Transnazionalità poetiche: il vento del Nord

Transnazionalità poetiche: il vento del Nord

Pubblichiamo l’interessante intervento di Laura Restuccia, che ha moderato l’incontro con i poeti Kira Wuck e Radna Fabias durante il Festival delle Letterature Migranti, tenutasi a Palermo tra il 27 e il 31 ottobre 2021.

Ho scelto l’immagine del vento per introdurre le raccolte poetiche di Radna Fabias e Kira Wuck, traendola da quella già cara agli antichi letterati nelle opere dei quali il vento è spesso metonimicamente il simbolo dello scorrere del tempo e delle sue conseguenze. Questo legame tra il vento e il fluire del tempo lo si ritrova anche nella tradizione filosofica dell’Idealismo dove esso rappresenta l’azione dello Spirito nella dimensione del XVIII secolo rappresentando, di volta in volta, il vento del progresso che sconvolge le esistenze personali; il vento dell’inatteso, dell’inaspettato e dell’imponderabile, che pervade le vicende storiche, individuali e collettive. Ed è proprio questo senso del tempo, in cui l’inatteso si invera come qualcosa di profondamente conturbante della condizione di precarietà dell’uomo novecentesco, che mi è sembrato di poter percepire dalla lettura delle raccolte poetiche Habitus di Radna Fabias e Il mare ha fame, di Kira Wuck – pubblicate in lingua italiana nella traduzione di Patrizia Filia dalla editrice Ensemble rispettivamente nel 2020 e nel 2021.

È con la raccolta, Habitus, pubblicata per la prima volta in lingua olandese nel 2018 – alla quale è stato attribuito nello stesso 2018 il premio Buddingh’ e poi, l’anno successivo il premio Grote Poëzie –, che Radna Fabias ha debuttato in poesia. In Habitus, la sua voce è contemplativa e, insieme, sovversiva; esplora in modo critico e audace questioni come l’origine, l’identità e il corpo. Nello sfruttare tutto lo spazio poetico possibile, l’autrice sembra sovvertire, quanto basta, l’antica tradizione poetica lasciando intuire la precisa volontà di ripensare daccapo e di esplorare a fondo le risorse della scrittura, spesso intima, che parte dalla coralità per soddisfare l’esigenza di rendere conto della propria vita. Nei suoi versi, si inseguono e si susseguono, a ritmo incalzante, ritornanze, ripercussioni, sopravvivenze e rimembranze che ricostruiscono realtà fondative che fanno rivivere tutto il dolore di cui consistono le emozioni, le impressioni dell’esperienza della quale ogni singolo attimo presente è un cristallo rilucente di tutto il passato che lo attraversa, e nella quale il passare, il restare e l’avvenire lavorano insieme e non si fanno disgiungere. Tra i temi ricorrenti vi è il rapporto con il corpo, strumento salvifico per mezzo del quale esprimersi e resistere ad ogni tempesta, come avviene in gieser wildeman, o quello della figura del migrante sospeso tra spazi differenti. Un tema, questo ultimo, che diviene particolarmente rilevante in relazione alle nuove sfide lanciate dalla dimensione ‘liquida’ della contemporaneità che comporta, per colui che vive e attraversa lo spazio, una sempre maggiore difficoltà nell’individuazione delle sue linee interpretative e di quel ‘terzo spazio’, di quel luogo teorico e simbolico, cioè, in cui gli antagonismi tra dominatori e dominati si annullano nel concetto di ‘ibridità culturale’ che include la differenza e rappresenta il presupposto per un incontro costruttivo tra culture senza più gerarchie imposte. Un’ibridità culturale che non vuole essere il diluirsi in un magma indistinto, ma, quale frutto di un’eterotopia, piuttosto un arricchirsi. Le soluzioni abitative narrate in sforzo fornito dimostrabile, allora, sono quei “non-luoghi” – come li definisce Marc Augé – in cui sembra impossibile stabilire strette relazioni con il passato ma dove, in assenza di una Storia contigua e rassicurante, le diverse dimensioni dell’io si mescolano generando relazioni rizomatiche.

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Il ricorso a digressioni e analessi rivela il gusto di manipolare il tempo, e di ordinare il mondo in modo consapevole. La sua scrittura chiama prepotentemente il lettore a parteciparvi con un apporto emotivo, immaginativo e interpretativo grazie a quei momenti di indeterminatezza, di sospensione che è chiamato a colmare. Cavità che il tempo ha riempito di memoria, somma di immagini, vivide e insieme folgoranti, ancor prima che istanti di un tempo che si fa spazio. Fra le barriere che Fabias aggredisce, e che finirà per demolire vi è quella eretta ab origine fra vissuto e scrittura: fra l’esperienza e la sua rappresentazione attraverso le parole.

I suoi versi si impongono di significare la sfera degli affetti e delle pulsioni configurando le dinamiche emotive in tutta la loro complessità, facendo così della sua scrittura una forma del sentire.

In alcuni momenti, nell’affascinante contrappunto delle manifestazioni delle parole, i cui fili vanno via via intrecciandosi in un arazzo dai colori insperatamente brillanti che permettono al lettore di entrare e di immergersi nella fabula, Fabias sembra chiamare in aiuto la propria penna per scrivere la pena, e la pena sembra così disacerbarsi per farsi conoscenza e denunzia.

Analogamente vibrante è la vis poetica di Kira Wuck. Il mare ha fame raccoglie, in un unicum, i versi di Ragazze Finlandesi, raccolta che ha segnato il suo debutto letterario nel 2012, e per la quale ha vinto il premio van der Hoogt e che è stata segnalata per altri due premi, e Il mare ha fame del 2018.

Il suo poetare restituisce un senso vivace di euforia così come di grande vuoto. Evocando mondi interi in poche frasi, i versi taglienti di Kira Wuck offrono nuove prospettive della vita quotidiana, le cui immagini, fuori della routine, chiamano in causa il senso di straniamento che ne acuisce l’efficacia.

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Come se si trattasse dell’obiettivo di una macchina fotografica, le parole che si concatenano le une alle altre come leggere pennellate di colore, riproducono con immediatezza impressionistica, il senso di immagini inaspettate e a tratti sconvolgenti. Interrogando i frammenti del quotidiano Kira Wuck ricostruisce, insinuandosi tra gli echi dei ricordi e seguendone le tracce sbiadite, la propria storia personale che sembra ricomporsi attraverso episodi frammentari dove tutto appare al lettore vivido, animato da una forza centripeta che lo trascina dentro gli eventi come se ne fosse protagonista. Dietro le sue parole, si aprono al cuore del lettore i più variegati e contrastanti aspetti del suo animo: i fantasmi del passato sembrano rivivere in un corredo di sorprendenti epifanie generate dal presente e la compatta circolarità del concetto di tempo che si sviluppa in un susseguirsi di eventi disposti lungo un’unica parabola, risulta del tutto efficace. Attraverso immagini intime e al contempo collettive, il fluire ininterrotto del tempo sembra rinnovarsi eternamente in un divenire in cerca di un costante perfezionamento. Si tratta di suggestioni sinestetiche; di immagini sorprendenti che trovano nel paradosso la propria risorsa imprevedibile e forse anche risolutiva; immagini che sembrano essere esse stesse antidoti contro le sue inquietudini per reagire a quei turbamenti del quotidiano a cui si oppone la forza della parola. Nei suoi versi, in cui la realtà è restituita come un flusso continuo di sensazioni che la disancora da confini angusti, ci si confronta con ricorrenti scene familiari che denunciano una fame di intimità che lei sembra ricercare costantemente, come avviene in vista, ma anche con quel suo senso di vuoto, di solitudine e di malinconia che «odora di fegato di vitello in una pirofila». La parola, allora, consentendo una sorta di autoanalisi della coscienza, assume una funzione mediatrice fra la percezione e la realtà, fra il sé e il mondo che stimola nel lettore, ancor prima della interpretazione, e distraendolo momentaneamente dal soggetto, una componente ascetica ed emotiva che riconduce al significato originario del termine greco aisthetes che, prima che sensoriale, è forse morale.

Come nella gastronomia, dunque, nei versi di Radna Fabias e di Kira Wuck i molti ingredienti si mescolano e si fondono in un unicum inscindibile seducendo i lettori per la vividezza delle immagini che evocano e suscitando in loro continue e contrastanti emozioni.

Laura Restuccia

https://www.youtube.com/watch?v=EhSjDrIRKoI

Laura Restuccia è ricercatrice di Scienze umanistiche presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Palermo. I suoi ambiti di ricerca privilegiati sono le letterature francofone, i rapporti fra la cultura italiana e quella francese e la letteratura della migrazione in Italia.
Nel 2002 le è stato conferito, per i servizi resi alla cultura francese, il titolo di “Chevalier dans l’Ordre des Palmes Académiques”.