"Diario d'inverno" di Paul Auster

“Diario d’inverno” di Paul Auster

Recensione di “Diario d’inverno” di Paul Auster.

“Pensi che a te non succederà mai, che non ti può succedere, che sei l’unica persona al mondo a cui queste cose non succederanno mai e poi, a una a una, cominciano a succederti tutte, esattamente come succedono a tutti gli altri.”

In “Diario d’inverno” Paul Auster, messe da parte le trame di fantasia, pone se stesso al centro della narrazione puntando sulla fisicità e le sensazioni corporee per approfondire le proprie riflessioni sulla vita, sul tempo che scorre, sulla permanenza nel mondo. Tempo, ritmo, rintocco, cadenza, flusso. “Il tempo che si muove eppure non si muove, tutto diverso eppure tutto uguale.”

In questo libro, atipico e diverso da tutti gli altri di Paul Auster direi, c’è intimità, c’è respiro che accelera e poi si spezza, riprende a tratti, si frantuma, poi continua e si riassesta. Ritmo. E ricordi. Pagine che si costruiscono sull’archivio narrativo di momenti salienti, un bilancio di quel che è la vita, non solo dell’autore, ma anche nostra, la vita di tutti, in particolare di coloro che hanno superato la soglia dei fatidici “anta”, più avanti, più indietro, di meno, di più, non fa una gran differenza, perché da quel punto in poi si avvicendano per ognuno/a le esperienze comuni della perdita dei propri cari, della analisi più attenta delle proprie scelte, dei propri affetti, delle relazioni, e come una pellicola che si riavvolge di continuo la vita prende a scorrere davanti agli occhi a volte sfilacciandosi, altre volte scivolando rapida, forse in qualche momento annodandosi su se stessa. In tutto questo percorso c’è inevitabilmente da fare i conti con il proprio corpo, con le sue risposte alla serie infinita di esperienze cui è sottoposto, con i suoi cambiamenti e il suo indebolimento scanditi ancora una volta dal tempo che spazia intorno a questo involucro sacro, il contenitore materiale e fisico di tutto ciò che ci appartiene, pensieri, emozioni, sentimenti, paure, passioni.

Paul Auster ripercorre le stagioni trascorse per rintracciarne il senso, risale-in maniera quasi cavillosa- alle date e agli eventi per rintracciarne la geometria, e in questo esercizio cruciale e necessario, dona al lettore, attraverso le sue pagine, il fervore della visione, il colore della nostalgia, la penombra della solitudine che ci appartiene intimamente. Così il corpo ci segue, compagno, complice ma anche tiranno, nell’impervio percorso della memoria, ricordandoci, tra una piega e una ruga nuova sulla fronte, che è un contenitore prezioso di cui bisogna prendersi cura, il sarcofago sacro che custodisce l’essenza del nostro essere più profondo. “Quello che preme su di te, che ha sempre premuto su di te: l’esterno, nel senso dell’aria-o più esattamente, il tuo corpo nell’aria attorno a te. Le piante dei piedi ancorate al suolo, ma tutto il resto di te esposto all’aria, ed è lì che la storia comincia, nel tuo corpo, come nel corpo finirà tutto.”

E come hai trascorso allora, gli ultimi due, quattro, venti anni? “Quanti battiti di palpebre? quante ore trascorse con una penna in mano? quanti baci dati e ricevuti?” L’autore ci coinvolge nel suo resoconto usando la seconda persona, si rivolge a noi lettori con domande precise, fa un elenco delle sue ferite da bambino, delle cicatrici accumulate, ci descrive il suo primo attacco di panico, ci racconta dei luoghi in cui ha vissuto, delle case che ha abitato, delle piccole e grandi stanze che hanno tenuto il suo corpo al riparo dall’aria aperta, ci mostra perfino i verbali redatti dalla moglie nelle varie riunioni di condominio accumulate negli anni. Il racconto segue un ordine non cronologico,ondivago, e già nella prima pagina veniamo sbalzati dall’età di 6 anni a 10 e poi a 64 per poi tornare nuovamente indietro mille volte tra descrizioni di traslochi, innamoramenti, fasi e cambiamenti di varia natura. Quest’opera autobiografica, che può apparire a tratti frammentaria, assume vieppiù un tono così piacevolmente confidenziale da farci sentire profondamente compresi nella sostanza di tutto il non detto rispetto all’esistenza, al fluire ripetitivo e denso della vita di ognuno. È un libro di grande respiro e umanità che restituisce passione, amore per la scrittura e attaccamento alla vita.