"Il porto degli spiriti" di John Ajvide Lindqvist

“Il porto degli spiriti” di John Ajvide Lindqvist

Recensione di “Il porto degli spiriti” (Marsilio) di John Ajvide Lindqvist.

Terra e mare.

Possiamo considerarli opposti o complementari. Ma c’è una differenza tra come pensiamo al mare e come pensiamo alla terra. Quando vaghiamo in un bosco, su un prato o per la città, quello che ci circonda è ai nostri occhi un insieme di particolari. Vari tipi di alberi di varie dimensioni, così come le case, le strade. Fiori, cespugli. Il nostro sguardo si sofferma sui dettagli, e quando siamo in un bosco in autunno ci mancano le parole se cerchiamo di descrivere la varietà di tutto quello che ci circonda.
Tutto questo si trova sulla terra.
Il mare invece. Il mare è qualcosa di completamente diverso.
Il mare è uno.

(pag. 185)

Nei primi anni del nuovo millennio si afferma prepotentemente una nuova corrente letteraria – sempre esistita -, a cui deve la migliore fortuna editoriale al suo moderno capostipite, ovvero Stieg Larsson, che con la sua famosa trilogia ha dato linfa e freschezza al giallo, al poliziesco e al thriller dal sapore nordico. Il successo internazionale di questo autore, amplificato dalla sua prematura scomparsa – come non di rado accade in casi del genere -, ha generato visibilità a tutto un sottobosco letterario, che lontano dal seguire una moda, piuttosto si configurava come una sorta di esigenza espressiva, cui l’affermazione di Larsson dava la possibilità di palesarsi nel migliore dei modi.

E’ appunto così che la Marsilio dopo essersi aggiudicata ed aver tradotto per l’Italia la trilogia, trasposta anche al cinema con gli inevitabili limiti, ha editato in Italia diversi gialli e polizieschi scandinavi, che per quello che riguarda Marsilio sono fruibili nella collana Farfalle, esistente dal 1997, poi più specificatamente nei maxitascabili Giallosvezia, inaugurati il 2011, dove sostanzialmente confluisce la scuola scandinava dalla più generica e ‘geograficamente estesa’ collana Farfalle.

Il 5 novembre 2014 uscirà proprio una raccolta dal titolo Giallosvezia, sempre per Marsilio, che sembra voler mettere un punto di arrivo (e di partenza?) a quello straordinario decennio  svedese che ha contribuito a caratterizzare la letteratura mondiale del nuovo millennio.

Giallosvezia comprende una  raccolta di diciassette racconti di autori, tra cui Stieg Larsson, Henning Mankell, Åsa Larsson e altri, che hanno reso grande il crime svedese.
La presentazione del testo è rimarchevole: una scelta di straordinarie storie da brivido, tutte inedite, che la critica non ha esitato a definire ‘una pietra miliare’ nel panorama della letteratura di genere. Una raccolta che svela il lato oscuro della Svezia e scava tra le ombre più profonde di questo luogo seducente, a riprova del perché il giallo nordico ha stregato milioni di lettori nel mondo.

Se comunque molte di queste produzioni letterarie continueranno ad essere interessanti, c’è invece la sensazione che questa stagione stia declinando al tramonto.

Il porto degli spiriti  di John Ajvide Lindqvist (2012), letteralmente capitatomi in mano in quanto donato, non è troppo vicino alla freschezza espressiva delle opere migliori dell’autore, ovvero Lasciami entrare, la raccolta di racconti Muri di carta e il recente ottimo Una piccola stella.

Definito lo Stephen King svedese, Lindqvist ha fatto qualcosa per meritarsi questa fama, anche se ha una ispirazione e uno stile assolutamente propri. I suoi libri sono una via di mezzo tra il giallo e il thriller propriamente detto, tra il paranormale e le dark stories, condite da riferimenti spirituali.

Il porto degli spiriti non manca di descrizioni pregnanti, di una certa verve espressiva originale o spiccatamente personale, ma molto semplicemente la storia è alquanto altalenante sul piano della capacità di attrarre l’attenzione. Il libro qua e là si arena per poi magari riprendere il suo corso. Di tanto in tanto Lindqvist ci offre delle allettanti sorprese, come colombe uscite da una tuba. Ricordiamo che l’autore ha fatto per anni il prestigiatore ed è stato autore televisivo, di sceneggiature e testi teatrali. Qua e là poi riemerge la capacità della sua scrittura di trasfigurarsi in una dimensione onirica e apparentemente irreale (l’irreale è spesso un diverso modo per comprendere meglio il cosiddetto reale), immergendoci in una trance accattivante, che ci fa sondare nuovi percorsi emotivi e intellettuali.

Forse si può dire che Il porto degli spiriti è un po’ lungo, anche se tutto ciò ha lo scopo di farci entrare nella psicologia dei personaggi, favorendo una certa nostra aderenza alle situazioni.

Di certo la quarta di copertina è molto promettente, pure troppo. In una bellissima giornata d’inverno, dall’alto del faro di Gavasten, Anders ammira con la moglie e la figlioletta Maja la distesa di ghiaccio e neve ai loro piedi. Attirata da qualcosa che nessuno è in grado di distinguere, la bambina corre fuori, e l’incubo comincia. Maja sparisce: non ci sono impronte né tracce di alcun genere, non c’è nulla per chilometri intorno che possa offrire un nascondiglio. Qualche anno dopo, solo e disperato, Anders torna all’isola, e qui Maja (ma è davvero lei?), gli fa sapere di essere ancora nel suo mondo, ma in un posto dove lui non può raggiungerla. Nella sua ricerca senza sosta, esplorando il passato segreto di Domarö, Anders arriverà fino al cuore misterioso del mare: per trovare la persona che ama dovrà attraversare l’abisso.

Per un istante era riuscito a vedere attraverso il velo dell’illusione che lo avvolgeva ciò che teneva prigionieri gli esseri umani, che richiedeva le loro forze per vivere e crescere: la minaccia dal mondo sotterraneo, lo spirito del mare, la creatura dalla cui esistenza nascevano leggende. Il mostro.

Provare a descriverlo non avrebbe avuto senso. Era una forza immensa, tentacolare, uno sguardo dalle mille teste, un muscolo nero con milioni di occhi ciechi. Non esisteva. Era tutto quello che c’era.

Le vibrazioni della roccia si trapiantavano nel cranio. Il suo piccolo cervello annaspava cercando di dare un nome a ciò che aveva percepito. Ma l’unica cosa importante era non farsi trovare lì.

Anders si girò sulla schiena e si mise seduto, poi appoggiò una mano sul ginocchio di Maja. Sapeva di non averne la forza, ma durante il servizio di leva un sergente gli aveva detto: “Correrai fino a quando anche tua madre crederà che tu sia morto, e poi correrai ancora un po’.”

Sua madre non aveva niente da credere questa volta, Anders poteva contare solo su se stesso. Ma sapeva di non essere morto. Quindi, di lui rimaneva ancora qualcosa.

(pp. 485-486)