Affinché ogni sguardo non vada perduto: la pittura come metafora della narrazione. «Ombre nude» di Giovanni Nuti

Affinché ogni sguardo non vada perduto: la pittura come metafora della narrazione. «Ombre nude» di Giovanni Nuti

Recensione di «Ombre nude» di Giovanni Nuti (Ensemble, 2020). Articolo di Gianluca Minotti.

Una sorta di indagine intorno all’ineffabile che noi tutti siamo, ecco cos’è Ombre nude, il romanzo breve di Giovanni Nuti, uscito per Ensemble nel 2020. Michele è un uomo tormentato, un pittore che ha tentato di rappresentare l’irrappresentabile, e proprio ora che è al tramonto della vita e sente di avere fallito, ha un’ultima possibilità: quella di tornare a essere autore del proprio guardare. E ciò grazie a Jeanette, una ragazza di Cabourg, di poco più di vent’anni, nel fiore degli anni, decisa a posare per lui come modella. Perché Jeanette è uno specchio magico che rovescia il riflesso, ed è una visione al confine fra la luce e l’ombra, giunta fino a lui per rivelargli come tutti noi non abitiamo mai interamente una regione o l’altra, bensì navighiamo lungo la deriva del loro margine.

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È nei dialoghi tra di loro, concisi e intensi come grumi di colore sulla tela della pagina, che il legame tra Michele e Jeanette si fa arte. Ognuno di loro dona qualcosa all’altro: la propria nudità – del corpo, dell’anima – attraverso la quale, in trasparenza, arde la luce dello spirito e il mistero di ciò che siamo. Perché l’arte si dà solo quando entriamo in relazione con l’altro. Solo quando, attraverso questa relazione, ci riappropriamo di tutti gli sguardi che abbiamo gettato all’infuori di noi, con supponenza, con superiorità. Con la presunzione di poter cogliere chissà quale verità, quando invece dimenticavamo che innanzitutto era al nostro sguardo che dovevamo prestare attenzione.

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Ombre nude è quindi uno studio sullo sguardo, dove la pittura si fa metafora della narrazione e dove la riflessione sull’arte e sui dipinti che vengono richiamati nei dialoghi tra Michele e Jeanette non sono mai citazionismo. Attengono a una indagine e a un mistero. A quello proprio di Michele, certo, ma soprattutto a quello di Jeanette. Perché è lei l’enigma del romanzo: la sua natura è, infatti, sfuggente; la sua bellezza, mutevole. Vuole essere disvelata, ma il suo ritratto sembra essere “indicibile”. Jeanette incarna la giovinezza: un’età, per Michele, ormai irraggiungibile. È anche per questo, e per come Giovanni Nuti costruisce la vicenda, facendo coesistere il passato e il presente, che leggendo queste pagine viene in mente Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust. Perché non è un caso, forse, che Jeanette sia di Cabourg, ovvero Balbec, la città dove il Narratore della Recherche incontra Albertine. Perché, in fondo, Ombre nude non fa altro che questo: attraverso il ripetersi di quelle che Michele pensava essere solo coincidenze, quando la trama della vita gli si disvela quasi interamente, egli va alla ricerca di ogni sguardo perduto.