Cos'è il Giorno della Memoria oggi?

Cos’è il Giorno della Memoria oggi?

Cos’è il Giorno della Memoria oggi? Come lo vivono i giovani ebrei, come lo pensano gli arabi, come ne è coinvolta la comunità occidentale, e infine come lo narra la letteratura, il cinema.

Indubbiamente ci sono stati dei cambiamenti nell’immaginario collettivo.

Il giorno in cui si ricorda la Shoah per noi adolescenti degli anni ottanta era un giorno non ufficiale (reso tale solo dal 2000), ma a “senso unico”. Apparivano ancora lontane le spinte negazioniste dell’Olocausto (assurde), erano echi sommessi i moti antisemiti o antisionisti che si sarebbero consolidati lentamente nel decennio successivo, pur rimanendo nella sostanza isolati. Il Giorno della Memoria era un giorno canonico, poco menzionato dai media, privo di fazioni: un giorno per ricordare chi aveva il diritto a esistere e ad affermare la propria specificità ed era stato oggetto di un piano sistematico di eliminazione.  La tv ricordava il 27 gennaio perché nel 45 le truppe sovietiche in questa data scoprirono il campo di Auschwitz e i pochi superstiti. Debellare non solo la razza ebraica, ma anche altri popoli hanno pagato dazio a queste idee folli, e quindi abbiamo scoperto che il Giorno della Memoria poteva includere sofferenze uguali e diverse, come quelle degli armeni e i curdi.

Nel corso del tempo tale ricorrenza è divenuta sempre più citata dai media, ma inevitabilmente porta con sé il peso della questione israelo-palestinese. Gli ebrei da oppressi a oppressori. Gli ebrei popolo antico, forte e fiero, che esce sempre trionfante dagli “egitti” della sua storia, ma che si trasforma in aguzzino. Questo immaginario finisce per fornire una visione fuorviante della Shoah, oltre che ovviamente della questione generale riguardante oggi Israele, la quale storicamente è molto più complessa, non necessita di “tifosi” dell’una e dell’altra fazione, ma di operatori di pace, e del riconoscimento totale e reciproco del popolo ebraico e palestinese, della totale legittimità dei due stati. Chi onora la Shoah ma non tiene conto di questo aspetto, è come colui che inneggia alla memoria con la palma del martirio in una mano e con l’altra stringe un candelotto di dinamite. I due temi non sono discinti: dopo l’Olocausto è parso a tutti chiaro che gli ebrei avevano diritto e bisogno di una patria, che costituiva una forte anomalia il fatto che la loro identità, ancora più radicale di nazioni consolidate, non fosse gratificata da un corpo territoriale. Una conseguenza dell’Olocausto nella coscienza collettiva è stata che non era più procrastinabile la nascita di Israele.

Anche i palestinesi hanno una storia di oppressione, molto prima del grande ritorno della Stella di Davide in quei luoghi; quelle terre furono date ai due popoli in tempi e circostanze diverse per mettere fine ad una diaspora che li ha storicamente segnati. Comunque la si pensi la Bibbia è per molti versi una summa di profezie, parafrasando: “Abramo disse a Lot: vedo che i miei e i tuoi non vanno d’accordo… Se i tuoi andranno da una parte i miei andranno dall’altra…” Figli di Lot i palestinesi, figli di Abramo gli ebrei.

Molti arabi vivono oggi la Shoah condividendone la tragedia, ma con un po’ di silenzio distaccato, anche se, come sappiamo, vi sono delle forti spinte negative che vengono da alcune fazioni esaltate disseminate in tutto il mondo arabo e mediorientale, come in Iran, per esempio. Si tratta di grandi minoranze socialmente pericolose, appoggiate non di rado da settori di potere non sempre rappresentativi della volontà della gente. Si rammenti però che la parola “antisemita” include anche gli arabi, essendo pure questi stessi di razza semita (e ceppo differente dagli ebrei), quindi un arabo non può mai definirsi antisemita senza negare se stesso.

Ricordare il Giorno della Memoria pensando a Tel Aviv o a Gerusalemme, dove per pochi minuti tutto si blocca, diviene surreale, e pare quasi che un’onda immane e tacita di coscienze, di pesi, di liberazioni, di morti e di vite si riversi sulle due caotiche e vivaci città: moderna, intellettualmente movimentata ed edonista la prima, spirituale e magicamente mediorientale la seconda.

Ho avuto l’opportunità di visionare del materiale inedito della Shoah e ne sono rimasto sconvolto. Non pensavo potessero capitare certe cose, o forse lo pensavo, ma non lo avevo visto. Il cinema e la letteratura ci hanno abituato a una visione dura ma in qualche modo edulcorata. C’è un punto in cui l’orrore rende banali le parole, le svuota di significato. E’ l’orrore stesso che divora il senso dei fonemi. E’ l’orrore che richiede silenzio, il quale però se integrale diviene anche pericoloso, alimenta sospetti strani, elucubrazioni che sono palesi falsità.

Dopo le grandi lotte politiche degli anni settanta, a cavallo tra il decennio successivo trovare un naziskin che negava l’esistenza dell’Olocausto era come scovare un ago in un pagliaio. Se qualcuno sapeva che c’era un individuo del genere veniva la voglia di conoscerlo e osservarlo scientificamente come lo si fa per una rarità faunistica. Il naziskin era una sorta di oscuro Elephant Man di Lynch, il mostro superstite di un passato che non sarebbe più tornato. Ma in qualche misura ci sbagliavamo. Fermo restando che determinati revisionismi siano destinati a essere solo un coacervo di un disagio che coinvolge alcuni strati della popolazione – i quali chiedono valori forti e radicali in una società che si dimostra troppo spesso inetta -, penso anche che certe tendenze negative vadano controllate e monitorate.

Tuttavia non posso non menzionare il fatto che nel corso di questi anni abbiamo visto tesi nuove o rivalutate che superano le più sfrenate fantasie: 1) l’Olocausto secondo alcuni sarebbe opera degli ebrei stessi all’interno di un più vasto gruppo di potere che avrebbe cospirato in questo modo per rastrellare tutto il credito mondiale, ovvero utilizzare la Shoah come pretesto per ottenere spazi e potere. 2) Gli ebrei di Israele non sarebbero ebrei ma un popolo artificiale di origine caucasica che detiene le sorti del mondo. Di questi ultimi scrisse Arthur Koestler nel suo libro “La tredicesima tribù“, supponendo addirittura che gli Ashkenaziti fossero discendenti dei Cazari e volendo così testimoniare che i nazisti perseguitavano non solo i semiti, ma anche gli ariani. Tesi strumentalizzata in modo incredibile, e che nacque originariamente per cercare di scongiurare la persecuzione di Hitler. Inoltre, se e come fosse vero che molti ebrei non abbiano sangue semita, ciò rientra nell’assoluta normalità delle cose: ogni popolo è frutto di contaminazioni complesse. I kazari erano un popolo di origine turca che si convertì in massa all’ebraismo. Nella stratificazione plurisecolare ciò lo ha portato a condividere le sorti degli immigrati, in una sorta di simbiosi tra ebraismo e identità di popolo. E’ una cosa che capita molte volte nella storia di tutte le “tribù” del mondo. 3) Il Protocollo degli Anziani Savi di Sion sarebbe un manifesto programmatico che ha l’obiettivo di tenere tutti sotto scacco e il dominio assoluto del pianeta. Costoro che lo menzionano citano fonti, anche letterarie, che si sono dimostrate totalmente piegate al falso o esposte senza alcuna esegesi, scopiazzate in buona parte da un pamphlet contro Napoleone III. Ora c’è una nuova tendenza, ben surrogata da iniziative saggistiche e da opere di narrativa, e cioè che il protocollo è un falso, ma ciò non toglie che quanto vi si afferma sia vero (???). Si denunciano quindi un complotto giudaico-massonico e le mire espansionistiche di Israele. Secondo tale “perla di saggezza” la tensione tra Iran e Israele, per esempio, non sarebbe il frutto di un pazzo iraniano che sevizia anche il suo popolo, ma di un presunto imperialismo sionista. E se in Iran al potere c’è un tizio fuori di testa è perché in qualche modo ce lo hanno messo gli ebrei (???) per giustificare la loro fame di potere. E la mancata pace in Israele non è colpa di una latitanza della volontà, di uno sforzo morale e intellettuale ancora insufficiente, ma degli inglesi e degli americani che hanno voluto che gli ebrei avessero una patria. Noi adolescenti degli anni ottanta mai avremmo pensato che ci sarebbero stati dei rigurgiti di antisemitismo, spesso travestiti da antisionismo, che non si è mai capito bene cos’è, e comincio a sospettare che sia solo un antisemitismo che indossa un costume di carnevale. Sia chiaro: negli anni ottanta si acuisce il conflitto, il Libano è in fiamme, l’OLP di Arafat è una realtà, tuttavia si ha una vaga sensazione che ciò sia propedeutico alla pace, che tale fase prepari un inevitabile e duraturo accordo. Ci si sente ancora nei “tempi tecnici” di assestamento. Gli accordi precedenti disattesi sembrano solo degli ostacoli sulla via che conduce alla Pace. Lo è stato in passato e lo è sempre nel mondo, anche adesso, perché non dovrebbe avvenire ciò in Israele? Ma tale premessa finora è ancora disattesa dai fatti.

Eh si, come mi dice Marco, un mio amico del Ghetto: “Caro Gino, tu credi che l’antisemitismo sia un fenomeno nazista, ma per noi è solo un fiume carsico, che nel corso della storia prende forme e aspetti culturali differenti, bizzarri… Il nazismo è stato solo un punto della storia dove ciò si è palesato con maggiore intensità…”. L’antisemitismo è un fiume carsico… mi ha sempre colpito la metafora di Marco.

E poi sono venuti i boicottatori di Israele e anche quelli del Giorno della Memoria, ai quali si sono aggiunti pure coloro che ostentano una romanità storicamente travisata: la Lupa è da sempre simbolo di figliolanza. Pensate un po’, i due fondatori di Roma vengono rappresentati come “figli adottivi” di una lupa. Sono gli stessi fondatori di Roma che sono “accolti” in un progetto di civiltà. Colui che fonda Roma è figlio acquisito di un’idea più grande che coinvolge tutti, per quanto data la epoca votata a Marte. E come si dice a Roma: gli ebrei sono i romani più antichi di Roma, ed è vero.

Insomma, occorre recuperare un senso più sano ed equilibrato delle cose. Ai negazionisti dico: la Shoah è cosa vera, e credetemi di materiale off e inguardabile che testimonia gli orrori nazisti ce n’è fin troppo. La Shoah non è un film dell’orrore ma una tragica realtà storica, comprovata in modo assoluto e plurimo di fonti. E’ ciò che si dice una verità acclarata, palese. Agli antisionisti dico che il popolo ebraico ha sempre puntato molto sulla propria autoaffermazione, resa radicale storicamente da una mancata patria o da una patria difficile, dalla necessità di essere e affermarsi come ebrei. E’ nella difficoltà di accettazione collettiva che si rafforza la propria identità, si accresce un profondo orgoglio e un desiderio di primeggiare: nel mondo un ebreo è anche patria di se stesso, fermo restando che oggi gli ebrei di ogni parte sono orgogliosamente cittadini di quegli stati a tutti gli effetti, com’è negli Stati Uniti, in Russia, e com’è in Italia, ecc. Ci sarebbero ulteriori considerazioni da fare in merito all’identità storica e spirituale, ma ciò ci porterebbe in altri territori del pensiero. Occorre anche dire che essere israeliani non significa essere necessariamente ebrei. Sono cittadini di Israele molte persone di origine araba, slava, italiana, ecc., che andarono in quei luoghi nel dopoguerra più o meno come agli albori del 900 i molti nostri consanguinei erano partiti per l’ America.

Gli intellettuali, scrittori, scienziati e artisti di origine ebraica non si contano, e costituiscono un patrimonio per l’umanità intera.

La letteratura e il cinema di oggi non di rado dilatano la Shoah nella consapevolezza di una lotta e di una guerriglia che non cessa mai, e che ammorba tutti in uno stato di precarietà esistenziale che viene vissuto come normalità. La normalità di una pace ancora irraggiungibile in Israele e che stride con il Giorno della Memoria, vissuto in attesa del giorno memorabile della Pace che non arriva mai! La differenza di un giovane ebreo di Israele è che rispetto a molti suoi coetanei italiani non conosce il precariato lavorativo ma quello esistenziale, ciò lo rende succube di una sospensione temporale, nella quale coltivare la memoria della guerra e di eventi tristemente indimenticabili e da rammentare. Non è una vita da precario, ma una vita precaria, soggetta a uno sforzo minimo ma continuo nell’affermazione del diritto a esistere, sapendo bene nel profondo che giustamente lo stesso diritto insiste nell’animo dei palestinesi.

Ricordare quindi Carlo Levi, anche attraverso Oltre il buio edito dalla Ensemble e della bella mostra della Casa della Memoria e della Storia di Roma, è un modo non solo per segnare una circostanza sommamente triste per l’umanità intera, ma per partecipare a un mondo che cerca conciliazione, con se stesso soprattutto. Ed è anche, se non principalmente, un’occasione per dare cultura a un evento, riempirlo delle cose vere e belle della vita: la letteratura, la poesia, l’arte, la bellezza.

 N.B.

Nelle foto, “L’infanzia negata”, anteprima dell’ultima opera di Fiorella Ivaldi, per gentile concessione dell’artista.