In ricordo di Mike Nichols, "Il laureato" di Charles Webb

In ricordo di Mike Nichols, “Il laureato” di Charles Webb

Mike Nichols è morto, viva Charles Webb. Il padre del Laureato è il primo, ma il secondo è il Laureato.  

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Il film valso il premio Oscar a Nichols nel 1967 è un capolavoro e lo è nel senso più immediato e diretto del termine: provoca emozioni forti, rimane impresso nella memoria, è ricco di dettagli di stile destinati a passare alla storia del cinema. Non è un caso che registi ben più giovani di Nichols abbiano citato abbondantemente Il Laureato nei loro lavori: vedi, per esempio, la scena iniziale di Jackie Brown, in cui Quentin Tarantino fa scorrere Pam Grier sul nastro trasportatore di un aeroporto esattamente come a suo tempo Nichols aveva fatto scivolare un giovanissimo e annoiatissimo Dustin Hoffman su un analogo nastro (in questo, però, la colonna sonora era di Simon and Garfunkel, nel primo di un molto più tarantiniano Bobby Womack).

Qualunque essere umano di sesso maschile che si trovi a guardare Il Laureato tra i quindici e i venticinque anni affronta immediatamente tre inevitabili conseguenze: s’innamora di Elaine, decide di comprare un Duetto Alfa Romeo rigorosamente “osso di seppia”, comincia a guardare le donne di mezza età con aria concupiscente (tra i meriti del Laureato, infatti, c’è anche quello di aver precorso l’attuale passione per le MILF, le Mothers I’d Like to Fuck che agitano le notti dei pornomani maggiormente dediti alla causa).

La verità, però, è che la maggior parte di punti di forza del film di Nichols è già contenuta nell’omonimo libro (The Graduate) pubblicato da Charles Webb nel 1963. Quello di Webb è un gran romanzo e meriterebbe di essere accostato ad alcuni consolidati capolavori coevi. Se non volete credere a me, spero riuscirà a convincervi Hanif Kureishi, che nel 2009 ha scritto sul Guardian: “Il libro di Webb è stato eclissato dal film (e dalla sua colonna sonora), ma lo eguaglia nella sua eleganza sottile e distaccata riuscendo ad essere – cosa assai rara e preziosa – un romanzo ironico e profondo nello stesso tempo, capace di parlarci ancora, a distanza di anni, pur essendo un affresco eloquente del periodo in cui è stato scritto”.

Il romanzo di Webb, come il film, narra la storia del neolaureato Benjamin Braddock (in realtà il titolo di studio statunitense non coincide perfettamente con la laurea italiana, ma poco importa). Ben, oramai consegnato alla storia con le fattezze di Dustin Hoffman, è un eroe della stessa pasta dell’Holden salingeriano: non un rivoluzionario, ma un ragazzo annoiato che ha voglia solo di far capire al mondo quanto il mondo lo disgusti. Alle prese con un futuro pieno di vuote promesse, il giovanotto passa le giornate ciondolando nella fastosa villa dei genitori, finché la moglie del miglior amico di suo padre  – ben più annoiata di lui – non gli fa intuire la possibilità di dilettarsi con un piacevole passatempo.  Peccato che la signora Robinson (alias Anne Bancroft, futura moglie del grande Mel Brooks) sia anche la madre di Elaine, “la prima cosa che mi sia veramente piaciuta dopo tanto tempo”, come la definisce lo stesso Ben. Elaine è la purezza e la semplicità, virtù perfettamente incarnate, nel film, dai tratti morbidi di Katharine Ross.

Come tutti i grandi libri, Il Laureato dà vita a personaggi che superano le circostanze del romanzo di cui fanno parte e diventano figure esemplari su cui verranno modellati altri personaggi di altri libri e di altri film. Succede con Mrs. Robinson. Quante donne come lei abbiamo conosciuto da quando il libro di Webb è stato pubblicato? Disillusa, alcolizzata, sottilmente perversa eppure molto diretta e molto poco teatrale nel modo in cui esige e consuma amplessi, la signora Robinson usa Benjamin come un oggetto di piacere, un piacere che la disgusta, sembra di capire, non appena viene ottenuto. Come altri personaggi della stessa fatta, la signora si autocompiace delle proprie bassezze. Pur essendo basato sul sesso, quello con Benjamin è anche un rapporto madre-figlio che farebbe la felicità (professionale, s’intende) di un analista. Mrs. Robinson non fa mistero di considerare il proprio ruolo superiore a quello del suo amante; guida Benjamin, lo istruisce e lo maltratta. Arriva persino a ripudiarlo, quando il ragazzo la tradisce – metaforicamente e letteralmente – preferendole la figlia Elaine. E’ proprio Elaine il punto debole di questa ricca e distaccata signora, che non può o non vuole estendere il proprio cinismo fino al punto di contaminare con esso il futuro dell’angelica figlia. Ecco perché, nell’ottica di Mrs Robinson, l’ormai traviato Ben non deve allungare le mani sull’ignara ragazza.

Le cose, lo sappiamo, vanno a finire in un altro modo. Ben corre, si danna, rinuncia alla meravigliosa Alfa rossa regalo di laurea, si lascia andare alla propria passione e trova in questo abbandono un antidoto alla nevrosi e una redenzione. Si arriva al fantasmagorico e archetipico epilogo (al diavolo lo spoiler, chi non conosce il finale del Laureato?): Ben entra in chiesa per impedire che Elaine sposi un altro, ma un vetro lo separa dal suo futuro. Sembra un pazzo, un indemoniato (e lo è, se restituiamo al termine demone il significato originario di creatura che permette all’uomo di innalzarsi a un livello esistenziale e metafisico superiore): comincia a picchiare con i pugni contro il vetro, grida il nome della ragazza. A questo punto non importa se state leggendo il libro di Charles Webb o guardando il film di Mike Nichols: fate il tifo per Benjamin al cento per cento. Siete diventati Benjamin Braddock, e ormai non potete farci nulla. E’ una vecchia storia:  perché la vita non può essere come nei film? Ha ragione David Grossman: “Perché non ti capita mai di correre sotto la pioggia, di arrivare davanti al portone di qualcuno, farlo scendere, scusarti e iniziare a parlare a vanvera per poi trovarti labbra a labbra e sentirti dire: ‘non importa, l’importante è che sei qui’?” Ben Braddock, alla fine della storia, è proprio come Grossman vorrebbe che tutti diventassimo: coraggioso, irrazionale, combattivo, estroso, sicuro.

Come fa Charles Webb a trascinarci così? Quello che funziona nel Laureato, come nella maggior parte dei più riusciti romanzi americani, sono i dialoghi: diretti, incisivi, intervallati da significativi silenzi. Le risposte monosillabiche rifilate ai genitori dal frustrato e indisponente Ben sono un esempio di quante cose si possano dire senza dire assolutamente nulla. Il goffo e fallimentare tentativo di Benjamin di imbastire un dialogo con la signora Robinson la dice lunga sulla natura del loro rapporto.

E’ incredibile come Webb, raccontando una storia tutto sommato minima, sia riuscito a creare un affresco così fedele dell’America degli anni Sessanta: l’entusiasmo già venato di disillusione e scetticismo, la polvere sotto il tappeto delle classi alte, l’inquietudine di una gioventù nervosa ancora in cerca di un linguaggio con cui imbastire la propria, futura contestazione.  Webb fa sua la ribellione di Benjamin rivolgendola, narrativamente, contro chi vorrebbe far derivare da premesse così realistiche conseguenze tutto sommato scontate. La storia narrata nel Laureato è ben radicata nell’epoca in cui si svolge, ma la soluzione che Ben adotta per disinnescare la propria rabbia è senza tempo, e certo non appartiene a un periodo che scivolava rapidamente verso vizi e virtù della contestazione sessantottina. Un ventenne che vuole una famiglia, che ama una sola donna, che scappa con la futura moglie fasciata dall’abito bianco di una sposa d’altri tempi. E tutto ciò negli anni Sessanta!

I capolavori, piccoli o meno piccoli, sono sempre un po’ più grandi di chi li concepisce. La vita di Charles Webb, nella sua singolarità, è più o meno quella che ci aspetta da un giovane degli anni Sessanta e non ha nulla del tradizionalismo rivoluzionario adottato più o meno consapevolmente da Braddock.

Figlio di un cardiologo, Webb nasce a San Francisco nel 1939, ma cresce nella più agiata e meridionale Pasadena.  Quando pubblica Il Laureato ha 24 anni. Il libro non ha un successo immediato e il film del ’67 funge sicuramente da volano. Webb cede i diritti per ventimila dollari. Dopo Il Laureato arriveranno altri sette libri di minor successo, alcuni dei quali riprendono temi e personaggi del romanzo originale.

La Elaine di Charles, diciamo così, si chiama Eve, ma a un certo punto decide di radersi i capelli e di farsi chiamare Fred, per solidarietà con l’omonimo gruppo femminista californiano. Fred è un’artista. Quando rimane incinta i due decidono di sposarsi, poi cambiano idea (pare perché scopertisi contrari al matrimonio come istituzione). I genitori della ragazza le vietano di vedere ancora Charles, e il povero Webb affida le proprie pene d’amore a un racconto che prelude al romanzo futuro (leggenda vuole che il libro sia stato scritto a bordo piscina, al Pasadena Huntington Hotel).  Webb, l’abbiamo già detto, è in qualche modo il Laureato. Si dice che anche la liaison tra Ben e la signora Robinson abbia un’origine autobiografica, ma Webb ha sempre negato. Fatto sta che i genitori di Eve finiscono per cambiare idea sul matrimonio e i due fidanzati anche. Le nozze vengono celebrate nel 1962. Seguiranno due figli, un maschio e una femmina. Il primo segue le orme della madre e si dedica a performance artistiche, una delle quali prevede la cottura e l’ingestione di copie del Laureato condite da salsa di mirtilli rossi.

Charles e Eve vivono una vita eccentrica. Vengono perseguitati dalla legge quando decidono di ritirare i figli dalla scuola per istruirli in casa, trascorrono un periodo gestendo un campo per nudisti, divorziano come gesto di protesta per la disparità di trattamento delle donne all’interno del matrimonio, fanno mille lavori, dal cuoco al raccoglitore di frutta nei campi. Il loro miglior pregio, o il loro peggior difetto, è la prodigalità: cedono gratuitamente ameno due case, restituiscono i regali di nozze, danno via un dipinto di Rauschenberg e un’opera di Warhol. Alla fine si ritrovano sul lastrico e passano qualche tempo in una catapecchia.

Una vita decisamente singolare, molto diversa da quella di Katharine Ross, l’attrice che nel Laureato interpreta Elaine. Lei ha sposato il collega Sam Elliott (avete presente il saggio cowboy del Grande Lebowski? Lui). Si sono conosciuti nel ’69 sul set di Butch Cassidy, ma sono convolati a nozze solo nel 1984. Mi piace pensare che, dopo tanto tempo, lui l’abbia conquistata con un gesto eclatante alla Ben Braddock. Elaine in fondo merita questo ed altro.