Conversazione con Sergio Sozi, in libreria con «Giovedì»

Conversazione con Sergio Sozi, autore che sta arrivando in libreria con un nuovo romanzo, intitolato «Giovedì» e pubblicato dalla casa editrice Ensemble di Roma.

Il libro ci raccolta la storia di  Aulo Clelio, mite sagrestano dell’antica Collegiata di Spello, un uomo con due facce: affabile vecchietto dei giorni nostri e sacerdote pagano nell’antica colonia romana di Hispellum a cavallo dell’anno Zero.

Chi è Aulo Clelio? Da chi è ispirato questo personaggio? Perché hai scelto un sagrestano come protagonista (e deus ex machina di tutta la narrazione)?

Il romanzo è dedicato principalmente alla questione riguardante la natura profonda dell’uomo. Aulo Clelio dunque è un sacerdote/sagrestano perché la natura umana contempla l’aspetto religioso, che, volenti o nolenti, abbiamo dentro tutti: o come dubbio, o come certezza, o addirittura sotto forma di negazione della divinità, ma comunque sempre abbiamo tutti dentro una continua richiesta di comprensione dell’aspetto religioso della vita. Riguardo ad Aulo non mi sono ispirato a nessuno, il personaggio è mia creazione originale… casomai, potrebbe avere un paio di attinenze con il sottoscritto, ma roba di poco: Aulo è Aulo. Anche lui nato, venuto al mondo, volente o nolente. Ed Aulo, vedi, è il deus ex machina, come suggerisci tu, di se stesso, poiché in fondo questo romanzo è… ma non dirò altro… non posso proprio, spiacente ma non posso.

Cosa succede di giovedì?

Succede che Giove si manifesta in Terra a una particolare persona che con Lui, il principe degli dèi, ha a che fare da generazioni e deve, dunque, prima o poi vederlo, Giove Padre, sentirlo parlare, allacciarci relazione intima… Quando? Un giovedì. Naturale direi. Essendo il “suo giorno”, Giove e Dies Iovis… Poi però, sempre di giovedì, succede anche molto altro. Il sovrannaturale è il basso continuo, assieme alla poesia e all’amore, di quest’opera, fra i miei migliori lavori. Lo scrissi nel 2010 pensa… Un’allucinazione con robusta e imprevedibile trama direi. Un sogno.

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Nell’ultimo romanzo avevi parlato della tua città natale, Roma, mentre in questo ti sposti nella cittadina di Spello. Da dove arriva questa ambientazione?

Ci sono vissuto sedici anni a Spello, ci vive attualmente anche la mia famiglia di provenienza e molti altri parenti che amo. Substrati ne ho, a riguardo…

Mi resta difficile inserire questo romanzo in un genere letterario. Tu dove lo metteresti?

Dopo averlo letto… in soffitta, lo metterei! Assieme alle inutili biografie immaginarie di strani personaggi atei e troppo fedeli da esser veri.

La scelta di scrivere su due livelli temporali non è sempre semplicissima da attuare. Tu ci sei riuscito… È stato più semplice buttarsi nella storia o parlare del nostro presente?

I due aspetti sono uniti intimamente, non posso dire di diversa difficoltà. Un romanzo per me è una cosa sola, anche quando sembrerebbe al lettore assai bicefalo, o scisso. A pensarci bene, poi, questa unità di fondo è sempre presente nei miei lavori narrativi. Dualismo e monismo, in filosofia, non equivalgono certo alla schizofrenia umana o affini problematiche: l’unità contempla la suddivisione interna in due parti come, direi, si sta a tavola con tre persone e ci si sente insieme e non certo su tre territori diversi.

Cosa c’è di simile tra l’anno Zero e questo inizio di terzo millennio?

Ben poco. Nulla mi sembra. Questo inizio millennio è in realtà la fine dell’altro, espressa con numeri sballati e insignificanti. I numeri poco dicono sempre giustappunto. Figuriamoci ora. E niente più, direi.

Tu sei italiano e vivi in Slovenia. Da fuori come vedi la cultura italiana e la nostra società in generale?

La vedo e la sento mia come sempre. E mi sento, oibò, suo. Mi fa arrabbiare assai questo. Però è così. Con gli stessi conflitti e amarezze, sensi amorosi e affinità che ho sempre avuto sin da quando son nato, io son lì con voi tutti. Non a caso in Italia. Non a  caso. Niente avviene a caso mai, in Terra e altrove.

Grazie. In bocca al lupo per la promozione.

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