"Le vite sghembe" di Francesco Zanarini

“Le vite sghembe” di Francesco Zanarini

Recensione di “Le vite sghembe” (Edizioni Ensemble) di Francesco Zanarini.

Quello di Francesco Zanarini è un romanzo di protesta.
Una protesta dei giorni nostri, che non ammazza nessuno ma vola sul filo di lana, sulle parole. Sfruttare il flusso mediatico a proprio favore per dirigere, tramite un libro, un messaggio alle coscienze. Un gesto ammirabile in tempi in cui la tendenza principale è nascondersi dietro un dito, in un clima di oblio e accettazione passiva.
Francesco Zanarini cerca piuttosto di dare qualche sberla a chi ancora sta dormendo. La descrizione della riflessione rabbiosa che comincia lentamente a farsi strada nel protagonista sin dalle prime pagine, il senso di vuoto che pervade le descrizioni delle vite di tutti i personaggi, la sensazione di deriva che prende piede pagina dopo pagina. È una tristezza rammaricante perché non si sta parlando di persone povere all’ultimo stadio, che non hanno i mezzi nè per studiare nè per mangiare. Si sta parlando di un mondo ricoperto dal superfluo che per autoalimentarsi sfrutta ciò che invece dal sistema dovrebbe trarre benessere: la “risorsa umana”, ossia la persona. Tutte queste persone in bilico, senza  contratto, senza stipendio, senza punti fermi, provano una rabbia e una desolazione che l’autore ricalca molto bene, nella cornice di un linguaggio coinvolgente e di un intreccio che non risulta scontato nemmeno all’ultima riga. Nella storia, l’unico barlume di luce emerge da un emigrante, un amico del protagonista scappato all’estero che trova finalmente la possibilità di stabilizzarsi economicamente e proseguire con una vita che non sia solo l’inseguimento di uno stipendio minimo, ma che permetta di fare esperienza di sensazioni come: realizzazione, stabilità e raggiungimento di obiettivi.
Alla fine proprio emigrare sembra essere l’unico modo per togliersi d’impaccio, lasciando trapelare una mancanza di speranza che persiste anche dopo aver reagito. Il protagonista non è, infatti, uno di quelli rassegnati e senza la forza di reagire, ma uno che, una volta resosi conto dell’assurdità della situazione, aveva perlomeno cercato di farsi sentire, dicendo le cose ad alta voce, cercando anche in qualche modo di danneggiare il sistema, la macchina intoccabile che stringe tutti nei pugni all’inseguimento dell’etereo “sempre di più”, lasciando alla maggior parte delle persone sempre meno sicurezze. Insomma un racconto che colpisce nel segno rimanendo comunque una denuncia atea, non votata a sistemi o movimenti politici, non mirante a convertire nessuno, ma semplicemente a far notare, a dire le cose come stanno. O come le vede chi scrive. Far notare la situazione attuale in modo che chi legge possa perlomeno rifletterci, e poi magari cominciare a muoversi per cambiare le cose. Un simile tentativo di comunicare agli altri qualcosa di cui ci si è accorti, perché possano accorgersene a loro volta, va apprezzato. Specialmente se presentato in una forma piacevole, che accompagna al contenuto critico uno stile e una storia in grado di catturare.