I dettagli (in)influenti in un racconto

I dettagli (in)influenti in un racconto

Nelle pieghe di un racconto spesso s’incontrano o si celano dettagli che ci appaiono come non essenziali. Particolari apparentemente inutili ma capaci di arricchire la narrazione mostrandola più vera, più completa, più significante e dunque più bella.

Chi legge un racconto o un romanzo segue la sua trama per comprendere appieno come la storia o le storie raccontate si sviluppano, cercando di cogliere il loro significato e il loro fine. Il lettore si fa guidare dalle parole e insieme ad esse dalla propria capacità di immaginazione per “rubare” la storia all’autore, per viverla nel modo migliore possibile, nella maniera a lui più congeniale. I personaggi s’incontrano, si baciano, litigano, a volte si colpiscono, anche fino alla morte. I luoghi appaiono e pian piano i loro dettagli si dischiudono nella nostra mente e dentro i nostri occhi di lettori. Compare una strada o un monte, la spiaggia o la neve, la folla festante o una donna triste che solitaria attraversa una via o è soltanto seduta in una sporca stazione in attesa.

Spesso, divorando la storia, ci impegniamo in una lettura attenta a tutti i particolari che ci sembrano importanti perché non vogliamo farci sfuggire gli aspetti fondamentali del percorso narrativo principale che l’autore ha costruito per guidare noi lettori, soggetti passivi soltanto in apparenza, nel dispiegarsi della sua narrazione. Leggiamo e a volte, per necessità o per scarsa attenzione, tralasciamo i piccoli dettagli che di tanto in tanto compaiono nelle frasi mentre le decodifichiamo. Dettagli infilati tra le righe che scorriamo per raggiungere la fine dell’azione, del pensiero di un protagonista o soltanto per completare la pagina che abbiamo di fronte. Eppure i tanti particolari che il narratore ha messo sul percorso del lettore e nei quali quest’ultimo può inciampare, non sono sempre marginali, secondari, anche quando a prima vista mostrano di esserlo. Se sono lì una ragione ci deve pur essere, come ci dice il principio di Mosca dei Lamberti “cosa fatta capo ha”.

Sono piccole pause in una trama, spazi minimi in cui il racconto sembra rallentare per respirare meglio, per fermare, solo per un istante, l’incedere dei fatti e dedicarsi ad aspetti apparentemente marginali, trascurabili, che tuttavia non mancano mai in un romanzo, in un racconto, sia esso lungo o breve.

Sono microinterruzioni che distolgono il lettore, gli mostrano una piccolezza, una sfumatura, una minuzia. Lo costringono a distrarsi dal filo narrativo e spostano il suo sguardo su un “quasi niente” che illumina un piccolo evento, forse inutile, non determinante, ma piacevole nella sua non essenzialità.

Una penna che rotola e si arresta sul bordo di un tavolo, una goccia di caffè che cade e si allarga sul pavimento, rotonda e nera. Un soffio improvviso di vento che scompiglia i capelli di una bambina. Il profumo di una donna che il ragazzo che le cammina accanto leggermente avverte. Una piccola e vecchia porta che si apre davanti al protagonista. I pallini bianchi di una cravatta blu annodata all’inglese. Tutte cose che non cambiano il corso degli eventi, non hanno la forza di far piegare il verso di una storia. Dettagli che a volte rimangono sullo sfondo mentre in altri casi ci colpiscono e non riusciamo a dimenticarli. Alcuni assumono nella nostra mente il valore di significato, mentre altri si perdono tra le parole e, almeno ai nostri occhi, scompaiono come se non avessero un dato – un oggetto, un fatto, una qualità – a cui riferirsi, un senso da trasmettere.

Nel Don Chisciotte, “la borraccia nell’arcione” che Sancho Panza tiene appesa al suo asino non cambierà gli eventi in cui Miguel de Cervantes trascina il suo eroico cavaliere e così i “molti uccelli che giocondamente salutavano il nascere del nuovo giorno” non riusciranno a cambiare la giornata dei nostri due eroi. Eppure questi dettagli, così come la descrizione del capo “tutto scompigliato” di Sancho che stava sopra il suo padrone che pareva morto, sono lì per ricordarci che la vita, anche quella narrata, non è fatta soltanto di gesti epici, ma si esprime anche per mezzo di piccole cose.

Piccole cose, come i “bottoni neri” della “giacca di panno verde” del giovane Charles Bovary al suo arrivo in aula o “i rami spogli dei meli” e le “macchie color violetto cupo” nella campagna francese, o ancora “le legature di raso” che Emma maneggiava delicatamente. Tutte cose che Flaubert non ci ha risparmiato, ma che comunque non riescono ad impedire a Madame Bovary di morire avvelenata dall’arsenico. Lo stesso destino tocca sicuramente alle “scarpe che scricchiolavano” di Matvej mentre andava verso Stepan Arkad’ic oppure agli “occhi presbiti” di Kitty che guardando Anna Karenina e il conte Vronskij capisce che la “rovina sua era compiuta“.

E se questi sono i dettagli che troviamo nei classici, tutto ciò ovviamente non vale soltanto per loro. Basta aprire a caso “Menzogna e sortilegio” e notare come Elsa Morante ci descrive nel suo bellissimo romanzo familiare “il canto del verdone” che la protagonista ascolta, “il piede infilato nella pantofola” che Edoardo dondolava o, ancora, “i logori cordoni” della borsetta della mamma.

Per dirla con Roland Barthes, siamo di fronte a piccoli “lussi” della narrazione, elementi apparentemente inutili che possiedono una finalità estetica ma non solo quella. Sono “scarti” apparentemente (in)significanti che, invece, possono avere un ruolo nella semantica della narrazione. Un significato che vive di piccole apparizioni e che non viene colto sempre facilmente o direttamente, ma che in forma esplicita o implicita esiste. Riprendendo le parole di Barthes: «… proprio nel momento in cui quei dettagli dovrebbero denotare direttamente il reale, non fanno altro, senza dirlo, che significarlo;»

Tutti particolari secondari, superficialmente inessenziali, marginali per la grande semantica della narrazione. Il componimento narrativo riuscirebbe a vivere tranquillamente anche senza di loro, sta in piedi nutrito e in salute come un signore impeccabile che indossa un elegante vestito grigio. Eppure quei dettagli colorano le storie, aggiungono piccoli ornamenti al vestito grigio, rendono la narrazione più declive o più rotonda, a volte più dolce o più amara, più vera o più incerta. In una parola reale, esattamente come la vita.

I dettagli, per loro sfortuna, stanno più dalla parte del descrivere che da quella del narrare, appaiono come cornice e non quadro, eppure tramite di essi la descrizione letteraria narra il mondo, le persone, le loro piccole abitudini, le loro angosce nascoste, i loro sentimenti che si annodano per diventare trame con significato. Sono piccoli fiori di campo che punteggiano di colore una narrazione che andrebbe avanti anche senza di loro. Piccoli fiori con colori e profumi che a volte possono sconvolgere. Minimi elementi vivi che se fossero cassati, depennati, per loro intima modestia non si dispiacerebbero, ma che il lettore farebbe bene a non considerare soltanto come “zucchero sintattico”.