"Le notti bianche" di Fedor Dostoevskij

“Le notti bianche” di Fedor Dostoevskij

Lettura di “Le notti bianche” di Fedor Dostoevskij.

Le notti bianche di Fedor Dostoevskij è un’opera che si situa tra romanzo e pieçe teatrale per i suoi dialoghi fitti, intensi e lunghissimi, quasi monologhi, che tanto hanno contribuito a fare di questo lavoro una fonte d’ispirazione per rappresentazioni teatrali e film quali “Le notti bianche” di Visconti e le “Quattro notti di un sognatore” di Robert Bresson. “I suoi personaggi, creature inermi e smarrite nell’immensa solitudine della notte e della vita, sembrano le siluette spettrali di una lanterna magica”, scrive A. M. Ripellino nell’ Introduzione a Le notti bianche. Creatura delicata, schiva e sopra ogni cosa sognatore, il giovane protagonista del romanzo si aggira solitario tra una Pietroburgo deserta, rischiarato solo dalla luce fioca, quasi da lanterna magica appunto, delle notti bianche, periodo dell’anno in cui il sole tramonta dopo le ventidue regalando una luce soffusa alla città. La città è vuota come l’animo del giovane avulso ad ogni relazione sociale, senza legami interpersonali perlomeno reali dacché le relazioni che intreccia hanno tutte inizio e fine nella sua mente. Le strade, i palazzi, i ponti di Pietroburgo sono le sole cose cui si relaziona; cose, appunto, poiché rifiuta e abilmente evita ogni tipo di confronto umano. Questo perché la sua testa è già piena di storie, volti, persone con le proprie vite e le proprie relazioni tanto da non esserci più spazio per l’intrusione del reale. Non a caso la Pietroburgo del romanzo è una città svuotatasi di colpo, come precisa lo stesso sognatore: ” […] sembrava che tutto si fosse mosso e se ne fosse andato, che tutto si fosse trasferito in dača a intere carovane;  sembrava che l’intera Pietroburgo minacciasse di trasformarsi in un deserto […] Ero pronto ad andarmene con ogni carro, a partire con ogni signore di aspetto rispettabile che avesse noleggiato una vettura; ma nessuno, assolutamente nessuno mi aveva invitato; mi avevano letteralmente dimenticato, ero in effetti per loro letteralmente un estraneo!”

Nessun pietroburghese conosce il giovane e lui non conosce realmente nessun pietroburghese; benché si affanni a dire “[…] io invece conosco loro. Li conosco intimamente […]” è una conoscenza tutta mentale consumata nella fantasticheria e mai calata sul piano della realtà. Questo finché non appare una figura femminile, appoggiata ad un parapetto. La donna sta piangendo, si allontana dal parapetto e prende a camminare spedita ma si imbatte in un ubriaco e il protagonista coglie l’occasione per trarla d’impaccio. Ecco che l’incontro tra il giovane e Nasten’ka ha preso l’avvio; ma sarebbe sbagliato pensare che ci si trovi davanti ad un avvio vero e proprio poiché tutti gli incontri, lunghi quattro notti, tra i due giovani, sono il dominio dell’azione linguistica e dell’azione del pensiero. I due parlano ma agiscono poco; emblema della mancanza di movimento è la panchina dove siedono per confidarsi. Lui racconta a lei del suo essere inevitabilmente un sognatore (“Considerate chi sono! Ecco che ho già ventisei anni e non ho mai visto nessuno […] e non faccio che sognare, ogni giorno, che alla fine, chissà quando, incontrerò qualcuno […] Io in sogno creo interi romanzi”); lei racconta a lui delle sofferenze causate da una nonna  dispotica che la tiene attaccata a lei tramite una spilla sullo scialle, quasi a volerle succhiare la giovinezza che lei ha ormai perso da tempo.

La prima notte si chiude con i saluti e  le promesse reciproche che sembrano riecheggiare, ma in controcanto, i saluti di Giulietta e Romeo nel loro primo incontro. Lui: “Ve lo giuro” Lei: “Basta non giurate” “Dormite sodo; buona notte” “A domani. Che rimanga un segreto fino ad allora” “Arrivederci” “Arrivederci”. Ma, come si diceva, la scena è tutta in controcanto dal momento che mentre nella tragedia shakespeariana si giurava sull’amore qui si giura di mantenere il riserbo sul segreto che Nasten’ka confiderà al giovane l’indomani e, cosa ancor più significativa, si giura sul NON amore. Nasten’ka fa fare una promessa al giovane che è contraria a quella di Giulietta:

“Ma, badate, venite ad una condizione: in primo luogo […] non vi innamorate di me… Non si deve, vi assicuro. All’amicizia sono pronta, eccovi la mano… Ma non dovete innamorarvi, per favore!”. Benché il giovane risponda “Ve lo giuro” la sua testa di sognatore si è già messa in moto tant’è che non sa come sopravvivere alle ventiquattrore che li terranno separati e si sente già “felice per sempre”. La fantasticheria del sognatore è bella e compiuta il giorno successivo quando il giovane confida a Nasten’ka di sentire di conoscerla da sempre e di come fosse di certo destino che dovesse incontrare proprio lei. Al fantastico del giovane corrisponde in direzione contraria il discorso della ragazza; in uno scambio di racconti sulle proprie vite assistiamo a due realtà che scorrono come due correnti opposte: la vita “senza alcuna storia”, fuori dal reale, di lui; la vita oppressa dai problemi reali di lei. Lui soffre e ama per amori mai avuti e mai esistiti se non nella sua mente; lei ama per un amore perduto forse per sempre o forse no e della vita immobile che la nonna la costringe a fare. Immobilità voluta di lui contro immobilità forzata di lei che spiccherebbe il volo verso l’amore della sua vita se solo potesse. Non potrebbero che essere più diversi. Ma anche quando la ragazza gli racconta che si aggira di notte tra le strade perché sta aspettando il ritorno dell’uomo che ama, sperando che egli mantenga la promessa di tornare da lei, il nostro sognatore continua ad imbastire la trama dei suoi sogni con al centro Nasten’ka. Non solo sono diversi lui e la ragazza ma diversissimi pure sono lui e l’uomo di cui Nasten’ka è innamorata: ancorato al reale, uomo dai piedi per terra, l’altro ha giurato alla ragazza di tornare e di sposarla quando sarà riuscito a fare fortuna così da poterle offrire una vita migliore. Ancora una volta il pragmatismo e la realtà si oppongono alla fantasticheria. Si è scritto che l’aiuto offerto dal ragazzo alla giovane (offrirsi come tramite tra l’altro e lei portando la lettere di lei presso una famiglia di conoscenti dell’amato) è un gesto di con-passione poiché l’amore del giovane è tanto grande da non poter soportare la sofferenza di Nasten’ka. Ma forse è più che altro un gesto fatto nell’assoluta fiducia nelle proprie fantasticherie, nel castello di carte che ha costruito, nella storia a lieto fine che ha inventato per sé  e per Nasten’ka. “Datemi la mano e non oserà più molestarci” è la prima frase che dice il giovane alla ragazza ed è la frase che tacitamente continua a ripetergli come a suggerire uno “scegliete me e saremo entrambi contenti”. Ma, come infine dovrà accorgersi, e ciò accadrà solo quando Nasten’ka gli dirà senza se e senza ma di amare un’altro, si sta muovendo su un piano sentimentale completamente diverso da quello della giovane. “La tua mano è fredda, la mia ardente come il fuoco.” dirà il sognatore piombato di colpo nel reale. L’amato partito in cerca di fortuna ritorna e Nasten’ka si getta tra le sue braccia. Può un sognatore reggere il colpo? Può un giovane che è sempre vissuto rinchiuso nella gabbia dorata dei sogni adattarsi al reale? Il giovane non può che ritirarsi in quell’angolo che gli è noto, l’unico in cui esiste e trova spazio:

“Nella camera si è fatto scuro; nella sua anima c’è vuoto e tristezza; l’intero regno dei sogni si è sgretolato intorno a lui, si è sgretolato senza traccia, senza rumore né chiasso, è svanito come una visione […]”