vero, che nun ce ne frega ggnente de ggnente??!

Io Tito l’ho conosciuto giusti 15 anni fa. Primo Ufficiale nero dell’Esercito Italiano. A quel tempo a Roma pure gli olandesi, additavamo. Troppo, troppo bianchi e biondi. E chi ci parlava?! Chi osava? “Stranieri”. Al ristorante cinese noi scandivamo: “Io riso cantonese, lei pollo, no fritto!”. Poi qualcosa è cambiato. Io sono diventato un linguista, e ho cominciato a dare tanto tanto peso alle parole; e loro, gli “stranieri”, pure. E come Tito, che qui non c’è nato ma il dialetto l’ha imparato, migliaia d’altri hanno capito, forse d’istinto, che nessuno è romano: noi semo de Roma. È molto, molto diverso: significa che romano lo diventi se romano suoni quando parli. Diventi romano se da romano pensi, ti muovi, e comunichi al mondo.

Non ci credi? Senti questa.

Ostia, spiaggia libera. Folla (e te pare…). Due ragazzetti, uno bianco uno nero. Il bianco lo tormenta: il gelato, il bagno, i racchettoni, e guarda quelle, e passami il cellulare, e…

E alla fine il nero (amorevolmente: solo noi, riusciamo a sbottare amorevolmente…) sbotta:

“Ahó, e ddaje! E già so’ nnegro, e tte ce metti puro te a ddannamme l’anima!”

Boato. L’intera spiaggia piegata in due dalle risate. Bello, un bel momento di scoperta per tutti i presenti fortunati. Poi lui, il Principe. Il Gladiatore, il Console, il Tribuno, l’Imperatore della Spiaggetta. S’alza, il Bagnino, scende dal suo scranno. Tatuato, palestrato, occhialuto, cicca in bocca e mano aperta, dritta, già in quella dell’altro da metri e metri prima.

“Fratè, te ‘n zèi negro: te ssei dii nostri”.

E, cacchio, mi commuovo ogni volta che ci ripenso.