I Canti del Kurbet / Kënget e Kurbetit. Cura e traduzione in italiano di Gëzim Hajdari

I Canti del Kurbet / Kënget e Kurbetit. Cura e traduzione in italiano di Gëzim Hajdari

Alcuni testi inediti dei “Canti del Kurbet” (Kënget e Kurbetit) curati e tradotti in italiano da Gëzim Hajdari.

 I canti del kurbèt rappresentano i canti popolari albanesi della migrazione durante l’occupazione Ottomana, 1468 – 1912, quest’ultimo anno dell’Indipendenza dell’Albania dalla Turchia. Due anni fa, il sottoscritto diede alle stampe I Canti dei nizam (i canti dei soldati albanesi che combattevano per l’Impero dei Sultani di Istanbul), edito da Besa, 2012. Sono due opere monumentali della memoria collettiva del Paese delle Aquile, nonché parte integrante della memoria della cultura europea. I canti del kurbèt appartengono a un periodo buio della storia albanese. Erano secoli di drammi sociali, di tragedie umane e di resistenza per la sopravvivenza della nazione shqiptar. É straordinario come questo piccolo popolo nel cuore del vecchio continente, nonostante il lungo dominio romano, poi quello ottomano, e altre invasioni ancora, sia riuscito a resistere alle temperie della Storia e all’assimilazione forzata degli invasori conservando la propria identità e la propria cultura. Nel 1775, la Patriarcana di Istanbul, guidata da Abdul Hamiti I°, emanò un ferman che proibì per legge l’uso della lingua albanese, imponendo, per un secolo e mezzo, la lingua turca come lingua ufficiale in Albania. É stata proprio la ricca tradizione orale epica e lirica a salvare la lingua, l’anima e l’identità del popolo albanese.

I canti del kurbèt nascono nell’800, all’epoca dei canti dei nizam. Vengono cantati nelle cerimonie e nelle feste sia al nord che al sud del paese. Tuttavia le regioni più ricche di questa tradizione popolare sono quelle del sud, quali Korçë, Kolonjë, Përmet, Gjirokastër, Bregu i Detit e Çamëria. Queste regioni si trovavano in contatto diretto con il resto dell’Impero, mentre le regioni del nord , nelle quali vigeva il Kanun e la besa, non facevano parte della giurisdizione ottomana. Quindi i canti del kurbèt in queste regioni lontane e montuose erano meno frequenti.

Nei primi decenni dell’800, le mete preferite dei kurbetlì erano i paesi dell’ impero quali Turchia, Serbia, Grecia, Bulgaria, Romania, l’Egitto e lo Yemen. Ma negli ultimi decenni del secolo si spinsero oltre i confini della Turchia Ottomana, approdando in Germania, in Francia, e persino nel continente americano, Argentina e USA. I canti del kurbèt, oltre al loro immenso valore culturale e spirituale, rispecchiano il quadro storico e sociale dell’epoca in cui nacquero e vennero cantati. Esprimono rabbia e protesta contro le condizioni economiche in cui i kurbetlì vivevano denunciando il kurbèt in quanto un fenomeno sociale che portava più disgrazie e sofferenze che fortuna e danaro. Raccontano di separazioni, lamenti, struggimenti, viaggi, attraversamenti, fatiche, dolori, sofferenze, nostalgie, pianti, attese infinite, gemiti e lutto . I kurbetlì erano giovani e uomini contadini che provenivano dai poveri villaggi, costretti ad abbandonare la propria terra, gli affetti per andare a lavorare all’estero in cerca di fortuna.

I canti del kurbèt di città sono rarissimi.

Il volume di 500 pagine si divide in quattro capitoli, che sono: partenza al kurbèt; le sofferenze e le pene dei kurbetlì e delle loro famiglie; ritorno dei kurbetlì e I canti dei migranti arbëresh  d’Italia.

I canti del kurbet vengono proposti per la prima volta al lettore italiano. Inoltre è da sottolineare il fatto che sia i canti dei nizam che questi del kurbèt, vengono tradotti per la prima volta in una lingua straniera. E questa fortuna è toccata proprio alla lingua di Dante Alighieri.

Gëzim Hajdari

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Tutti i testi sono tradotti in italiano da Gëzim Hajdari

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TRAMONTANO LE STELLE

Tramontano le stelle,
iniziano i galli a cantare,
i kurbetlì di buon’ora,
caricano le carovane,
partono, se ne vanno.
Che parta chiunque,
ma non tu, mio uomo.
– Moglie mia, che dici,
ne abbiamo bisogno,
tanta povertà addosso.
– Resta a casa con me,
la vita è un soffio.
– Cosa sono queste parole,
mi spezzi il cuore!

SI RAMMARICANO LE MONTAGNE

Si rammaricano le montagne,
se ne vanno i gagliardi,
s’intristiscono gli abeti,
perché partono i pastori,
si lamentano le fontane
non berranno più gli amanti.
dove sono andati a finire?
– Per i mondi, al kurbèt!

PARTO AL KURBET

Parto al kurbèt,
madre, dimmi una parola.
Amanèt mia moglie,
vi resterò per molti anni
finché non farò fortuna.
Di Qeparò e del fiume,
sentirò la nostalgia.

UNA MELA ROSSA PROFUMA NEL CORTILE

Una mela rossa profuma nel cortile,
dì a tuo figlio che vuole partire.
Ahimè, egli partirà, giovane sposa,
dagli occhi neri e volto di luna.
Lo accompagnai fino a Bilisht,
mi duole il cuore, mi trema l’anima.
Partì lontano per Istanbul,
come riavere il mio uomo.
Se ne andò, chissà quando tornerà,
misera me, non so come fare,
senza un figlio in casa, con chi parlerò?
rovinata per sempre, destino infame.

SVEGLIATI MIO FIORE

Svegliati, mio fiore,
basta dormire,
lontano me ne andrò,
lontano al kurbèt,
andrò lontano,
lontano a Istanbul,
sai cosa ti manderò:
un canestro di cotogne:
quando le odorerai,
ti ricorderai di me,
quanto le taglierai,
non ti scordare di me,
quando le mangerai,
in silenzio piangerai.
Alzati mio fiore,
basta sognare,
lontano me ne andrò,
lontano al kurbèt.

SVEGLIAMI  MADRE MIA

Svegliami madre mia,
domani di buon ora,
mi aspettano i compagni
alla tomba del pastore.
Non partiamo all’avventura,
ma per lavorare,
o kurbèt, misero kurbèt
che tu possa sparire!

MIA CASETTA DI TRE PIANI

Mia casetta di tre piani,
dov’è mio marito?
Al kurbèt se ne è andato,
ahimè né ride, né piange.
Se ne è andato, mie compagne,
oltre il mare con le onde.
Dove vai, povera me,
ci siamo appena sposati!
Dove vai, mio signore,
sposati da due settimane!
Se ne è andato allo Yemen,
tornerà fra dieci anni!

BELLA ANDRONIQÍ

Bella Androniqì,
sei una regina!
Basta con le parole!
Non dire così!
– Dove è tuo marito?
– Al kurbèt, in Italì!
Non so se ti risposi,
o farai la vedova,
se andrai in chiesa
o farai la monaca.
– Io non mi risposo,
non farò la vedova,
aspetterò mio marito
tornare a casa.
Sono sua moglie,
e sua rimarrò,
quello che dice la gente,
non voglio saperne!

DIMMI MIA AMATA UNA PAROLA

Dimmi, mia amata, qualcosa,
è tardi, devo partire.
-Dove andrai, disgraziato,
ieri ci siamo sposati.
Quando sono uscito di casa,
mi girava la testa;
sono sceso in cortile,
non avevo più la forza;
ho raggiunto il cancello,
mi tremavo il corpo,
Pampòr, che tu sia maledetto,
ci hai separati dalle mogli;
dove ci porti, perfido pampòr
ci hai strappato le speranze.

PARTO AMICI MIEI

Parto amici miei
per il kurbèt,
parto di buon ora,
con la nave nera.
È lungo il viaggio,
infinito il mare,
nella mia mente
padre e madre.
Maledetto il kurbèt
e l’amara povertà,
separati per sempre
dalle nostre case!
Partiamo amici,
ma dove andremo?
Nel paese ignoto
stranieri saremo!
Ahimè, miseri noi,
dove andremo
chissà, amici miei,
che fine faremo!

VITO, NON PIANGERE PER ME

Dove vai, mio uomo,
perché parti senza di me?
– Vado in kurbèt,
Vito, non piangere per me!
– Verrò anch’io con te,
perché lasciarmi, mio signore?
– È lontano e piove,
Vito, non piangere per me!
– Quanti anni resterai,
sono sola e lontana.
– Non più di tre anni,
Vito, non piangere per me!
– Verrò anch’io con te,
perché lasciarmi sola?
– È lontano e piove,
Vito, non piangere per me!
– Divento mela nel tuo cuore,
perché parti senza di me?
– Mi scordo e ti mordo,
Vito, non piangere per me!
– Non sono veleno
che posso avvelenarti,
sono miele che addolcisce,
perché mi abbandoni?

VENERDÌ E MERCOLEDÌ

Venerdì e mercoledì!
che non possiate giungere mai,
Maledetto tu, venerdì,
perché vengono i locatori
portano gli uomini a Istanbul.
lì, dove sono i minareti.
Crepi il tuo cavallo, locatore,
che separò la sposa da mio figlio,
crepi il tuo mulo,
che separò mio figlio dalla sposa!

MALEDETTA AMERIQÌ

Giunge lo habèr per un nuovo kurbèt.
Maledetta Ameriqì!
Chiede i nostri uomini partire.
Che tu possa bruciare Ameriqì!
Piangono le madri, non smettono mai.
Che tu possa sparire Ameriqì!
Ahimè le spose presto invecchieranno!
Vengono i pampòr dal mare nero.
Maledetta Ameriqì!
Li scrutano gli uomini da lontano.
Che tu possa bruciare Ameriqì!
Se ne vanno i migliori in Ameriqì.
Che tu possa sparire Ameriqì!
Quelli deboli li fanno tornare a casa.
Che tu possa bruciare Ameriqì!
Tornano piangendo senza kësmèt.
Che tu possa bruciare Ameriqi!

GIUNGE UN SERPENTE A DODICI TESTE

Giunge un serpente a dodici teste,
per consolare il mio cuore,
il mio cuore pieno di ricordi,
cresciuto orfano da mia madre,
partito per il kurbèt
non ancora dodici anni.
Dove parti mia rondine?
Manda un selàm a mia madre!
Haqìm, o Haqìm,
dimmi qualcosa della mia vita!
– La tua vita, dalla festa di San Giorgio
alla festa di Bajram kurban.
Mi è passata la vita al kurbèt,
senza Bajram e senza San Giorgio
Voi rondine che partite,
tanti selàm a mia madre!

CI CONSUMA LA NOSTALGIA

Poveri noi che destino,
maledetto o kurbèt,
solo fatica e sangue,
persi, lontani dalla patria!
Questa nostalgia infinita
ci consuma piano piano;
come un serpente ferito
non ti fa mai morire.
L’angoscia invecchia l’uomo,
sognano la patria i giovani,
come la fiamma della cera,
si è spenta la mia gioia.
La mia amata che non vedo,
ha saputo già come sto,
piange a nenia il mio destino
piange senza conforto.
La nostalgia mi consuma,
ricordati di me, mia fanciulla,
come la cera tra le fiamme,
si scioglie il mio corpo.

IL GIOVANE DI VENT’ANNI

Il giovane di vent’anni
prende la strada per il kurbèt.
Al kurbèt quando è arrivato,
stanco e molto malato.
In ospedale lo hanno portato.
– Ti prego haqìm, mio haqìm,
mi fa male e non so cosa sia,
dimmi della mia malattia:
se morirò o sarò vivo?
– Coraggio, giovane gagliardo,
vivrai, non morirai!
– Mangi un piatto di minestra?
– Non mi va di mangiare,
sento l’anima morire!
Haqìm, ti affido la mia vita,
fammi alzare in piedi!
Voglio vedere della finestra
i fiori primaverili.
Rondini che partite,
passate per la mia patria?
Tanti selàm a mia madre.
Se vi chiede di me,
ditele che mi sono sposato.
Se vi chiede della mia sposa,
ditele una malattia sul petto.
Se vi chiede dei paraninfi,
c’era hoxha con turbante.
Se vi chiede della mia bara,
letto di terra, cuscino di pietra,
come coperta pezzi di legno,
– Un amanèt ti chiedo, madre,
ordina una dimora larga per me,
una tomba larga con finestre,
per vedere i fiori di aprile.

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1. Kurbèt: migrazione, in turco

2. Kurbetlì: migrante in turco.

3. Nizàm: soldato, in turco.

4. Fermàn: decreto, in turco

5. Shqiptàr: albanese

6. Kanùn: Codice Giuridico Orale Albanese.

7. Besa: parola data per gli albanesi. è fedeltà alla parola data e alla promessa giurata, la protezione promessa a un ospite, a un amico. E’principio d’onore, regola di vita, è qualcosa di assoluto e complesso, nello stesso tempo è un patto di fedeltà che si stringe con un uomo, vivo o morto, con un’istituzione (l’ospitalità) con la propria terra. Spesso supera la sfera dell’uomo singolo e diventa norma di vita collettiva e quindi una virtù sociale. C’è una besa da rispettare persino col nemico ucciso: l’uccisore deve fare in modo che il corpo del morto giaccia sempre con il viso rivolto al cielo e ha il dovere di informare la famiglia per l’accaduto.  La besa albanese è nota in tutti i Balcani.

8. Amanèt: ultimo desiderio, in turco.

9. Qeparò: nome di una località nel sud dell’Albania.

10. Bilìsht: città nel sudest dell’Albania e capoluogo della regione di Devoll.

11. Androniqì: nome femminile

12. Italia

13. Pampòr: nave

14. Vito: nome femminile.

15. Venerdì e mercoledì: I kurbetlì della regione di Kolonjë partivano per il kurbet nei giorni mercoledì e venerdì. Sabato era il giorno del bazar nella città di Korça (Coriza), i kurbetli giungevano in città di notte portando con loro un fratello oppure un nemmeno della famiglia, che dopo aver accompagnato il kurbetli, facevano la spesa al bazar e tornavano a casa.

16. Habèr: annuncio

17. Ameriqì: Stati Uniti d’America

18. Kësmèt: fortuna, in turco

19. Il sepente con dodici teste vuol dire un anno intero di fatiche e sofferenze al kurbèt.

20. Haqìm: medico, in turco.

21. Shën Gjergji (San Giorgio): si tratta di una festa del mondo pagano albanese, giacché il cristianesimo non riuscì a sradicare questo rito antico ereditato da secoli, lo battezzò con il nome San Giorgio (Shën Gjergji). Con questa festa i musulmani dell’Albania festeggiano l’arrivo della primavera.

22. Bajràm Kurbàn: festa dei musulmani in Albania.

23. Selàm: saluti, in turco