Marie Laure Colasson, Poesie inedite da "Les choses de la vie"

Marie Laure Colasson, Poesie inedite da “Les choses de la vie”

Una proposta di lettura: Marie Laure Colasson, Poesie inedite da Les choses de la vie.
Come spesso fa Tranströmer nei suoi versi, sia nelle 17 Poesie sia ne La lugubre gondola, anche Marie Laure Colasson procede nei suoi polittici per frasi monadiche come una delle tante possibilità del frammento poetico, una «Estetica del monadismo», vale a dire un susseguirsi di frasi monadiche in cui entrano armoniosamente tutte le Muse, dalla letteratura alla danza, dalle arti visuali alla musica.

Suggerirei in Les choses de la vie, in accordo con i pensieri casticamente espressi di Edith Dzieduszycka”, e con il saggio introduttivo di Giorgio Linguaglossa, un’altra cifra del poema della Colasson, la «poetica del primato della estetica», secondo l’idea portante di tutta l’opera di Brodskij secondo il quale «l’estetica è la madre dell’etica».

Brodskij scrive: «La poesia non è un’arte, o una branca dell’arte, è qualcosa di più. Se la parola è ciò che ci distingue dalle altre specie, allora la poesia – l’operazione linguistica per eccellenza – è il nostro scopo antropologico. Chiunque consideri la poesia alla stregua di intrattenimento, di «lettura», commette un crimine antropologico, in prima istanza contro se stesso[…]. Il poeta è l’animale più sano: combina analisi e intuizione – analisi e sintesi – per giungere al risultato, alla rivelazione. Per questo la poesia è il più efficace acceleratore mentale. Leggerla e scriverla offrono lo strumento di conoscenza più rapido, il più economico che io conosca».

Per Marie Laure l’estetica viene prima dell’etica. Ne segue che l’individuo educato all’arte sarà necessariamente un uomo etico, un uomo dotato di senso etico. Su ciò così Brodskij si esprime: «Credo che per rendere la società veramente vivibile sia necessario puntare sull’estetica, perché non può essere simulata. Vale a dire che gli uomini devono prima di tutto diventare esseri estetici. L’estetica, dal mio punto di vista, è la madre dell’etica.

La Chiesa, per quanto possa eccellere nelle questioni etiche, non è in grado di produrre arte. Quantomeno, il modo in cui l’arte tratta le questioni ecclesiastiche è molto spesso ben più interessante del modo in cui le tratta la Chiesa. Per esempio, la versione dell’aldilà che ci fornisce Dante nella Divina Commedia è molto più interessante di qualsiasi cosa possiamo trovare nel Nuovo Testamento, per non parlare di Sant’Agostino o degli altri Padri della Chiesa».
Se poi accendiamo l’attenzione anche su mònadi come queste

“[…]
Un naso guarda la sedia
un piede batte un ritmo infernale
Gli oggetti ballano freneticamente
i condannati reclamano il silenzio[…]

saremmo tentati a soffermarci anche sulla «poetica degli oggetti», poetica da affiancare sia alla «Estetica del mònadismo», sia alla «Poetica del primato dell’estetica», il tutto in un sistema linguistico che risuona fra due lingue, la lingua francese e la lingua italiana, che si ibridizzano con arricchimenti fonetici, di ritmi, di stile, tipici effetti di, a differenza di quello compiuto di Edith Dzieduszycka, un translinguismo incompiuto.

Les choses de la vie di Milaure Colasson, dunque, come un luogo di incontro di «Estetica del mònadismo» e di «Poetica del primato dell’ estetica» e punto di fusione di senso di immagini e parole
in cui le interferenze coloristico-linguistiche chiamano i lettori a meditazioni attive sulla lingua e sulle parole, sui linguaggi diversi che si cercano e si intrecciano fino a farsi un unico filo, un filo di Arianna per sfidare il labirinto come correlativo oggettivo del nostro tempo.

Nella stessa «patria linguistica» di Le choses de la vie:

Eredia regard mélancolique
le balcon du deuxième étage
un amour réduit en cendres

Dante et Delacroix jouant aux échecs
se partagent l’enfer

Les chaises encordées
dans leur chute l’une après l’autre
remontent la pente

Akram Khan gestes saccadés insecte prisonnier prodigieuse toupie
immersion dans des méandres inextricables

La pluie en trombes
des annelides grouillant sur la pierre

La Contesse Bellocchio
villa palladienne
entourée de jeunes artistes
laisse tomber bagues et diamants

Sébastien tout habillé chapeau melon
sort de l’eau en tumulte
Elisa portable à la main photo et fou rire

*

Eredia sguardo malinconico
il balcone del secondo piano
un amore ridotto in cenere

Dante e Delacroix giocano a scacchi
si dividono l’inferno

Le sedie legate con la corda
nella loro caduta l’una dopo l’altra
risalgono la china

Akram Khan gesti a scatti insetto prigioniero prodigiosa trottola
immersione dentro meandri inestricabili

La pioggia battente
anellidi brulicanti sulla pietra

La Contessa Bellocchio
villa palladiana
circondata di giovani artisti
lascia cadere anelli e diamanti

Sebastiano tutto vestito bombetta
esce dall’acqua in tumulto
Elisa cellulare in mano foto e risata a crepapelle

Cosa nitidamente si coglie in questi versi di Marie Laure Colasson?
In primo luogo,
– il tema dello sguardo,
in secondo luogo,
– l’altro grande tema, la «caduta».

Il tema dello sguardo nella Colasson è analogo a quello di Roland Barthes de La camera chiara (1980). Nella fotografia, riguardo al rapporto parola-immagine, Barthes scrive: «dandomi il passato assoluto della posa la fotografia mi dice la morte al futuro, che il soggetto fotografato sia o non sia già morto, ogni fotografia è appunto tale catastrofe», nella ripetizione senza fine di ciò che ha avuto luogo una sola volta. Da qui lo straniamento in Marie Laure Colasson verso la poetica dell’istante infinito, o, se si vuole, dell’infinito istante.

In secondo luogo, la caduta, direi la poetica della «caduta». Qui non si può fare a meno di pensare alla «caduta» di Tadeusz Różewicz, secondo l’idea di Nietzsche di caduta come «stato naturale» dell’uomo d’Occidente.
Marie Laure Colasson, come per Ágota Kristóf che ha transitato dalla lingua ungherese alla francese, ha fatto il percorso inverso: dalla madrelingua francese alla italiana, ma continua a scrivere e a pensare nella sua madrelingua francese; in tal senso, non rientra nel fenomeno trans-linguistico dell’esilio sempre almeno secondo l’idea di Iosif Brodskij, il quale ha trovato rifugio nella sua lingua d’origine: «La tua capsula è il tuo linguaggio: per uno che fa il mio mestiere la condizione che chiamiamo esilio è, prima di tutto, un evento linguistico: uno scrittore esule è scagliato, o si ritira, dentro la sua madrelingua. Quella che era per così dire la sua spada, diventa il suo scudo, la sua capsula […]”».

Giorgio Linguaglossa parla di «un retro-linguismo», perché la poetessa francese ritorna alla sua lingua a partire dall’italiano; approda al francese a partire dalla sua pittura astratta, dalla «struttura dissipativa» indagata nella sua pittura.

“L’assenza di regole sintattiche e di punteggiatura sono la prosecuzione in poesia della sua ricerca figurativa, che non tratta di astrazioni geometriche o coloristiche come in Kandinsky o Rotcko, ma che considera l’astrazione come indagine sullo s-fondamento del fondo. Il che è una cosa ben diversa.
Che poi la Colasson abbia individuato questo suo personalissimo percorso prima di incontrarsi con i nuovi orientamenti (parlo al plurale) della nuova ontologia estetica, non è dovuta a mera causalità o casualità. O meglio, c’è una ragione anche nella casualità, gli incontri non avvengono per caso.
La scelta di un linguaggio figurativo astratto è la medesima scelta di un linguaggio poetico astratto (ma pieno, anzi, pienissimo di oggetti concretissimi).

Come si spiega tutto ciò?

È semplice, a mio avviso una scelta figurativa, una scelta di tematica per un poeta o un plot da parte di un narratore, non sono mai scelte innocenti ma il risultato di una politica estetica o, se volete, di una scelta di poetica, ovvero, una scelta figurativa e poetica che si sottragga alle petizioni ideologiche post-moderne o tardo moderne del tardo capitalismo globale in cui abbiamo la ventura di vivere”.
«Le strutture ideologiche postmoderne, sviluppate dopo la fine delle grandi narrazioni, rappresentano una privatizzazione o tribalizzazione della verità».1

Condividendo le riflessioni sul retro-linguismo attribuito da Linguaglossa alla scritture della Colasson, devo notare che di fronte a questo genere di esperienza poetica, con la «caduta libera» ci troviamo di fronte a un fatto linguistico del tutto nuovo, tra bi-linguismo, trans-linguismo e retro-linguismo. La poetessa francese propone una poetica di «strutture dissipative», di entanglement, di «infiniti istanti», vale a dire frammenti di quella che convenzionalmente chiamiamo realtà.

Questi frammenti spingono l’osservatore-lettore fuori della cornice, ad immaginare cosa possa esserci al di sopra o al di sotto, a sinistra o a destra di quei frammenti di forme raggelate e sottratte al tempo e cristallizzate in pose fotografiche:

“[…] I suoi occhi frugavano e rovistavano
da destra a sinistra
da sinistra a destra
una mobilità spaventosa
[…]”

Perché questa procedura? Risponderei, in breve sintesi perché la Colasson si colloca a grande distanza dalla poesia rappresentazionale fondata sulla centralità dell’io panopticon. Di fronte al problema ventilato da lombradelleparole.wordpress.com «La fine della poesia è il compito del pensiero poetante?», e «Quale poesia scrivere dopo la fine della metafisica?», la Colasson con i versi di In caduta libera si muove verso una poesia fortemente distopica, con un linguaggio distassico e frammentato in linea con i principi della nuova ontologia estetica, che condenserei così: un polimorfismo nutrito di stile nominale, asimmetrie, dissimmetrie, entanglement con una nitida percezione del vuoto che si apre dopo la fine di ogni verso, come di ininterrotti abissi, spazi bianchi, spazi di non nominazione, horror vacui di contro alla ossessione del pieno della poesia rappresentazionale ed epigonale di questi ultimi decenni, una sorta di invariante petrarchesca.

Nella poesia della Colasson il retro-linguismo, interagisce con tutti altri linguaggi: pittura, musica, immagini fotografiche, voce, danza… in un peculiarissimo sintassi entanglement.

Tornando a Les choses de la vie di Marie Laure Colasson, mi soffermo su questi versi:

22.
Tout commence bien avant
que l’impensable soit pensable

Un corps flotte recouvert de serpents de mer
barbe sertie de perles d’huitres

L’eveque en robe pourpre
boit son pastis à cheval

Les armes sont désarmées
et se mettent à chanter

Dans le chapitre des immortels
les morts dansent sur des fauteuils roulants

Le jaune flirte avec un rouge flamboyant
tout se transforme en encre noire

Les nuages s’introduisent en voleurs
dans les maisons aux vitrres brisées

Michel Faoucault et Claude Levi Strauss
boxent férocement pour un gateau aux amandes

Le métronome rythme la poussiére de la réalité
*
Tutto ha inizio molto prima
che l’impensabile sia pensabile

Un corpo galleggia ricoperto di serpenti di mare
barba incastonata di perle di ostriche

L’arcivescovo in stola porpora
beve il suo pastis a cavallo

Le armi sono disarmate
e si mettono a cantare

Nel capitolo degli immortali
i morti ballano su delle sedie a rotelle

Il giallo flirta con un rosso fiammeggiante
tutto si trasforma in inchiostro nero

Le nuvole s’introducono come ladri
nelle case dai vetri frantumati

Michel Foucault e Claude Levi Strauss
boxano ferocemente per un dolce alle mandorle

Il metronomo ritma la polvere della realtà.

*
Marie Laure Colasson in questa poesia mette a tacere l’Io e si denuda nell’ossimoro «dell’ottimismo pessimista». Dall’Ellenismo a Celan e fino ai giorni nostri la Colasson si appropria dell’essenza di uno dei temi centrali dell’opera di George Steiner da poco scomparso: «La poesia del pensiero».

Esplora nei suoi versi nitidi, ma che hanno diversi livelli di lettura, i legami profondi che Steiner nella sua opera ha collocato alla base della cultura occidentale, i legami filosofia-poesia, vale a dire il linguaggio e l’analisi intellettuale.

I colori, gli artisti, i musicisti, i romanzieri, i personaggi reali e/o usciti dai romanzi (Lolita, ad esempio, da Nabokov) costellano i versi di parole “abitate”, tutte abitate e autentiche nella loro verità nuda. La Colasson immette la vita nella sua poesia e fa «poesia pensante» nel suo perimetro del dire.

Il verso che ha intercettato pienamente il mio scrigno emotivo e il mio patrimonio di pensiero?
Il verso che per dirla con la stessa Colasson ha in me «lacerato il muro del suono»?
Questo, davvero possente e che io adotterei come titolo della raccolta:

Il metronomo ritma la polvere della realtà

Un verso che in sé chiude l’intera Weltanshauung dell’autrice e il suo stesso modo di stare nel mondo, una dichiarazione d’intenzioni artistiche e una dichiarazione di poetica tutte addensate in appena tre sostantivi: metronomo-polvere-realtà.

Mario Lunetta e Giorgio Linguaglossa hanno illuminato il lavoro poetico della Colasson, uno dei momenti più originale della poesia europea oggi.

1 M. Ferraris, Postverità e altri enigmi, Il Mulino, 2017, p. 113